ALBIZZI, Anton Francesco
Nato a Firenze l'11 ott. 1486 da Luca di Antonio, ebbe educazione colta e raffinata, sebbene al riguardo non ci restino testimonianze precise; sarà, infatti, tra i frequentatori degli Orti Oricellari. La sua prima azione politica di rilievo è legata agli avvenimenti che fecero abbandonare la carica di gonfaloniere a Pier Soderini e riportarono il governo dei Medici a Firenze. Partecipò, infatti, con Baccio Valori, Paolo Vettori ed altri giovani fiorentini "tutti di malaffare", come scriveva lacopo Guicciardini al fratello Francesco, al colpo di mano del 30 ag. 1512 nel Palazzo della Signoria. L'A. insieme con i suoi amici congiurati, dopo aver forzato la guardia che difendeva il Palazzo, entrato nella sala ove si trovava il gonfaloniere, lo esortò, minacciandolo con le armi, ad abbandonare il governo della città e a rimettere in libertà i "Palleschi" imprigionati. Il Soderini, come si sa, preoccupato dal saccheggio di Prato per opera delle truppe spagnole e pontificie, che si preparavano ad assalire Firenze, lasciò immediatamente la città. Due giorni dopo, il i settembre, l'A. si recava a Prato a scortare Giuliano de' Medici, lo accompagnava a Firenze e gli offriva ospitalità nella propria casa.
Per quel che riguarda i rapporti dell'A. con i Medici, la storiografia fiorentina cinquecentesca è concorde nell'affermare che, prima dell'azione del 30 agosto, erano esistiti contatti tra Giuliano de' Medici e l'Albizzi. Questi due, infatti, si incontrarono nella villa di Nipozzano nel Casentino, di proprietà dell'A., per concordare il piano della congiura. Se èda escludere che l'A. abbia agito in questo modo per danaro, come ripete il Litta, ècerto che egli era legato ai Medici e in particolare al cardinale Giovanni, il futuro Leone X, da rapporti di amicizia e riconoscenza per favori ottenuti.
Nel 1513, quando si riorganizzava il governo dei Medici, l'A. fece parte degli Otto di Guardia e di Balia, che processarono Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di aver congiurato contro il cardinale Giovanni de' Medici.
Dopo quest'anno i sentimenti dell'A. verso i Medici mutarono radicalmente, probabilmente perché non si realizzava quella signoria di "Grandi" che era nei suoi ideali. Allontanatosi quindi dalla città e recatosi a Roma, ottenne da Leone X il governo di Narni. Dal 1518 nulla sappiamo della sua attività politica pubblica, che dovette praticamente cessare, sussistendo la sua opposizione al governo fiorentino.
Il suo nome è fatto nel corso di un processo del giugno 1526, svoltosi a Civitavecchia contro un gruppo politico antimediceo. Dagli atti del processo risulta che l'A. avrebbe dovuto far parte, se si fosse potuto rovesciare il governo florentino, della magistratura che doveva riorganizzare in Firenze un governo ispirato all'ordinamento costituzionale veneto.
Nel 1527, dopo la cacciata del cardinale Passerini da Firenze e l'instaurazione del governo repubblicano, l'A. si gettò di nuovo nella lotta politica, schierandosi questa volta decisamente nel campo antimediceo, con posizioni di intransigenza che conserverà fino alla morte. Nel maggio del 1527, inviato con Zanobi Bartolini a Pisa per riconfermare l'autorità di Firenze su questa città, l'A. portò a termine la missione felicemente, ottenendo contemporaneamente la sottomissione della fortezza di Livorno. Sempre nel maggio, in Firènze, capeggiando un tumulto di cittadini contro il gonfaloniere Non, che si dimostrava incerto nell'azione, ne provocò la sostituzione con Niccolò Capponi, che entrò in carica il i giugno. Era, quindi, nel novembre del 1527, inviato, come oratore della Repubblica, incontro al Lautrec, mandato in Italia da Francesco I per organizzare un 'invasione del Regno di Napoli.
Le qualità diplomatiche dell'A, dovevano essere non comuni, se riusciva ad ottenere tutta la simpatia del Lautrec, ad entrare in cordiali rapporti con Andrea Doria e a portare a termine, l'anno successivo, le trattative per la firma di un. patto di alleanza, detto Lega Santissima (Ferrara, 26 maggio 1528), tra i Veneziani, il papa, il re di Francia, il re d'Inghilterra, il duca Alfonso di Ferrara e la Repubblica fiorentina, Tornato a Firenze, venne eletto nel 1529 membro dei Dieci della Guerra, che avevano sostituito la vecchia magistratura degli Otto di Pratica, e si batté in questo consiglio perché la Repubblica operasse in modo da potersi alleare con Carlo V contro il pontefice, proponendo, il 15 luglio, inutilmente una missione diplomatica presso l'imperatore. Carlo V e il pontefice intanto concludevano il trattato di Barcellona, che avrebbe segnato la fine della Repubblica di Firenze (il trattato era stato firmato il 29 giugno, ma in Firenze se ne ebbe notizia soltanto a fine luglio).
Attaccata la Repubblica dalle truppe imperiali comandate dall'Orange, l'A. venne inviato in agosto ad Arezzo come commissario. Qui si unì a lui, ai primi di settembre, Malatesta Baglioni, che era fuggito da Perugia insorta. Venuti a sapere della presa di Cortona (14 settembre) da parte dell'Orange, l'A. e il Baglioni decisero di abbandonare Arezzo, lasciandola sguarnita d'ogni difesa.
Sull'abbandono di Arezzo da parte del presidio fiorentino, azione che sul piano militare avvantaggiò notevolmente gli Imperiali favorendo l'assedio di Firenze, la storiografia fiorentina, sulle orme del Varchi, fatta eccezione per il Nardi, che non accenna al fatto, e ilDonati, parla di tradimento dell'Albizzi.
Questa tesi è insostenibile, esistendo, tra le altre prove, una decisione della Signoria del 29 ag. 1529 con la quale il gonfaloniere autorizzava l'A. ad abbandonare Arezzo in caso di impossibile difesa. È inesatto, tra l'altro, quanto afferma il Varchi: che l'A. non tornò a Firenze dopo questo avvenimento. L'A., invece, alla riunione dei Dieci, tenutasi il 27 settembre, prese la parola per scagionarsi dall'accusa mossagli di aver abbandonato Arezzo eper sostenere, ancora, che si dovevano intavolare trattative con Carlo V e con l'Orange per ottenere la pace. A questa opinione sulle trattative con l'imperatore doveva probabilmente indurlo il consiglio del suo amico Andrea Doria.
Dopo la sconfitta della Repubblica (12 ag. 1530), l'A. fu costretto da Alessandro de' Medici, per quanto avesse chiesto, secondo il Segni, il perdono di Clemente VII, al confino a Spoleto, confino che gli venne riconfermato nel 1533. Nel 1534, recatosi a Roma insieme con altri esuli dopo la morte di Clemente VII, per chiedere aiuto al nuovo pontefice, venne dichiarato ribelle da Alessandro de' Medici. Ritiratosi a Gaeta, ed essendo tra i rappresentanti più in vista dei fuorus citi fiorentini, fu da questi nominato "procuratore della libertà fiorentina" insieme con lacopo Nardi e altri. L'armo successivo fu delegato, insieme con il Nardi, dai fuorusciti a recarsi a Napoli per chiedere l'aiuto di Carlo V, che era colà arrivato il 25 novembre. L'A. però, si disse su consiglio del Doria, non si presentò all'imperatore e la missione degli esuli falli completamente.
Dopo l'uccisione di Alessandro de' Medici per opera di Lorenzino, gli esuli, tra i quali l'A., si riunirono a Roma per concordare con i cardinali antimedicei Salviati, Ridolfi e Gaddi, appoggiati da Paolo III, l'azione da svolgere presso il nuovo signore di Firenze, Cosimo. I cardinali partirono per Firenze il 14 genn. 1537, scortati dall'A., che era a capo di un piccolo contingente di armati, ma presso Montepulciano gli inviati di Cosimo, Vincenzo de' Nobili e Francesco Bandini, proibirono agli armati di entrare nel territorio fiorentino; l'A. dovette dunque fermarsi in quella località. La missione dei cardinali non ebbe d'altronde alcun risultato apprezzabile, essendosi concluse le trattative soltanto con una promessa, non mantenuta, di Cosimo I sul permesso concesso agli esuli di rientrare in Firenze.
La posizione dell'A. nel campo dei fuorusciti e sul problema dell'azione da svolgere con i cardinali antimedicei ha notevole importanza: egli, infatti, insieme con Baccio Valori e contro il possibilismo dell'altro capo fuoruscito, Filippo Strozzi, sosteneva una politica di lotta radicale contro i Medici, nè era del parere di doversi alleare con i "cardinali", dicendo che questo sarebbe stato un voler "mutar fiasca e non vino". Da ciò il propugnare, da parte dell'A. e del Valori, un'azione militare decisa. Opinione che fu adottata anche dallo Strozzi, dopo il fallimento della missione dei cardinali, e che portò all'organizzazione di un esercito fuoruscito, che attaccò la Toscana e a Montemurlo fu sconfitto dalle truppe di Cosimo, comandate da Alessandro Vitelli, tra il 31 luglio e il I ag. 1537. L'A., fatto prigioniero insieme con il Valori, con il figlio di questo, Filippo, con il Rondinelli e altri di minor rilievo, venne condotto al Bargello in Firenze, dove, dopo esser stato processato e torturato, fu decapitato il 20 ag. 1537.
Fonti e Bibl.: P. Litta, Fam. cel. ital., Albizzi, tav. XIX; B. Segni, Storie fiorentine, Milano 1805, I-II, passim; B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze 1838-41, 1-111, passim; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1842, I-II, passim; F. de' Nerli, Commentari dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze..., Trieste 1859,I-II, passim; Annales Arretinorum, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXIV, 1, a cura di A. A. Bini e O. Grazzini, pp. 225, 234; Carteggio di Francesco Guicciardini, a cura di R. Palmarocchi, I, Bologna 1938, pp. 94-96; P. O. Falletti-Fossati, Assedio di Firenze, I, Palermo 1885. pp. 54, 78, 85, 367; F. T. Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Mélicis, Paris 1890, II, p. 508; III, pp. 211-212, 243, 453-454: O. Capasso, Paolo III, Milano-Roma 1924, II, pp. 216-223; O. Roth, L'ultima Repubblica Fiorentina, Firenze 1929, passim; O. Spini, Cosimo I de' Medici e la indipendenza del principato mediceo, Firenze 1945, pp. 45, 86, 113-122; R. v. Albertini, Das fiorentinische Staatsbewusstsein im Uebergang von der Republik zum Prinzipat, Bern 1955, pp. 89, 215, 317.