ANTOLOGIA
. Giornale letterario e scientifico, fondato da Giampietro Vieusseux (v.) nel gennaio del 1821 in Firenze, dov'egli, stanco de' lunghi viaggi in nazioni diverse tra uomini diversi, e dopo la rovina della sua casa di commercio, aveva preso dimora e aperto nello stesso mese dell'anno avanti un Gabinetto di lettura primo, nonché in Firenze, in Italia. L'Amologia nacque dopo l'infelice tentativo dell'avvocato Lorenzo Collini di mantenere in vita il suo Saggiatore, morto di pochi mesi nel dicembre del'19, e i sogni generosi, ma non tradotti in realtà mai, di Gino Capponi, che sull'esempio delle grandi riviste inglesi meditava in Londra di darne una degna all'Italia, plaudente il Foscolo, che gli aveva ceduto il suo Parere sulla istituzione di un giornale letterario, da lui apprestato nel' 15, e sullo stampo del quale, ma non senza differenze profonde, il Capponi modellò il proprio Progetto di Giornale. L' Antologia dunque fu da principio una raccolta di traduzioni da riviste straniere, fatta nelle sue tre parti a simiglianza della Revue encyclopédique, che il Vieusseux, discostandosi dal pensiero del Capponi, tolse a modello, eccettuatine però gli scritti originali, che formavano la parte prima di quella. Origini pensatamente e accortamente modeste per dignitosa e onesta prudenza, sia perché voleva il Vieusseux assicurata innanzi la cooperazione de' letterati e scienziati e la fiducia del pubblico, al quale sdegnava promettere più di quanto potesse poi mantenere; sia perché molte erano in Italia le prevenzion da soffocare e i pregiudizî da combattere e le rivalità da far tacere ripullulanti con antichità di rancori e di borie municipali di sotto alle dispute letterarie grammaticali e filologiche; sia perché lente le comunicazioni e inceppate; sia perché, pur essendo miti in Toscana il governo e la censura, le persecuzioni politiche non vi avevano ancora risospinto dagli altri stati quegli esuli molti che al Vieusseux furono più tardi d'aiuto; sia infine perché con sole forze toscane s'iniziava l'impresa, e nella stessa dormigliosa Toscana bisognava scuotere l'indifferenza dei più. Ma già al terzo quaderno, del marzo, faceva il Vieusseux precedere un Avvertimento, nel quale era detto essersi egli indotto a dar luogo ad articoli originali, come quel primo di Michele Leoni (sull'opera del Perticari che forma il 4° vol. della Proposta del Monti), notabile in controversia tanto involontaria per serenità dignitosa; e nel quaderno seguente dichiarava volere indi innanzi rivolgere il suo giornale "a più nobile scopo", e avere in animo di comporlo quanto più gli fosse possibile di "lavori originali". I quali, per le condizioni de' tempi, non furono certo di molto varî in sul primo, non volendo il Vieusseux cimentarsi d'un tratto a dar luogo a scritti che toccassero di politica, di educazione, di diffusione de' lumi, senz'essersi prima guadagnata la fiducia dei governanti; ma avevano tutti, anche i filologici, ch'erano quasi per necessità i più frequenti, il pregio raro della temperanza, e, quel che più importa, uno spirito per la prima volta non municipale. Al che soprattutto mirava fin d'allora il Vieusseux; il quale, a togliere al suo giornale fin l'apparenza che di municipale poteva dargli l'esser esso composto tuttavia con le forze di sola una regione e quasi di una città sola, si rivolgeva nel gennaio del'22 ai lettori con la speranza che in breve l'Antologia diverrebbe "tutta nazionale"; e invitava "tutti i letterati, tutti i dotti italiani" a inserirvi e difendervi le proprie opinioni, "anche tra loro contrarie", in special modo pregandoli che volessero considerare l'Antologia come "una collezione nazionale".
Ed egli, non scienziato né letterato né fornito di molti studî, ma felice quant'altri mai nel saper cogliere, per rapido intuito e quasi per un senso della realtà affinato in lui dalla lunga esperienza, il lato pratico delle cose, e nel divinare più che indovinare la natura e la mente di un uomo, non solo seppe via via attirare a sé, e attiratili conservare con la schiettezza rara de' modi, col finissimo tatto, con la reverente condiscendenza all'onesta libertà degl'ingegni e con la generosità unica in editore, letterati e scienziati da ogni parte d'Italia quant'era possibile operosi e costanti, così assicurando al giornale e quasi rinnovellando e moltiplicando la vita; ma, quel che più conta, far convergere a un'opera comune e a un unico fine uomini per attitudini e per valore, per credenze e per opinioni, contrarî più che dissimili, e conciliare le loro voci discordi in una unica suprema armonia. Ond'è che l'Antologia fu, nella varietà sua, immagine fedele per dodici anni della civiltà toscana e italiana, che in lei si concentrava e, da lei riflessa, s'irraggiava con accresciuta potenza di luce per le parti più remote d'Italia. Ricca di soda erudizione, da sostenere degnamente il confronto col Nuovo giornale dei letterati di Pisa e con l'Arcadico di Roma; sollecita quanto la Biblioteca di Milano nel ringiovanire e ritemprare le nostre lettere in un fecondo contatto con la varia cultura europea, ma più italiana di quella, pur non avendone il titolo; più conciliante del Conciliatore, e più fortunata, ché poté accoglierne non solo, ma vivificarne e diffonderne gli spiriti generosi. Perché, pur nella diversità e spesso contrarietà d'opinioni, poté, fin dal primo, compiere opera mirabilmente concorde d'italianità, non smentita mai e che anzi vieppiù s'accrebbe con gli anni. Al che contribuivano efficacemente le riunioni che ogni settimana si facevano nel Gabinetto; dove Italiani e stranieri di nome, ma di cuore e sensi italiani, convenivano da ogni parte d'Italia e del mondo, accolti, se non con lusso, con signorile decoro, così stringendo relazioni d'intellettuale amicizia, che avevano nel giornale risonanze profonde, e che, continuate poi di lontano, diffondevano in parti tra loro remote e divise l'idea della patria. Già nel gennaio del '22 scriveva ai lettori lo stesso Vieusseux che le questioni sulla lingua non dovevano "alimentare tra noi un malaugurato fomite di letterarie fazioni, tendente a dividere sempre più tra loro l'italiche contrade, separate già per altre circostanze": voleva egli (1829, n. 100, p. II) che l'Antologia rappresentasse "lo stato e i desiderî" della nazione; che non avesse in sé "nulla di municipale", e fosse "tutta italiana"; e a lei dava per meta e per vanto (1830, n. 118, p. II e III) "far conoscere agli stranieri l'Italia, e l'Italia a lei stessa; difendere le sue glorie, incoraggiare i suoi sforzi,... additare ai pensieri degli Italiani uno scopo non mai municipale, ma nazionale; stimolarli con prudenti confronti;... dimostrare che l'Italia nel suo seno possiede gli elementi di qualunque gloria scientifica e letteraria". Per questo l'Antologia, non solo diffuse in vantaggio del popolo il lume della mite cultura e delle utili verità; non solo è ricca a preferenza di scritti più fecondi di utili applicazioni e più efficacemente diretti a maggior numero di persone; non solo propose o annunziò sollecita ogni novità buona che in qualche modo giovasse alla patria e ogni giovane ingegno che sorgesse animatore di nuove speranze; ma difese da' biasimi ingiusti e rivendicò all'Italia ogni gloria italiana carpitaci dagli stranieri, "i quali nemmeno vogliono lasciarci il patrimonio dell'ingegno" (1827, n. 79, p. 135).
Sotto apparenze letterarie e scientifiche, tutta civile e politica fu sin dall'inizio l'opera dell'Antologia, pìù o meno palese secondo i tempi. Già nel gennaio del '22 il Vieusseux dichiarava: "a noi non pertiene di parlare della politica propriamente detta;... ma, se certi grandi avvenimenti... possono direttamente influire sulla civiltà, sulle arti, sul commercio, sull'agricoltura, sulle scienze,... allora la politica diverrebbe di nostra pertinenza". E nella prefazione all'annata del'29 affermava che l'Antologia era "particolarmente consacrata agli studî che si legano più da vicino alla scienza dell'uomo e della società". Alla quale affermazione il censore padre Mauro Bernardini apponeva la postilla: "da questo tratto si rileva l'oggetto vero dell'Antologia. È scientifica quando non può essere politica; cessa subito di essere politica, quando ha mancanza di materia che tratti dell'uomo e della società, cioè de' Governi concepiti a modo de' recenti pensatori". Opera politica compiva infatti l'Antologia col patrocinare con ferma costanza la necessità di liberare gli uomini dall'ignoranza; col muovere guerra quanto consentivano i tempi implacata ai retrogradi; col rendere la scienza stessa il più possibile "popolare" (1827; p. VIII); col far progredire le scienze industriali, agrarie, economiche, in quanto procacciano al popolo il benessere materiale, e le scienze morali e razionali, in quanto con le loro applicazioni concorrono al suo perfezionamento; col promuovere l'istruzione elementare e la diffusione del reciproco insegnamento; col rappresentare al popolo, più o meno palesemente, le oppressioni presenti e i suoi fatti antichi e le antiche franchigie e le memorie e le glorie. Così, di sul suolo lombardo, dov'erano stati violentemente soffocati nel primo schiudersi, si vennero sul suolo toscano, per opera dell'Antologia, a mano a mano fecondando e svolgendo i germi di quella scuola del liberalismo, nemica alle congiure e alle rivoluzioni violente; meno splendida, forse, in apparenza, ma più costante e meglio assicurata; forte del sapere con prudenza aspettare, perseverantemente operando, e ferma nel credere che la grande impresa dell'indipendenza italiana non era da tentare senza prima aver conseguito il miglioramento morale del popolo, e l'armonia de' propositi, e la fermezza de' voleri. Se non che, dei tempi mutati in peggio ebbe l'Antologia a risentirsi, in specie dopo il'30, non solo nelle interdizioni più frequenti de' suoi fascicoli fuori di Toscana, ma nei rigori più acerbi della stessa pur mite censura granducale. Primo a brontolare l'annunzio della tempesta vicina, il Nuovo giornale ligustico di Genova, asserendo (1831, Prefaz., VII) che il principale difetto dell'Antologia era "di voler piacere ai promotori della novità", e che il sec. XIX era "annoiato e vergognoso" di "certi abietti principî" che si volevano imporre (fasc. III, 214); seguì la Voce della verità modenese, il 2 agosto del'32, e di lì a poco la Voce della ragione di Pesaro, il 31 gennaio del'33, e l'Amico della gioventù (1832, II, 73), con tali accuse e commenti, che l'ambasciatore austriaco a Firenze, sollecitato dal suo governo, presentava a quello toscano, il 1° marzo del '33, un reclamo contro l'Antologia per "une animosité marquée contre le Gouvernement Impérial" e per "des infirmations odieuses et même des sorties violentes, quoique indirectes, contre l'Autriche", specialmente nel fascicolo del settembre 1832, sollecitando esso governo a essere "attentif à la tendence dangereuse et révolutionnaire de l'ouvrage en question", mentre, non dubitando che non mancherebbe "de faire éprouver à la rédaction l'effect d'une juste animadversion", attendeva "la communication des mesures qui auront été prises à cet égard". Placato con assicurazioni l'ambasciatore, il governo non diede molestie al Vieusseux, se non col raccomandare al censore di rendere "più castigata" l'Antologia, esercitando su essa "uno scrupoloso, e quasi direi sospettoso esame"; ma il numero del novembre-dicembre 1832, uscito ai primi di febbraio del '33, contenente nella critica del volgarizzamento di Pausania del Ciampi una parentesi, argutamente poi detta dal Tommaseo, che ne era autore, "greca insieme e italiana e austriaca", e il rimprovero di Luigi Leoni per la dedica fatta a Niccolò I da Angelo Curti del poema su Pietro di Russia di non vedere e sentire "il sangue i gemiti e il disperato grido di una massacrata e dispersa nazione", quale la polacca, diede luogo alla denunzia e ai commenti ingegnosi e maligni della Voce della verità nel n. del 21 marzo, giunto a Firenze il 23. Sicché, in seguito certo a un passo diplomatico (consigliato dalla stessa Voce e con lettera del 12 marzo quasi preannunziato dal Curti al Vieusseux) degli ambasciatori d'Austria e di Russia, che dovettero esigere la punizione de' due scrittori anonimi, non avendo il Vieusseux nobilmente voluto a niun patto rivelare il nome de' due suoi amici, e dichiarato di prendere su di sé "qualunque responsabilità, pronto a soffrire tutte le conseguenze", quel giornale, che era il più grande amore del Vieusseux, e che rimase il più caro ricordo di tutta la sua vita, quel giornale, che era come un altare sul quale egli aveva per dodici anni alimentata la fiamma sacra dell'amore di patria, e la speranza, fu soppresso il 25 marzo, con gioia grande della camarilla dei retrogradi, che ne menarono vanto inverecondo, ma in Italia e fuori d'Italia compianto da tutti i buoni con pubbliche e private testimonianze, e da taluni pianto con lacrime vere. E nel 1866, nella stessa Firenze non più granducale, ma capitale della Italia rinnovellata, scelse il Protonotari come lieto auspicio al suo giornale il titolo di Nuova Antologia, sentendo egli (I, p. V) "l'obbligo di rannodare le tradizioni illustrî ed intemerate dell'Antologia, e ravvivare altresì con tal nome gli onori e la gratitudine sempre dovuta alla memoria de' suoi fondatori".
Bibl.: N. Tommaseo, Di Giampietro Vieusseux e dell'andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo, Firenze 1863; 2ª ed. con aggiunte, 1864; M. Cellini, Ricordi storici intorno a G. P. Vieusseux e il tempo nostro, riuniti in questa da altre edizioni e giornali, Firenze 1869; P. Prunas, L'Antologia di Gian Pietro Vieusseux; storia di una rivista italiana, Roma 1906; V. Cian, La prima rivista italiana, in Nuova Antologia, 1° agosto 1906; E. Clerici, Le polemiche intorno all'Antologia, in Giornale storico della lett. ital., 1906, fasc. 144, p. 387; A. De Rubertis, l'Antologia di Gian Pietro Vieusseux, Foligno 1922; id., Nuove discussioni e ricerche sull'Antologia di G. P. Vieusseux, in Rassegna storica del Risorgimento, 1926, fasc. 2°; A. Luzio, L'antologia del Vieusseux, in Studi e bozzetti di storia letteraria e politica, Milano 1910, I, p. 273; id., La soppressione dell'Antologia, in Garibaldi, Cavour, Verdi, Torino 1924, p. 454.