MENEGHEL, Antonietta (in arte, Toti Dal Monte).
– Nacque a Mogliano Veneto presso Treviso il 27 giugno 1893, da Amilcare e da Maria Zacchello, maestri elementari.
La M. – che perse la mamma a sette anni – visse sempre nel culto della figura paterna: figlio di tessitori, Amilcare riuscì non solo a diventare insegnante elementare, ma anche maestro di musica (fu nominato direttore della banda a Mogliano Veneto), e infuse la passione per il canto alla figlia, che a cinque anni poteva contare sui primi rudimenti musicali.
Risposatosi dopo una breve vedovanza, Amilcare ebbe altri tre figli (due femmine e un maschio) oltre alla M. e a un maschio avuti dalla prima moglie. Il percorso musicale della M. iniziò ufficialmente con cinque anni di pianoforte al conservatorio di Venezia sotto la guida di F. Giarda, quindi di G. Tagliapietra. Una tendinite alla mano, alla vigilia degli esami del sesto corso, la obbligò a una battuta d’arresto. La forzata lontananza dalla tastiera la indusse a coltivare il primo amore, ovvero lo strumento-voce; nel 1911 il padre la portò a fare un’audizione dal contralto Barbara Marchisio.
Prossima agli ottant’anni ma ancora attivissima come didatta, la Marchisio rappresentava uno degli ultimi miti viventi del bel canto ottocentesco: insieme con la sorella Carlotta, soprano, era stata una delle interpreti predilette da G. Rossini e la sua villa sulle rive del Brenta era meta di pellegrinaggio da parte di ammiratori e aspiranti cantanti. L’audizione ebbe esito favorevole: la voce appariva piccola e «corta» (mentre proprio la limpidezza del registro sopracuto sarebbe poi diventata una peculiarità della M.), ma la Marchisio restò colpita dalla capacità, evidentemente innata, di dar colore ed espressione a ogni frase. Per le lezioni non volle alcun compenso, richiedendo però una dedizione assoluta, che non lasciava più spazio al pianoforte.
Iniziò così l’edificazione di una tecnica vocale tra le più provette e inattaccabili del Novecento; anche se, a posteriori, furono in molti a ritenere che la Marchisio – in nome della propria forma mentis belcantistica – avesse artatamente trasformato la sua allieva in un soprano leggero di coloratura, anziché assecondarne i mezzi naturali, più da soprano lirico (e l’iniziale mancanza di sopracuti sembrerebbe confermarlo). Sta di fatto che, nonostante la tecnica si fosse modellata sui parametri del «leggero», i primissimi passi della M. furono proprio nella direzione del «lirico»: prima il debutto nella piccola ma non trascurabile parte di Biancofiore della Francesca da Rimini di R. Zandonai (Milano, teatro alla Scala, 22febbr. 1916, accanto a Rosa Raisa e A. Pertile, direttore G. Marinuzzi), poi (un mese dopo, sempre alla Scala) il ruolo di Lola, nominalmente scritto per mezzosoprano, in una Cavalleria rusticana diretta dallo stesso P. Mascagni.
Dall’anno seguente la M. iniziò a mettere in repertorio vari ruoli di soprano leggero, o almeno tradizionalmente eseguiti come tali, facendone subito autentici cavalli di battaglia: Norina del Don Pasquale di G. Donizetti e Gilda del Rigoletto di G. Verdi (1917), Amina della Sonnambula di V. Bellini (1919), Rosina del Barbiere di Siviglia di Rossini (1920), la protagonista della Lucia di Lammermoor di Donizetti (1923). Nel 1918 l’esordio in Pagliacci, Lodoletta e Madama Butterfly sembrò volgere nuovamente l’ago della bilancia in direzione del soprano lirico, anche perché Nedda dell’opera di R. Leoncavallo fu per la M. solo una meteora, ma le due eroine di Mascagni e G. Puccini rappresentarono i personaggi con cui più entrò in empatia. Tuttavia furono in molti a sconsigliarla di seguire questa strada: e se Lodoletta rimase nel repertorio della M., Butterfly fu prontamente messa da parte. Vi rientrò solo vent’anni dopo, diventando il titolo con cui s’identificò la fase finale della sua carriera.
Dunque una carriera che, come testimonia l’esordio avvenuto direttamente sul palcoscenico della Scala (la Marchisio aveva procurato alcune ottime entrature), prese il volo quasi subito, trovando l’apogeo nel ventennio compreso tra le due guerre. A sancire il lancio definitivo fu la collaborazione con A. Toscanini, iniziata nel 1919 con una Nona sinfonia di L. van Beethoven a Torino, ma istituzionalizzata dal 14 genn. 1922, quando la M. affrontò alla Scala – insieme con C. Galeffi e G. Lauri Volpi – la prima di dodici recite destinate a segnare una svolta nella storia interpretativa del Rigoletto.
Riproposto anche negli anni seguenti, lo spettacolo cambiò la percezione del capolavoro verdiano nel modo più semplice e meno scontato: eseguendolo come l’autore lo aveva scritto. Furono reintrodotti alcuni passi solitamente espunti e, rinunciando a cadenze e puntature di tradizione (per quanto riguarda il soprano, Caro nome fu orbato del mi bemolle conclusivo), la lettera dello spartito venne rigorosamente rispettata. Non tutti i cantanti trassero giovamento da una simile operazione: per Lauri Volpi l’esperienza si concluse con una malattia, secondo molti diplomatica, dopo la terza recita, ma per la M. si trattò di un trionfo, replicato alla Scala l’anno dopo con Lucia di Lammermoor, sempre sotto la guida di Toscanini.
Nel 1928 la M. sposò a Sydney il tenore Vincenzo De Muro Lomanto, con cui ebbe l’unica figlia Maria (Milano, 15 apr. 1930 - Vittorio Veneto, 11 giugno 2007), apprezzata attrice di prosa (Marina Dolfin).
Il secondo dopoguerra coincise con un progressivo, ma accortamente gestito, affievolimento delle risorse della M., che preferì accantonare i ruoli di soprano leggero (con l’eccezione di Rosina del Barbiere, mantenuta in repertorio fino all’ultimo), troppo dispendiosi in termini di fiato ed estensione, in favore della sua antica vocazione di soprano lirico. Tornò dunque a Butterfly e si accostò a Manon di J. Massenet, Bohème di Puccini e Traviata di Verdi. Per quest’ultima si avvalse, sul piano scenico, dei consigli di E. Zacconi.
Nel 1937, cedendo alle sollecitazioni di R. Simoni, prese parte a una sua messinscena delle Baruffe chiozzotte di C. Goldoni (a Venezia, nella cornice di campo S. Cosma). Sembrò un mero intermezzo all’interno di un’attività canora ancora molto intensa; ma quando, undici anni dopo, C. Baseggio le chiese di entrare nella sua compagnia goldoniana, l’entusiasmo con cui la M. si gettò nell’impresa coincise con il definitivo distacco dalle scene operistiche. L’esperienza, che escluse ogni altro impegno, durò dal 1948 al 1950. Poi il richiamo del canto tornò a farsi sentire e la M. tra il 1950 e il 1951 intraprese un lungo giro di concerti di arie antiche, accompagnata dalla clavicembalista Egida Giordani Sartori, con cui nacque un sodalizio, umano e professionale, che durò fino alla morte. Da ricordare infine, per quanto meno rilevanti, le occasionali incursioni nel cinema, che iniziarono nel 1939 con Il carnevale di Venezia (regia di G. Gentilomo) e proseguirono nei decenni successivi, fino a un breve «cammeo» in Anonimo veneziano di E.M. Salerno (1970).
A ricomporre i tasselli di una carriera tanto magmatica giunse, dopo il ritiro dalle scene, l’autobiografia della M. (Toti Dal Monte, Una voce dal mondo, Milano 1962, riedizione postuma ampliata, ibid. 1985), interessante – nonostante le molte imprecisioni pro domo sua – per la descrizione della cornice in cui la M. operò. Vi troviamo gli incontri con G. D’Annunzio, Pio XII (che le espresse rammarico per la rinuncia al canto in favore del teatro goldoniano) e i dittatori di quei decenni, da I.V. Stalin ad A. de Oliveira Salazar, da A. Hitler (appassionato sostenitore, in privato, dei benefici effetti della vocalità italiana) a B. Mussolini. Il volume permette anche di conoscere una M. che dà un contributo alla liberazione, dando alloggio a partigiani fuggiaschi e meritandosi un’onorificenza da P. Nenni e S. Pertini.
La M. morì il 26 genn. 1975 a Pieve di Soligo, ove si trova un museo a lei dedicato.
Nonostante le numerose tournée all’estero e un numero rispettabile d’incisioni, l’enorme popolarità della M. fu più italiana e teatrale che internazionale e discografica. La ristrettezza del repertorio e lo scarso interesse per i nuovi titoli che il nostro teatro musicale continuava a produrre (si limitò a prender parte alla prima de Il re di U. Giordano; alla Scala nel 1929, con Toscanini) contribuirono a farne una cantante tradizionale. Lo stesso modo con cui fu chiamata dal pubblico – «la Toti» – dava l’idea di una gloria casalinga, nel senso migliore del termine; e l’aspetto sbarazzino, ma poco glamorous per via della complessione brevilinea e rotondetta (Barilli la definì «il soprano in barattolo»), fu forse alla radice del mancato insediamento al Metropolitan di New York: ottenne due grandi successi nella stagione 1924-25, ma non vi sarebbe più tornata.
Per quanto riguarda le incisioni, quando la M. iniziò a frequentare le sale di registrazione (1924) il mercato discografico era già stato saturato, relativamente al repertorio di soprano leggero, da Luisa Tetrazzini, Amelita Galli Curci, Maria Galvany, Maria Barrientos, Elvira De Hidalgo e Graciela Pareto. Nell’arco di oltre quindici anni – gli ultimi dischi sono del 1941 – la M. registrò una quarantina di brani isolati (arie e duetti, ma anche molte canzoni), che non sempre permettono di percepire la brillantezza timbrica e la ricchezza di armonici per cui era celebre. Mentre l’unica opera completa (una Madama Butterfly del 1939 con B. Gigli) oggi forse testimonia più un gusto sorpassato – quello legato alle Butterfly infantili e leziose – che l’arte canora della Meneghel.
Fonti e Bibl.: B. Barilli, Il paese del melodramma, Lanciano 1929, p. 156; Le grandi voci. Dizionario critico-biografico dei cantanti, Roma 1964, pp. 194 s.; G. Lauri Volpi, Voci parallele, Bologna 1977, pp. 29 s.; A. Sguerzi, Le stirpi canore, Bologna 1978, pp. 103 s.; G. Lauri Volpi, L’equivoco, Bologna 1979, p. 136; C. Polacco, Mi par di udire ancora, Venezia 1987, ad ind.; La Toti, a cura di G. Pugliese, Dosson di Cassier 1993; E. Giordani Sartori, Le mie memorie con Toti Dal Monte, Treviso 1995; P. Padoan, Voci venete nel mondo, Taglio di Po 2001, pp. 184 s.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, Supplemento, p. 234; Enc. dello spettacolo, IV, coll. 28 s.; Diz. enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, II, pp. 389 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, VI, p. 866.
P. Patrizi
(in arte, Toti Dal Monte)
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