Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Antonello da Messina è una delle figure chiave della pittura del Quattrocento. Formatosi a Napoli, a contatto con esempi artistici eterogenei provenienti dalla Provenza, dalla Spagna, dalle Fiandre, egli coniuga in mirabile sintesi il naturalismo e la luminosità fiamminghe con la compostezza formale e la definizione plastica delle figure proprie dell’arte italiana. Il soggiorno a Venezia diffonde il suo stile, che influenza gli artisti della laguna e in particolare l’opera di Giovanni Bellini.
La formazione fra Messina e Napoli
Stando a Giorgio Vasari, Antonello da Messina apprende la tecnica della pittura a olio direttamente da Jan van Eyck. Questi muore nel 1441, ed è impossibile che Antonello ne frequentasse la bottega a Bruges; inoltre, la sua perizia in questo metodo resta lontana da quei modelli.
La sua città natale, Messina, è allora un luogo di importanza maggiore di quella attuale; porto franco, è forse il maggior crocevia di traffico e di commerci del Mediterraneo, tappa obbligata del servizio regolare di galee veneziane che vanno e vengono da Bruges e Londra, e sede di una colonia di mercanti veneziani. A Messina dunque Antonello può ricevere una prima introduzione tecnica al mestiere, e conoscere quanto avviene in ambito veneziano; deve conoscere altrettanto bene le novità della scena provenzale o fiamminga, e ancor più, trattandosi di una città del regno aragonese, sapere quel che avviene tra Barcellona, la Catalogna e Valencia. L’altro grande polo di attrazione è Napoli, una delle capitali del regno, come già aveva mostrato l’umanista napoletano Pietro Summonte.
Nella città partenopea, entrata solo da poco fra i domini aragonesi, è ancora vivo il ricordo del passato angioino, di Renato d’Angiò e del suo pittore Barthélemy d’Eyck; e il nuovo re Alfonso d’Aragona è un grande mecenate e amante d’arte. Il clima artistico e culturale è vivacissimo, e Antonello può vedervi molto, dalle opere fiamminghe alle realizzazioni di pittori catalani come Jacomart Baço e Lluis Dalmau. Non sappiamo però quali opere abbia studiato e, inoltre, una verifica sulle sue scelte tecniche sembra indicare una storia leggermente diversa. Egli, ad esempio, sembra privilegiare il supporto di noce, usato quasi esclusivamente dai pittori provenzali, come se avesse familiarità con i metodi della Provenza angioina; la scrittura dei cartellini nei quadri, poi, non è quella umanistica italiana, ma la cosiddetta “gotica bastarda”, in uso in Francia, in Borgogna e in alcuni codici scritti a Napoli al tempo di Renato d’Angiò; perciò la sua cultura è fondata sullo scambio con le coste provenzale e catalana del Mediterraneo, senza necessità di una conoscenza diretta delle Fiandre.
Artista autonomo a Messina
L’apprendistato, a Napoli o altrove, è certamente finito nel 1457, quando Antonello si impegna a dipingere un gonfalone per la confraternita di San Michele dei Gerbini a Reggio Calabria, a imitazione di quello già eseguito per la confraternita di San Michele a Messina. Entrambe queste opere sono perdute. L’artista è già sposato, e probabilmente è già divenuto padre di Jacobello, il figlio che alla sua morte prenderà le redini della bottega; da un anno ha un apprendista, il calabrese Paolo di Ciacio da Mileto.
Fra il 1457/1458 e il 1460 Antonello lavora fuori Messina – non sappiamo esattamente dove –, prima di fermarsi stabilmente nella città natale; nel 1461 il fratello minore Giordano, legalmente assistito dal padre Giovanni, stipula con Antonello un contratto triennale per l’apprendimento della professione pittorica. Come d’uso, si impegna a non sposarsi durante quel periodo, ed è probabile che la sua formalizzazione notarile fosse voluta dal padre, che mai nascose la sua preferenza per il figlio minore. Dell’arte di Giordano, forse ancora attivo nel 1481, non sappiamo nulla.
Negli anni successivi Antonello realizza molte opere che la casualità storica ha provveduto a distruggere in blocco: nel 1461 dipinge per il nobile messinese Giovanni Mirulla una Madonna col Bambino; nel 1462 esegue per la confraternita di Sant’Elia dei Disciplinati di Messina un gonfalone, simile a quelli realizzati precedentemente per le confraternite di Santa Maria della Carità e di San Michele; nel 1463 è autore, per la confraternita di San Nicolò della Montagna a Messina, di una pala d’altare con Storie di san Nicola, perduta nel terremoto del 1908. A testimonianza di un lavoro ben avviato, e di una prosperità raggiunta, nel 1464 compra la casa in contrada dei Sicopanti, che rimarrà di sua proprietà per il resto della vita.
Da questo momento fino al 1472 vi è una lacuna nei documenti relativi all’artista. Ciò non significa per forza che fosse lontano dalla sua città, in viaggio d’istruzione in Italia o in Europa. A questo periodo risalgono probabilmente le sue prime opere conservate: la tavoletta a due facce della Galleria Regionale di Messina, l’altra, pure a due facce, di collezione privata a New York, la Crocifissione di Sibiu (Muzeul National Brukenthal), il ritratto di Pavia (Pinacoteca Malaspina), le due tavole della Pinacoteca Civica di Reggio Calabria, l’ Ecce Homo nella Galleria Nazionale di Genova (Palazzo Spinola), la Madonna Salting della National Gallery di Londra e i ritratti del Museo della Fondazone Madralisca di Cefalù e del Metropolitan Museum di New York. Un tempo sull’ Ecce Homo del Metropolitan Museum di New York si poteva leggere l’anno 1471, la prima data certa su un’opera giunta fino a noi.
Ritroviamo Antonello nel 1472, quando esegue un gonfalone, perduto, per la confraternita dello Spirito Santo di Noto; lo garantisce per sei anni, e si impegna a restaurarlo gratuitamente in caso di deterioramento. Questa informazione ci consente di ipotizzare che il gonfalone costituisse il primo utilizzo della tecnica a olio per opere pubbliche, data la maggior stabilità della tempera. Da questo momento i suoi impegni artistici si infittiscono: sempre nel 1472 assume l’incarico di eseguire una grande ancona per la chiesa di San Giacomo di Caltagirone, oggi perduta. Nel 1473, esegue, su probabile commissione di suor Frabia Cirino, il polittico, firmato e datato, per le suore di Santa Maria extra moenia di Messina, oggi nel Museo Regionale della città. Si impegna anche a fare un gonfalone perduto per la confraternita della Trinità di Randazzo. Dipinge inoltre alcuni vessilli, anch’essi perduti, per un certo Pietro milite a Messina. Potrebbe essere stata datata 1473 la Crocifissione della National Gallery di Londra, la cui ultima cifra della data è svanita in un foro di tarlo.
Nel parapetto, oggi segato via, del Ritratto di giovane nella collezione Johnson al Museo di Philadelphia vi era un tempo la data 1474; la stessa si leggeva nell’ Ecce Homo della collezione Ostrowsky, scomparso durante la seconda guerra mondiale. In agosto dello stesso anno Antonello s’impegna a dipingere per Giuliano Maniuni l’Annunciazione per Palazzolo Acreide, oggi al Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa. A metà settembre i genitori donano tutti i loro beni al figlio minore Giordano, riservandosene l’usufrutto; è probabile che il gesto sia volto a garantirsi il futuro, nell’evenienza di un viaggio di Antonello sul continente. È in effetti datato 1474 un Ritratto di giovane uomo, vestito alla veneziana, del Museo di Berlino; ciò può voler dire che entro la fine di quell’anno l’artista fosse giunto a Venezia.
Antonello a Venezia
Il viaggio deve essere avvenuto via nave, ovvero con il sistema più veloce e meno rischioso, presumibilmente tramite i buoni uffici del patrizio Pietro Bon, già console dei Veneziani a Tunisi; cadrebbe così la possibilità che durante un ipotetico viaggio via terra, assurdamente lungo e pericoloso, Antonello abbia potuto fare tappa a Urbino, e incontrarvi Piero della Francesca, secondo la vecchia ipotesi di Roberto Longhi (“Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana”, in L’Arte, 1914).
A detta dello studioso solo questa conoscenza, e l’arrivo a Venezia, consentirebbero ad Antonello di trovare la “sintesi prospettica di forma e colore” che rinnova la sua pittura, assieme a quella di Giovanni Bellini; tuttavia è assai difficile cogliere fra il momento siciliano e quello lagunare segni di discontinuità stilistica. A Venezia egli produce, oltre ai ritratti eseguiti per una clientela esclusivamente veneziana, sia residente in laguna sia nelle colonie, dipinti di iconografia insolita, come il San Girolamo nello studio e il Cristo benedicente (entrambi a Londra, National Gallery), e quella serie mirabile di Cristo alla colonna o Cristo in pietà, dove il coinvolgimento emotivo è del tutto inedito per lo spettatore quattrocentesco.
Per un uomo ironico e tagliente il problema dell’interazione con l’osservatore, naturalmente implicato dalla necessità di render vivo e parlante il ritratto, diviene più forte nell’affrontare il tema sacro. Sulla base di tale esigenza, sollecitata anche dalla tonalità accesa e patetica della devotio moderna, diffusasi dalle Fiandre in tutta l’Europa quattrocentesca, va letta l’invenzione rivoluzionaria della Vergine (Annunciata), nelle due versioni di Palermo (Palazzo Abatellis) e di Monaco (Alte Pinakothek): l’angelo, uno dei protagonisti, è soppresso, e lo spettatore si trova a osservare la scena dal suo punto di vista, e quasi nelle sue vesti.
Nell’agosto del 1475, in laguna, l’artista inizia a lavorare alla pala di San Cassiano, commissionatagli da Pietro Bon, sopravvissuta frammentaria al Kunsthistorisches Museum di Vienna; ciò si desume da una lettera del 1476 dello stesso Bon al duca Galeazzo Maria Sforza di Milano, il quale, dovendo rimpiazzare il pittore di corte Zanetto Bugatto, recentemente defunto, tenta di accaparrarsi Antonello. Il patrizio chiede al duca che, prima di spostarsi eventualmente a Milano, sia concesso al pittore di finire la pala, che sarà una delle più belle pitture d’Italia, per la quale mancano circa 20 giorni lavorativi. Si hanno buoni motivi per pensare che Antonello non abbia accolto l’invito del duca, e sia tornato molto presto a Venezia.
Portavano ancora la data 1475 i due perduti ritratti di Alvise Pasqualino e di Michele Vianello, visti dal cronista Marcantonio Michiel in casa di Antonio Pasqualino a Venezia nel 1532. Sono datati 1475 il cosiddetto Condottiero del Louvre, l’ Ecce Homo della Galleria Alberoni di Piacenza, e la Crocifissione di Anversa (Koninklijk Museum voor Schone Kunsten). Riteniamo si debba leggere 1475 anche la data sul Cristo benedicente di Londra (National Gallery). Allo stesso tempo dovrebbe datarsi anche il bellissimo San Girolamo nello studio sempre della National Gallery di Londra.
Il rientro a Messina e le ultime opere
Porta la data 1476 il cosiddetto Ritratto Trivulzio del Museo Civico di Torino. Verso la fine di quell’anno Antonello è di ritorno a Messina. Probabilmente lascia a Venezia, nelle mani di qualche aiutante, una bottega ben avviata, capace di dragare commissioni in sede locale, e girargliele a Messina. Forse per una clientela veneziana, abituata a un più acceso patetismo alla fiamminga, sono dipinti capolavori come il Cristo alla colonna del Louvre, o la Pietà del Prado. Ma non per questo Antonello rinuncia alle occupazioni di più tradizionale tipologia siciliana, ad esempio il perduto gonfalone dell’Annunciata di Ficarra del 1477, o i non meglio precisati lavori fatti per il duomo di Catania, pagatigli dai “giurati” cittadini.
È datato 1478 il Ritratto di giovane del Museo di Berlino, il primo in cui la testa dell’effigiato si staglia, in un ulteriore avvicinamento ai modelli del fiammingo Hans Memling, contro un paese e un cielo dalle forti valenze atmosferiche. Nell’estate dello stesso anno, la confraternita di San Rocco a Venezia, appena costituita e istituzionalizzata a seguito dell’epidemia di peste scoppiata nella città, gli commissiona un trittico da porre sul proprio altare nella chiesa di San Giuliano; l’opera doveva comprendere al centro la figura di san Rocco, a sinistra un san Sebastiano e a destra un san Cristoforo. Pur iniziando subito, Antonello riesce a dipingere solo il San Sebastiano, oggi al Museo di Dresda: muore infatti poco dopo il 14 febbraio 1479; il perduto San Cristoforo aveva secondo le fonti la firma del figlio Jacobello, o “Pino da Messina”. Il San Rocco andò forse distrutto nel crollo parziale della chiesa nel 1556. Nel novembre 1478 Antonello si era impegnato a dipingere una bandiera di zendado rosso per Ruggero di Luca da Randazzo e il 25 febbraio 1479 il figlio Jacobello s’incarica del completamento.