Antoni, Geymonat, Abbagnano e Pareyson
Nell’ambito del neoidealismo, predominante in Italia nella prima metà del Novecento, si colloca la riflessione di Carlo Antoni (Senosecchia, Trieste 1896-Roma 1959), che, con Guido De Ruggiero, nel secondo dopoguerra prese parte all’esperienza de «La nuova Europa». Volontario e medaglia di bronzo nella Prima guerra mondiale, germanista e filosofo, Antoni insegnò a Padova e a Roma. Attratto in particolare dal pensiero di Benedetto Croce (Commento a Croce, 1955), si dedicò soprattutto all’analisi dello storicismo tedesco, nel quale vide la nascita della storia e del sentimento nazionale (Dallo storicismo alla sociologia, 1940; La lotta contro la ragione, 1942), ma anche i germi del disfacimento che dovevano condurre al nazismo. In Hegel colse la reazione all’irrazionalismo romantico, ma anche la subordinazione dell’individuo allo Stato, non risolta da Karl Marx, che pure inserì nella dialettica della storia la rivendicazione dell’uguaglianza di derivazione giusnaturalistica (Considerazioni su Hegel e Marx, 1946).
In polemica con la cultura idealistica fu invece Ludovico Geymonat (Torino 1908-Rho 1991), il più rappresentativo esponente dei rapporti tra filosofia e scienza. Di formazione torinese (ebbe come maestri Annibale Pastore, Giuseppe Peano, Erminio Juvalta), fu nel 1956 il primo cattedratico, a Milano, di filosofia della scienza. Il suo percorso partì dal neopositivismo (Studi per un nuovo razionalismo, 1945). L’affermazione del valore euristico della scienza si connette alla funzione risolutiva della filosofia e della storia, che ne garantisce nel fluire del tempo l’approssimazione al reale (Filosofia e filosofia della scienza, 1960). Fortunate le sue opere di divulgazione storica, il Galileo Galilei (1956) e la monumentale Storia del pensiero filosofico e scientifico (7 voll., 1970-1972). Grande impegno profuse nell’attività politica, partigiano, assessore per il Partito comunista italiano, redattore de «L’Unità».
Ai problemi metodologici della scienza si interessò anche Nicola Abbagnano (Salerno 1901-Milano 1990), allievo di Antonio Aliotta, con il testo La fisica nuova (1934). Tuttavia, fu soprattutto all’esistenzialismo che dedicò – una volta trasferitosi all’Università di Torino – le proprie energie, divenendone il maggior esponente italiano (La struttura dell’esistenza, 1939 e Introduzione all’esistenzialismo, 1942). Fu lui ad animare il dibattito su quel tema che si svolse tra le tragedie della guerra sulla rivista di Giuseppe Bottai «Primato» nel 1943. Nel dopoguerra divenne uno dei principali esponenti del cosiddetto neoilluminismo, impegnandosi nella costruzione di una cultura filosofica laica e aperta ai più significativi orientamenti del pensiero filosofico straniero. Di qui i suoi interessi per il neo-pragmatismo (John Dewey), la sociologia, il neopositivismo. Successo e popolarità gli diedero due grandi opere, la Storia della filosofia (3 voll., 1946-1950) e la Storia delle scienze (3 voll., 1962), mentre il suo Compendio di storia della filosofia (3 voll., 1945-1947) per decenni rappresentò per le scuole superiori l’alternativa ai manuali cattolici.
Sempre all’Università di Torino ebbero luogo la formazione e l’insegnamento di Luigi Pareyson (Piasco, Cuneo 1918-Milano 1991), allievo di Augusto Guzzo, che seguì le lezioni di Karl Jaspers a Heidelberg e quindi partecipò alla Resistenza tra le fila del Partito d’azione. Egli presentò una forma di esistenzialismo non solo come una filosofia dell’individuo, ma come un pensiero capace di porre fine alle ideologie ottocentesche, responsabili dirette delle tragiche crisi del Novecento (La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers, 1940; Esistenza e persona, 1950). Sören Kierkegaard, negando l’identità tra pensiero e realtà, è la vera alternativa a Hegel e può farci scorgere una via d’accesso alla realtà (esistenzialismo personalistico e ontologico) capace di tracciare una storia della filosofia intesa come dissoluzione dell’hegelismo. E attraverso Kierkegaard, Pareyson giunge a un cristianesimo tragico, eppure il solo capace di dare una risposta alla deriva atea e nichilista del pensiero contemporaneo. Come Martin Heidegger, egli approda all’ermeneutica (Verità e interpretazione, 1970), nella quale l’esistenza in quanto tale si caratterizza come la comprensione dell’essere trascendente.