CANZONERI (Cansuneri), Antonino
Nacque a Ciminna (Palermo) il 26 apr. 1673 da Pietro e da una Giuseppa. Poche notizie abbiamo della sua famiglia e dell'ambiente sociale e culturale in cui si formò: gli fu imposto lo stesso nome di battesimo di un fratello maggiore, che fu notaio e morì a Ciminna nel 1696 all'età di circa quarant'anni. Anch'egli dovette intraprendere e portare a termine studi superiori, giacché nel 1723 esercitava l'avvocatura a Palermo, dove risiedeva. Queste poche notizie in merito agli studi compiuti e alle professioni esercitate dai due fratelli inducono a ritenere che la loro famiglia godesse di una non disagiata condizione economica e che il C. si sia formato in un ambiente sociale di un certo livello. Ma certo, l'aver fissato la dimora a Palenno, l'esercizio dell'avvocatura ed i conseguenti contatti con gli ambienti intellettuali palermitani dovettero influire in modo determinante sulla formazione delle sue idee filosofiche e religiose. Nulla però sappiamo della precisa genesi di queste idee, che ci sono note solo indirettamente, attraverso alcune brevi relazioni, evidentemente tendenziose, del processo subito dal C. davanti al tribunale dell'Inquisizione di Sicilia.
Il 5 febbr. 1723 fu arrestato per ordine del S. Uffizio sotto l'accusa di eresia. Iniziava così il lungo processo che doveva condurlo al rogo.
Le narrazioni della vicenda ad opera di contemporanei, cui hanno poi fatto capo tutti gli storici, non alludono a scritti composti e diffusi dal C. prima dell'arresto, ma affermano che egli professasse oralmente una lunga serie di proposizioni ereticali, esposte poi, nel corso del giudizio, in due memoriali elaborati nel carcere e sottoposti al tribunale; questi scritti sono però andati perduti, insieme con le altre carte del processo, a seguito della soppressione del tribunale effettuata nel 1782 ad opera del viceré Domenico Caracciolo. Oltre alle scarne notizie fornite dall'inquisitore Antonino Franchina in un opuscolo sull'Inquisizione di Sicilia e da alcuni cronisti coevi, la sola fonte per la conoscenza delle idee professate dal C. è perciò costituita da un Compendioso raguagliodell'Atto generale di Fedecelebrato inPalermo a 2 ottobre 1731, opuscolo anonimo stampato per iniziativa della stessa Inquisizione siciliana, attribuibile non certo - come ha invece erroneamente affermato il Di Pietro - a Girolamo Matranga, giacché questi fu consultore e revisore del S. Uffizio intorno alla metà del secolo precedente e morì nel 1679, ma forse ad Antonino Mongitore, noto erudito siciliano anch'egli consultore dell'Inquisizione, che ne inserì poi un esemplare fra le pagine del manoscritto del proprio Diario, nel quale pure diede notizia del processo.
L'autore del Compendioso raguaglio elenca a casaccio diverse proposizioni ereticali enunciate dall'imputato: negazione dei sacramenti, dei miracoli, della potestà pontificia, della consustanzialità del Figlio col Padre, dell'unità e trinità di Dio, dei santi, degli angeli; ma negazione anche della divinità di Cristo e della rivelazione cristiana nel suo complesso. Si tratta, com'è evidente, di una elencazione, se non contraddittoria, quanto meno superflua, dettata probabilmente dallo scopo di accrescere l'orrore nel lettore accrescendo il numero delle proposizioni ereticali professate dal C., giacché la negazione della divinità di Cristo e della rivelazione cristiana avrebbe implicato e compreso le altre. In effetti, il nucleo centrale delle idee del C. dovette essere d'ordine più propriamente filosofico che religioso: egli aderì probabilmente ad una concezione di tipo materialistico, caratterizzata forse dall'influenza di quelle dottrine di ispirazione atomistica che avevano trovato diffusione - come dimostrano le ricerche effettuate dal De Giovanni, dal Badaloni, dal Cortese e dal Mastellone nella cultura meridionale durante la seconda metà del XVII sec. e che agli inizi del Settecento, come attesta lo Scinà, erano penetrate anche in Sicilia; questo lascia infatti supporre un passo del Compendioso raguaglio, dove si riferisce che il C. sosteneva essere "la creazione del cielo e della terra... opera della natura per accidente, a somiglianza dell'erbe, frutti, generazione degli animali ed uomini, e non... opera di Dio", negava ogni legge divina ed affermava invece l'esistenza di una "legge della natura" (pp. 181 s.).
Le convinzioni del C. dovevano essere ben radicate e solidamente argomentate se, come narrano tutte le ricordate cronache, l'Inquisizione - dopo avere ordinato una perizia sulle facoltà mentali dell'imputato, che i medici dichiararono sano di mente - incaricò "innumerevoli teologi, predicatori, maestri di spirito ed uomini di santa vita" di tentare la conversione del C., il quale, dal canto proprio, non solo rimase pertinacemente attaccato alle proprie idee, ma cercò anche "di pervertire colle sue false dottrine li teologi" (Compendioso raguaglio, p. 183). Non si vede perciò con quale fondamento alcuni storici (La Mantia, Graziano) abbiano affermato che il C. fosse demente e lo abbiano assimilato a figure come i due religiosi fra' Romualdo e suor Geltrude, arsi sul rogo a Palermo nel 1724. A prescindere dal fatto che la perizia sull'imputato rientrava nella procedura ordinaria dell'Inquisizione, non pare affatto giustificato accomunare in unico giudizio i due religiosi ora ricordati, condannati come quietisti e molinisti ma affetti da un'evidente psicopatia sessuale, e il C., figura caratterizzata invece da precise convinzioni d'ordine filosofico tenacemente difese in estenuanti dibattiti.
Il 19 dic. 1729 il tribunale pronunciò la sentenza che dichiarava il C. eretico formale e apostata da consegnarsi al braccio secolare. Il 31 marzo 1731 il cardinale Sigismondo von Kollonitsch, inquisitore generale del Supremo Tribunale di Vienna, dal quale dipendeva allora l'Inquisizione siciliana, ordinò che la sentenza venisse eseguita. Il 2 ottobre del 1731 il C. avrebbe dovuto salire il rogo; ma poco prima dell'esecuzione ritrattò: fu perciò ricondotto in carcere, mentre una nuova sentenza sospendeva l'esecuzione della prima. Trascorse poche settimane, nondimeno, il C., rinchiuso sempre nel carcere del S. Uffizio, tornò a professare le idee per le quali era stato condannato; e i rinnovati tentativi di conversione, nei quali si cimentò anche il nuovo arcivescovo di Palermo monsignor fra' Matteo da Parete (al secolo, Paolo Basile) risultarono vani. Un secondo e stavolta rapido processo confermò la precedente condanna e il C. fu arso vivo nella piazza di S. Erasmo a Palermo il 22 marzo 1732.
Egli fu l'ultima vittima dell'Inquisizione siciliana, il numero 201 della non breve serie dei rilasciati in persona, al braccio secolare dalla fondazione (1487) del tribunale, secondo i calcoli eseguiti dal Franchina. Al riguardo, mentre è evidentemente imprecisa per difetto la narrazione di Pietro Colletta, il quale ricordò come ultimi roghi quelli su cui furono arsi il 6 apr. 1724 i due religiosi suor Geltrude e fra' Romualdo, è peraltro certo che dopo il 1732, contrariamente a quanto affermò Cesare Cantù, non vennero più effettuate esecuzioni capitali per decisione dal tribunale siciliano.
Fonti e Bibl.: Palermo, Bibl. com., ms. Qq E 69, n. 25: A. Mongitore, Del Tribunale della SS. Inquisizione: origine,spettacoli,inquisitori; Ibid., ms. Qq E 95, n. 3: F. M. Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Delle vendette più clamorose digiustizia eseguite in Palermo contra i rei di delitti atroci; Compendioso raguaglio dell'Attogenerale di fede celebrato inPalermo a 2 ottobre 1731dal Tribunale del S. Uffizio di Sicilia (Palermo 1731), in G. Di Marzo, Bibl. storica e letteraria diSicilia, IX, Palermo 1871, pp. 174-187; A. Mongitore, Diario palermitano,ibid., pp. 174, 188 s.; A. Franchina, Breve rapportodel tribunale della SS. Inquisizione di Sicilia, Palermo 1744, pp. 43 s., 54-56; D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilianel secolo decimottavo, I, Palermo 1824, p. 31; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, Capolago 1838, I, pp. 50-54; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, II, Torino 1866, p. 337; V. La Mantia, Storia della legislazione civile e criminale in Sicilia, II, 1, Palermo 1874 p. 39; G. Cosentino, Nuovi docum. sulla Inquis. di Sicilia, in Arch. stor. sicil., XIII (1885), p. 81; V. La Mantia, Origine evicende dell'Inquisizione in Sicilia, in Riv. stor. ital., III (1886), pp. 581 s.; Id., L'Inquisizione in Sicilia, Palermo 1904, pp. XII, XVII-XVIII, 39, 43; H. C. Lea, The Inquisition in the SpanishDependencies, New York 1908, pp. 40 s.; S. Di Pietro, Inquisizione e Sant'Offizio inrelazione al diritto pubbliconaturale cristiano, Palermo 1911, pp. 404-411; V. Graziano, A. C. ultima vittima dell'Inquisizione in Sicilia, in Arch. stor. sicil., LIV (1934), pp. 273-285; G. Pitrè, Del Sant'Uffizio a Palermo e di uncarcere di esso, Roma 1940, p. 195; B. De Giovanni, Filosofia ediritto in Francesco D'Andrea. Contributo alla storia del previchismo, Milano 1958, pp. 20 ss.; N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Milano 1961, ad Ind.; N. Cortese, Cultura e politicaaNapoli dal Cinquecento al Settecento, Napoli 1965, pp. 131 ss.; S. Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nellaseconda metà del Seicento, Firenze 1965, pp. 155 ss., 184 ss.; Id., Francesco D'Andrea politico e giurista (1648-1698). L'ascesa del ceto civile, Firenze 1969, pp. 166 ss.; B. De Giovanni, La vitaintellettuale a Napoli fra la metà del '600 e la restaurazione delRegno, in Storia di Napoli, VI, Napoli 1970, pp. 414 ss., 430 ss.