PALLERINI, Antonia
PALLERINI, Antonia. – Nacque a Pesaro il 25 giugno 1790, figlia di Filippo, maestro di ballo e ballerino, e di Rosa Fedeli, cantante.
Appartenente a una famiglia di artisti – ne fecero parte i ballerini Celestina e Girolamo e il ballerino e coreografo Antonio Pallerini (1819-1892) – rimase presto orfana di padre e venne educata alla danza dalla madre.
Giovanissima, comparve nel ruolo eponimo del ballo Gernando e Delinda, andato in scena a Venezia, nel teatro di S. Giovanni Grisostomo (l’odierno teatro Malibran), nella primavera 1803. Fu l’inizio di un denso e lungo percorso di ballerina e mima, che andò a comporsi rapidamente attraverso altre tappe, tra cui Il Filopemene di Giuseppe Cajani (Milano, teatro Carcano, 1805), La capricciosa corretta ossia Una curiosa metamorfosi di Antonio Cherubini (Milano, teatro del Lentasio, 1807), La vendetta di Medea di Giacomo Serafini (Firenze, La Pergola, 1808), i balli per il melodramma Talestri regina di Egitto, coreografati da Gaetano Gioia (Roma, teatro Argentina, 1809). A segnare radicalmente il percorso artistico di Antonia Pallerini fu l’incontro con Salvatore Viganò, fondamentale per rivelare e definire «la virtù grande di quella sua eloquenza mimica rappresentativa» (Monaldi, 1910, p. 58). A partire dal 1810, col ballo Cajo Marzio Coriolano, creato nell’Imperial teatro di Torino dal già celebre ideatore del coreodramma, divenne l’interprete privilegiata di Viganò, che sulle sue doti costruì i ruoli principali di apprezzate creazioni scaligere, come Il noce di Benevento (1813), Prometeo (1813), Otello (1814), La vestale (1818), I titani (1819), Giovanna d’Arco (1820) e infine Didone (1821), in cui la Pallerini si esibì spesso a fianco di Nicola Molinari, suo partner d’elezione.
Furono gli anni della luminosa affermazione di doti che i contemporanei considerarono ineguagliate: con Viganò «il di lei ingegno si sviluppò maravigliosamente, e crescer la fece a sì alta rinomanza da non temer ella rivali, e venir così proclamata ad unanimi voti impareggiabile ed unica» (Regli, 1860, p. 378). In particolare, se Prometeo fu il ballo pantomimo che lanciò Viganò nel panorama europeo della creazione coreica come artista di genio, in grado di esprimere con una sapiente successione di eloquenti quadri di movimento le pieghe più recondite dell’essere umano e di scuotere altrettanto in profondità lo spettatore, quel capolavoro arrecò pure la piena consacrazione dell’interprete intelligente e sensibile, capace di un gesto e di un atteggiamento che trovava nutrimento e ragion d’essere nella limpida forza delle passioni. La fama di Antonia Pallerini, attestata dalle lodi della critica e degli spettatori colti – primo fra tutti un ammirato Stendhal – derivò proprio «dal suo sublime atteggiarsi drammatico, non già dalla danza propriamente detta» (I Teatri, 1830, p. 808), a cui pervenne grazie a un aspetto incisivo, fatto di «forme e sembianze che somiglia il modello d’una statua greca, ed han piuttosto i taglienti contorni della scoltura, che i morbidi della pittura» (Ritorni, 1838, p. 345); a detta di Angelo Petracchi (così ne riporta le parole Ritorni, ibid., p. 195), in lei si univa «una sorprendente mutabilità, onde esprimere ogni affetto, e con tinte e tratti sì caratteristici che [...] nulla se ne perdea dallo spettatore più lontano».
Oltre che per Salvatore Viganò, Antonia Pallerini fu interprete per altri coreografi, come Antonio Landini (Il ritorno di Raoul dalla Soria, Torino, teatro Carignano, 1812), Louis Duport (La virtù premiata, Napoli, teatro di S. Carlo, 1816), Carlo Blasis (Il finto feudatario, Milano, La Scala, 1819), Giovanni Galzerani (La scala di legno, ibid., 1819). Pure dopo la morte di Viganò (1821) proseguì in una fiorente carriera. Per qualche anno fu ancora a Milano, in coreografie di Jean Aumer (Nina pazza per amore, 1822), Gaetano Gioia (Kenilworth, 1823), Francesco Clerico (Il finto Soldano, 1824), Giovanni Galzerani (Maria Stuarda, 1826). Nel 1826 lasciò La Scala – vi tornò poi saltuariamente (ma soprattutto in fine di carriera) – e si esibì invece con assiduità su diverse piazze italiane, tra cui il Regio di Torino (1827, 1831, 1837, 1838), il Gran teatro di Trieste (1829, 1838), il Comunale di Bologna (1829), il Ducale di Parma (nel 1829 fu tra gli interpreti della serata inaugurale, come lo fu, nel 1830, per il teatro di Senigallia), La Pergola di Firenze (1830, 1831, 1832), La Fenice di Venezia (1830, 1834, 1835, 1837, 1838), il teatro Grande di Brescia (1839) e, all’estero, lo Her Majesty’s Theatre di Londra (1833), dove peraltro il suo stile non venne particolarmente apprezzato. Ritrovò così autori con cui aveva già lavorato, ma realizzò pure nuove importanti collaborazioni, per esempio con Louis Henry, Salvatore Taglioni, Antonio Monticini e Antonio Cortesi, coreografo di Ines de Castro (Torino, Regio, 1827), che le offrì un nuovo ruolo drammatico perfettamente consono alle sue doti interpretative, quello di Donna Ines, spesso raffigurato nell’iconografia coeva. Intorno al 1840 si ritirò dalle scene.
Morì a Milano l’11 gennaio 1870.
Fonti e Bibl.: Stendhal, Rome, Naples et Florence en 1817, Paris 1817, pp. 79, 88 (ora in Voyages en Italie, Paris 1973, pp. 38, 42); Id., Vie de Rossini, Paris 1824, pp. 369 s., 492 s.; A.P., in I Teatri. Giornale drammatico, musicale e coreografico, Milano 1830, pp. 807-809; C. Ritorni, Commentarii della vita e delle opere coredrammatiche di Salvatore Viganò e della coregrafia e de’ corepei, Milano 1838, pp. 192, 343 s. et passim; F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti ... che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860; G. Monaldi, Le regine della danza, Torino-Milano-Roma 1910, pp. 53, 58 s., 64 s.; I. Guest, The romantic ballet in England: its development, fulfilment and decline, London 1954, ad ind.; G. Tani, P., A., in Enciclopedia dello spettacolo, VII, Roma 1960, coll. 1539 s.; M.H. Winter, The pre-romantic ballet, London 1974, pp. 190-192; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti.Le biografie, V, Torino 1988, p. 555; Storia della danza italiana, a cura di J. Sasportes, Torino 2011, ad ind.