RAPHAEL, Antonietta
RAPHAËL, Antonietta. – Nacque a Kaunas, in Lituania, nel 1895, ultima figlia del rabbino Simon e di Katia Horowitz. La data di nascita, modificata da Raphaël stessa sui documenti di identità in alcuni casi in 1899 e in altri in 1900 nel tentativo di non apparire di troppi anni più vecchia del marito Mario Mafai, nato nel 1902, è stata desunta dal certificato del loro matrimonio, datato 20 luglio 1935, da cui risulta che Raphaël avesse allora quarant’anni (Antonietta Raphaël. Sculture, 1985, p. 85).
Nel 1905, dopo la morte del padre, si trasferì con la madre a Londra, dove si dedicò soprattutto allo studio della musica. Nella seconda metà degli anni Dieci iniziò a interessarsi al disegno. Nel 1919 morì anche la madre. Rimasta sola, nella primavera del 1924 decise di trasferirsi a Parigi e da lì, poco dopo, a Roma.
Qui si iscrisse nel 1925 all’Accademia di belle arti e fu lì che incontrò per la prima volta Mario Mafai. Tra i due nacque immediatamente un profondo legame, sostenuto dal comune interesse per l’arte.
Una passione che Raphaël contribuì a nutrire di suggestioni tratte dai suoi giovanili soggiorni all’estero, come, per esempio, quelle generate dalla conoscenza della pittura degli artisti ebrei emigrati a Parigi all’inizio del secolo (Jules Pascin, Marc Chagall, Chaïm Soutine).
Nell’estate di quello stesso anno, incinta della prima delle tre figlie, si trasferì a Montepulciano e poi a Firenze, dove il 2 febbraio 1926 nacque Maria Raffaella (Miriam). Tornò nuovamente a Roma solo dopo l’estate del 1927, e nel luglio del 1928 partorì la seconda figlia, Simona.
Una volta a Roma, ebbe modo di dedicarsi con regolarità alla pittura. Realizzò allora alcuni dei suoi dipinti più noti, come Autoritratto con violino, Mafai che disegna, Simona in fasce, datati tutti 1928.
Raffigurazioni della sua nuova, amata vita familiare, queste opere sono caratterizzate da un acceso espressionismo in cui è tuttavia possibile riconoscere colti riferimenti alla ritrattistica della Roma antica (Antonietta Raphaël. Opere dal 1933 al 1974, 2003, p. 11) e alla pittura degli anni Venti di André Derain (Antonietta Raphaël, 1991, p. 8).
Nel 1929 Raphaël ebbe finalmente l’opportunità di esporre in pubblico per la prima volta il suo lavoro. Esordì, infatti, alla I Mostra del sindacato fascista degli artisti, inaugurata ad aprile nel palazzo delle Esposizioni di Roma. Un suo Paesaggio fu esposto in quell’occasione accanto a opere di Mafai e Scipione, oltre che di Cipriano Efisio Oppo, Amerigo Bartoli, Alberto Ziveri, Arturo Martini, Wanda e Alfredo Biagini. Fu allora che Roberto Longhi, sulle pagine dell’Italia Letteraria, battezzò il piccolo gruppo con il nome di «scuola di via Cavour» riferendosi proprio alla loro pittura «espressionista» e prendendo spunto dall’indirizzo della nuova abitazione di Mafai e Raphaël (R. Longhi, Alle Belle Arti. La Mostra romana degli artisti sindacati II, in L’Italia Letteraria, Roma, 14 aprile 1929).
Ancora nel 1929 espose, sempre a Roma, alla CLIX Mostra collettiva presso la Casa d’arte Bragaglia e alla Camerata degli artisti nella mostra «Otto pittrici e scultrici romane». Le ventidue opere presentate in questa seconda occasione le permisero di ottenere importanti segnalazioni da parte della critica.
Interamente a Raphaël dedicò in quell’occasione la sua recensione sulle pagine del Tevere Corrado Pavolini, che scrisse di lei: «Slava, la Raphaël non è certo coinvolta nei problemi che affaticano i suoi colleghi italiani; essa dipinge l’Urbe ‘come la vede’, col suo temperamento cioè e la sua educazione, con una libertà interpretativa, che non manca tuttavia di denunciare i caratteri di razza. Si tratta di una eccezionale sensibilità coloristica, tendente a sistemarsi in una grazia decorativa d’arabesco lineare. Questa artista avverte nelle cose, nei terreni, nei cieli, negli uomini, una ricchezza tale di gamme, di passaggi del tono, che il tessuto della sua pittura ne acquista una varietà sempre nuova; restando non sai come armonicamente fuso dalla giustezza spontanea dei rapporti. Di rado, anche in opere molto lodevoli, si vedono superfici così per intero ‘dipinte’, senza soste o lacune. Codesta felicità e freschezza cromatica trova negli accenti architettonici del paesaggio romano traduzioni curiose, di sapore prettamente russo, come in cupole e campanili, e anche nel gusto arcaico e popolaresco onde sono intese le forme arboree. [...] Al di là della loro apparenza stramba, espressionistica, frutto non di astratto cerebralismo ma di visione diretta e sincera, tutti questi dipinti dimostrano un’originalità schiettissima di temperamento pittorico» (C. Pavolini, Mostre romane. Antonietta Raphaël, in Il Tevere, Roma, 14 giugno 1929).
Il 13 gennaio 1930 nacque Giulia, la terza e ultima figlia. A marzo, lasciata la casa di via Cavour, si trasferì a Parigi con Mafai. Si trattenne nella capitale francese per quasi quattro anni e lì iniziò a interessarsi alla scultura. Questo cambio di interesse fu conseguenza anche di un desiderio di allentare gli attriti con Mafai, dovuti al continuo confronto sul loro lavoro. Come lei stessa ebbe modo di raccontare, infatti, «è difficile vivere insieme per due artisti che hanno la stessa arte della pittura. Io criticavo lui e lui criticava me. Così andai a scuola serale di scultura» (Antonietta Raphaël. Opere dal 1933 al 1974, 2003, p. 150).
Tra il 1931 e il 1932 fece un breve soggiorno a Londra, dove tentò, con l’aiuto dello scultore Jacob Epstein, di esporre alcuni dipinti presso la Redfern Gallery, ma il progetto non andò in porto.
Tutti i dipinti che Mafai le spedì per l’occasione a Londra (tra cui quasi tutti quelli esposti alla Camerata degli artisti nel 1929 e alcuni di quelli dipinti a Parigi) andarono purtroppo perduti.
Di nuovo a Parigi insieme a Mafai, Raphaël visse uno dei periodi più duri della sua vita e fu costretta a riprendere a dare lezioni di pianoforte e di inglese per riuscire a mantenersi.
Nel novembre del 1933 tornò a stabilirsi a Roma. Iniziò allora a dedicarsi intensamente alla scultura, recandosi spesso a lavorare nello studio di Ettore Colla, a Castro Pretorio.
In quell’anno realizzò la prima opera plastica di cui si ha notizia, un piccolo gesso raffigurante Miriam che dorme. Quest’opera diede inizio alla sua sorprendente carriera di scultrice, con una produzione vicina, nei primi anni, al classicismo di Aristide Maillol.
«Di Maillol, Raphaël seppe intuire il motivo centrale della solare grandezza: quello dato dal nascondere al centro della figura, sotto una pelle di levigata perfezione, nell’involucro intatto di una forma apparentemente intaccata dalla passione, il groppo denso dei pensieri e dei sentimenti di un animo» (Antonietta Raphaël, 1991, p. 10).
Il 20 luglio 1935 Raphaël e Mafai si sposarono.
Riprendendo dopo tanti anni la sua attività espositiva, nel 1936 presentò due sculture, Simona e Giuliana (quest’ultima, così indicata nel catalogo della mostra, forse identificabile con il Ritratto di Giulia dello stesso 1936), alla VI Mostra del sindacato fascista belle arti del Lazio e nel 1937 una Composizione alla VII Sindacale romana. Nel 1938 all’VIII Sindacale laziale presentò nuovamente due sculture, Bambina dormiente e Adolescente.
Nel 1939 si trasferì con la famiglia a Genova per sfuggire alle persecuzioni razziali. Lì rimase fino alla fine della guerra, conducendo una vita appartata, sostenuta dalla solidarietà e dall’amicizia di importanti collezionisti, come Emilio Jesi e Alberto Della Ragione, e dagli incontri con Giacomo Manzù, che in quel periodo andò spesso a trovarla. Fu in quegli anni difficili della guerra che realizzò le sue sculture più mature, tra cui Madre di Alberto Della Ragione (1941), Mafai con il gatto (1942), Busto di Simona (1943) e Mafai con i pennelli (1943): opere in cui l’immagine finale è sorretta da «un canone antinaturalistico, o almeno disinteressato alle più ovvie apparenze del reale», e che, tuttavia, «duramente e infallibilmente penetra dentro le ragioni di una vita» (Antonietta Raphaël. Sculture, 1985, p. 16).
Durante gli anni del conflitto la sua carriera pubblica conobbe di nuovo una forzata interruzione, riprendendo lentamente solo nel dopoguerra con la partecipazione ad alcune mostre collettive. Nel 1946 espose alla I Mostra d’arte sociale a Genova e nel 1948 alla V Quadriennale d’arte di Roma e alla III Mostra regionale degli artisti liguri a Genova. Nel 1947 tenne anche la sua prima mostra di scultura alla galleria Barbaroux di Milano, dove espose diverse opere accanto a un nucleo di dipinti di Mafai degli anni Quaranta.
Nel 1948 inviò anche per la prima volta un’opera (Le tre sorelle nella versione in gesso) alla Biennale di Venezia. Prese parte nuovamente alla rassegna veneziana nel 1950 con tre opere (Figura di donna, Fuga di Sodoma e Toro morente) e l’anno successivo alla VI Quadriennale di Roma, dove presentò quattro sculture (Ritratto di Jesi, Ritratto di Mafai con i pennelli, Simona che canta e Ritratto di Renato Guttuso).
All’inizio del 1952 si stabilì definitivamente a Roma. Nel marzo dello stesso anno venne presentata da Virgilio Guzzi un’ampia antologica del suo lavoro di scultrice alla galleria romana Lo Zodiaco. L’esposizione ricevette importanti segnalazioni da parte, tra gli altri, di Renato Guttuso, Corrado Maltese, Alfredo Mezio e Marcello Venturoli.
Fu proprio allora che la critica, oltre a occuparsi della sua attività di scultrice, iniziò a mettere in evidenza l’importanza avuta negli anni Trenta dalla sua personalità nell’alimentare le ricerche della ‘scuola romana’.
Nel 1955 a questo proposito Dario Micacchi scrisse sull’Unità: «La sua pittura è appassionata e istintiva; il colore sanguigno e acceso infiamma volti e oggetti e li carica di un patetico simbolismo. Giustamente per queste pitture s’è parlato di Chagall, Kisling e Soutine, nonché delle icone bizantine. C’è senz’altro nella Raphaël un temperamento artistico assai vicino a quello dei pittori nominati: temperamento sognante e passionale, tutto incubi improvvisi e rapimenti allucinati, dotato di un sentimento della natura tenebroso e anche religioso, d’una sensualità prorompente, sempre in contrasto con l’idea della morte. […] Da tale temperamento soprattutto Scipione dovette essere conquistato: nel ’28-’29 la pittura di questi muta profondamente e i primi ritratti, i primi paesaggi romani nascono sicuramente sotto la diretta influenza della pittura della Raphaël». Alfredo Mezio similmente osservò allora: «Rivedendo alcuni di questi ‘poemetti maudits’, dipinti verso il ’28-’30, e confrontandoli mentalmente con la Meretrice romana, il Castel Sant’Angelo o il Principe cattolico di Scipione, o con certe composizioni dove più tardi Mafai sperimenta una pittura a base di miele, di cera vergine e petrolio, ci accorgiamo che la parte della Raphaël nella storia di quel sodalizio non fu di subalterno ma di rivale (della riva vicina) e forse di generosa incubatrice» (Antonietta Raphaël. Opere dal 1933 al 1974, 2003, p. 162).
Tra il maggio e il luglio del 1956 Raphaël intraprese un lungo viaggio in Cina, assieme a una delegazione di artisti italiani tra cui Aligi Sassu e Giulio Turcato. Tra l’ottobre e il gennaio successivi propose le opere ispirate a questo viaggio in tre mostre personali: alla galleria L’Incontro di Roma, presentata da Maltese, alla Strozzina di Firenze, presentata da Cesare Brandi, Mezio e Alberto Moravia, e all’Unione sindacale di Torino, presentata ancora da Brandi.
Nel 1957 fu tra i rappresentanti dell’arte italiana raccolti nella mostra «Ausstellung italienischer Kunst von 1910 bis zur Gegenwart», all’Haus der Kunst di Monaco. Lo stesso anno venne invitata da Giovanni Carandente alla Mostra all’aperto della scultura italiana da lui curata a Messina. Nel dicembre del 1959 espose all’VIII Quadriennale di Roma quattro dipinti databili prima della guerra e otto sculture.
A coronamento di questa progressiva e costante rivalutazione della sua opera, nel 1960 si aprì al Centro culturale Olivetti di Ivrea la prima grande retrospettiva sul suo lavoro (poi trasferita a Torino e a Roma). Lo stesso anno venne pubblicata la prima monografia su di lei, curata da Valerio Martinelli.
Nel 1965 morì Mafai. Raphaël riprese allora a dipingere intensamente, anche perché dalla fine del decennio la salute progressivamente le impedì di compiere la maggiore fatica richiesta dalla scultura. Nel 1967 un ampio nucleo delle opere da lei realizzate tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta fu presentato da Carlo Ludovico Ragghianti nella mostra «Arte moderna in Italia 1915-1935» in palazzo Strozzi a Firenze.
Alla fine del decennio, grazie al successo crescente delle sue mostre, Raphaël riuscì a portare a compimento la fusione in bronzo di tutta la sua produzione plastica.
Nel 1970 fu tra gli scultori italiani selezionati dalla Quadriennale di Roma per la mostra «Scultori italiani contemporanei». itinerante in diversi Paesi europei, in Sudamerica e in Giappone.
Morì a Roma il 5 settembre 1975.
Fonti e Bibl.: A. R. Sculture (catal.), a cura di F. D’Amico, Milano 1985; A. R. (catal., Modena), a cura di F. D’Amico, Bologna 1991; A. R. Opere dal 1933 al 1974 (catal., Matera), a cura di G. Appella - F. D’Amico - N. Vespignani, Roma 2003; Casa Mafai. Da via Cavour a Parigi (1925-1933) (catal., Brescia), a cura di F. D’Amico - M. Goldin, Conegliano 2004; A. R. Sculture in villa (catal.), a cura di F. D’Amico, Roma 2007.