MENGS, Anton Raphael
Pittore, nato il 22 marzo 1728 ad Aussig (Ustí nad Labem, Boemia), morto a Roma il 29 giugno 1779. Nel 1741 venne in Roma, dove si fermò sino al 1744, e in questo tempo fu allievo di M. Benefial, il quale si può ben considerare come uno dei precursori di quella reazione neoclassica nella pittura, che poi il M. doveva impersonare. Nel 1744 tornò a Dresda; nel 1746 era di nuovo a Roma, dove si convertì alla religione cattolica e sposò una romana. Dopo un altro soggiorno a Dresda, tornò a Roma, e vi strinse amicizia con il Winckelmann.
Nel 1757-58 dipinse nel soffitto della chiesa di S. Eusebio il santo in gloria, e nel 1761 terminò il Parnaso per la Villa Albani, opera che gli diede vasta rinomanza. Da Napoli, dove s'era recato, fu invitato a Madrid presso la corte spagnola, dove, con il suo modo di dipingere legato ai preconcetti teorici che sempre guidarono la sua attività d'artista, venne a mettersi in assoluto contrasto con la fantasmagorica pittura del Tiepolo, come si vede negli affreschi eseguiti nel castello di Madrid. Nel 1771 era di nuovo in Roma e veniva eletto principe dell'Accademia di San Luca, che mostrava così di volersi mettere risolutamente per la strada della reazione al barocco. Nel 1772 dipinse la Sala dei papiri nella Biblioteca Vaticana; nel 1773 andò nuovamente a Madrid, ma la malferma salute lo indusse a ritornare in Italia e a Roma, dove rientrò nel 1777, per morirvi nel 1779. Fu sepolto in S. Michele in Borgo, in un monumento funebre, opera di V. Pacetti.
Il M. fu creduto dai suoi contemporanei il più grande pittore d'Europa, il vero riformatore della pittura corrotta dal barocco e dal rococò. In verità le cose migliori del M. sono, come solitamente avviene per gli artisti che seguono una teoria e non la propria ispirazione, i ritratti, nei quali doveva necessariamente sentire il freno della realtà.
Gli scritti del M., redatti in diverse lingue e messi insieme dai suoi amici, contengono la spiegazione migliore della sua pittura. Fin dalla nascita, i nomi impostigli del Correggio e di Raffaello dovevano essere la sua guida nell'operare. Il M. dava il primato a Raffaello per il disegno e per l'espressione; al Correggio per la grazia e per il chiaroscuro; a Tiziano per il colorito. Il suo maggiore studio era per Raffaello, che, secondo un suo biografo, il M. superò, perché più "idealista" di lui. Per i contemporanei le opere del M. erano appunto caratterizzate da una sublime bellezza ideale; e le sue composizioni erano formate di molte parti perfette, che egli sapeva opportunamente scegliere. È chiaro dunque che il concetto che il M. ebbe della bellezza si può fare risalire a quello che ne aveva avuto G. P. Bellori (v.), teorico dell'idealismo secentesco, e la sua arte può essere considerata come l'ultima espressione di quella corrente pittorica che in Roma nel Seicento si opponeva alla tendenza più verameme barocca del Cortona e del Gaulli, e aveva i suoi massimi rappresentanti nel Sacchi e nel Maratti, che si vantavano d'ispirarsi a Raffaello e al Correggio.
Bibl.: A. Kirschner, R. M., Aussig 1896; M. Christoffel, Der schriftl. Nachlass d. A. R. M., ecc., Basilea 1918; J. v. Schlosser, Die Kunstliteratur, Vienna 1924; K. Gerstenberg, J. J. Winckelmann u. A.R.M., Halle s. S. 1929; P. F. Schmidt, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, Lipsia 1930; K. Gerstenberg, Die künstl. Anfänge des A. R. M., in Zeitsch. f. Kunstg., 1933.