CLEMENTI, Antonino
Nacque a Catania l'8 febbr. 1888 da Gesualdo, professore di clinica chirurgica e rettore (1903-1905) dell'università di Catania, e da Rosina Landolina, di antica famiglia catanese.
Iscrittosi alla facoltà di medicina dell'università di Catania nel 1906, nel 1909 si trasferiva a Roma e qui si laureava con lode nel 1912. Il C. soleva dire che era stato spinto a questo trasferimento dal desiderio di frequentare il laboratorio di L. Luciani: probabilmente la lettura del trattato di fisiologia dell'illustre maestro (Fisiologia dell'uomo, I-III, Milano 1901-11) lo aveva indotto a compiere quel passo, che doveva avere tanta importanza nella sua formazione scientifica. È certo, comunque, che il volume dedicato alla fisiologia del sistema nervoso, con i famosi capitoli sul cervelletto e sulla corteccia cerebrale, era già uscito da qualche anno (nel 1905) quando il C. si trasferì a Roma.
Negli anni precedenti la prima guerra mondiale l'istituto di Roma era uno dei centri più importanti per le ricerche di neurofisiologia. La grande opera scientifica del Luciani, culminata nella monografia sul cervelletto (Il cervelletto. Nuovi studi di fisiologia normale e patologica, Firenze 1891), apparteneva, in realtà, al periodo fiorentino. Dopo il suo passaggio da Firenze a Roma, avvenuto nel 1893, il Luciani aveva dedicato la sua attività alla preparazione del grande trattato, cui doveva arridere un lusinghiero successo, come testimoniano le numerose edizioni e le traduzioni in tedesco e in inglese. Negli anni in cui il C. ne era allievo interno e vi preparava la tesi di laurea, l'attività sperimentale dell'istituto era svolta principalmente da quattro collaboratori del Luciani: S. Baglioni, G. van Rijnberk, U. Lombroso e G. Amantea, quest'ultimo di soli tre anni più anziano del Clementi. Il Baglioni, che dal 1906 era aiuto dell'istituto (cfr. Dizionario biogr. d. Italiani, V, pp. 247 ss.), esercitò indubbiamente la massima influenza sulla formazione scientifica di Amantea e del C., mentre più lontani erano i settori di studio di van Rijnberk, che si dedicava allora al problema delle localizzazioni cerebellari e allo studio dell'innervazione segmentaria, e del Lombroso, che s'interessava soprattutto alla biochimica dei lipidi.
Naturalmente, i primi lavori del C. si ricollegarono a indirizzi di studio già esistenti nel laboratorio: del Lombroso, per le ricerche sulle lipasi eseguite nel 1910 e, soprattutto, del Baglioni, per tutte le indagini di neurofisiologia. Spiccavano in quest'ultimo gruppo i lavori sui riflessi spinali degli uccelli, che formarono anche oggetto della tesi di laurea: in essi è contenuta l'interessante osservazione che i riflessi degli arti pelvici e del codrione sono presenti, e perfettamente coordinati, nel piccione neonato sottoposto a sezione toracica del midollo spinale, malgrado che a tale età l'animale normale sia incapace di camminare e addirittura di mantenere una posizione eretta, indubbiamente perché la scarsa maturità dei centri nervosi non riguarda il midollo spinale.
A questo periodo appartengono anche le ricerche di neurofisiologia degli Invertebrati, fra cui appaiono particolarmente degne di nota quelle sperimentali sui meccanismi di coordinazione dei movimenti locomotori nei Diplopodi.
Appena ottenuta, la laurea, nel 1912, il C. si recò in Germania, per frequentare l'istituto di fisiologia di Heidelberg, diretto da A. Kossel, ove aveva già brevemente soggiornato nel 1910, quando era ancora studente e ove resterà fino allo scoppio della guerra mondiale. In questo periodo fu autore di un interessante studio sull'arginasi, che consentì di chiarire un aspetto fondamentale del metabolismo azotato.
A. Kossel e H. D. Dakin avevano pochi anni prima, nel 1904, scoperto l'arginasi, l'enzima idrolitico che scinde l'arginina in ornitina e urea. Si conosceva dunque una reazione che poteva dare origine all'urea, ma naturalmente si ignorava se questa fosse la via effettivamente utilizzata dagli animali detti ureotelici, quelli cioè nei quali l'urea è il prodotto terminale del metabolismo azotato. L'osservazione fondamentale del C. fu che l'arginasi si trova solo nel fegato degli animali a metabolismo ureotelico, mentre manca del tutto negli animali che hanno metabolismo uricotelico. Il C. comunicò una nota preliminare della scoperta al congresso internazionale di fisiologia di Groninga nel 1913, e nell'agosto 1914 inviò il lavoro alla rivista Zeitschr. f. physiol. Chemie. IlKossel gli consigliava però di stamparlo in Italia, in considerazione del fatto che la guerra ne avrebbe ritardato la pubblicazione in Germania. Nel lavoro inextenso, che appariva nell'Arch. di fisiol. del 1915, preceduto da alcune note all'Accademia dei Lincei, il C. così riassumeva le sue conclusioni fondamentali: "Mancanza dell'arginasi nel fegato di quei vertebrati presso i quali l'acido urico occupa nel metabolismo il posto occupato dall'urea, cioè a dire uccelli e rettili; e presenza di essa nel fegato di tutti i rimanenti vertebrati, presso i quali il fegato è il principale organo ureopoietico, cioè a dire mammiferi, anfibi e pesci" (p. 228).
Nel 1916, sempre nell'Arch. di fisiol., il C. formulava ancora più chiaramente lo stesso concetto, con le seguenti parole: "la presenza dell'arginasi nel fegato di quei vertebrati, presso i quali esso ha un'attività uropoietica e l'assenza di essa nel fegato di quelli, presso i quali esso ha un'attività uricopoietica rappresenta la dimostrazione fisiologica indiretta che nell'organismo vivo l'attività dell'arginasi è presente, e che nel fegato essa sta in intimo rapporto di dipendenza coll'attività ureopoietica di quest'organo" (p. 212).
Dovevano passare molti anni perché la sua teoria sulla posizione dell'arginina e dell'arginasi nell'ureogenesi venisse confermata da H. A. Krebs, che dimostrò che è proprio la presenza di arginasi nel fegato che permette di convertire il processo unidirezionale che porta alla sintesi dell'arginina in un ciclo in cui la catena carboniosa dell'ornitina può essere usata ripetutamente, con formazione d'una molecola d'urea a ogni tappa.
Il C. dovette interrompere il periodo di studio in Germania per lo scoppio della guerra mondiale; dopo l'entrata nel conflitto dell'Italia egli partiva per il fronte, dove veniva decorato di medaglia al valore e di croce al merito. Al termine delle ostilità tornava ai suoi studi, lavorando dal 1919 al 1925 nell'istituto di fisiologia di Roma. Incaricato di fisiologia nell'università di Cagliari nel 1925, vincitore di concorso nel 1927, passava poco dopo all'istituto di fisiologia di Catania.
Ritornato nella città natale, il C. iniziava una serie di ricerche di ampio respiro sull'epilessia sperimentale. Era questo un argomento che da tempo rappresentava un impegnativo indirizzo di studi dell'istituto di fisiologia di Roma. Per comprendere l'importanza delle sue ricerche, occorre tener conto degli esperimenti precedenti di Baglioni e di Amantea. Nel 1900, quando era ancora studente, il Baglioni aveva eseguito una serie di ricerche sull'azione esercitata dalla stricnina sul midollo spinale della rana, utilizzando nell'analisi dell'azione convulsivante del veleno un metodo di applicazione locale. Successivamente, nel 1909, il Baglioni e M. Magnini avevano osservato che l'applicazione locale di stricnina sulla zona corticale motrice del cane produceva la comparsa di scosse cloniche che apparivano nell'arto controlaterale, in modo apparentemente spontaneo. Infine, nel 1921 l'Amantea vide che il clono di Baglioni e Magnini, una manifestazione parcellare di attività convulsiva, sfociava in un accesso convulsivo generalizzato sotto l'azione facilitante di stimolazioni delle aree riflessogene cutanee corrispondenti all'area motrice stricninizzata.
Il lato del tutto nuovo dell'epilessia del C. non sta nel fatto che dopo stricninizzazione della corteccia visiva, acustica, olfattiva o gustativa è possibile produrre un accesso epilettico generalizzato con stimoli luminosi, uditivi, odorosi o gustativi: esaminati da questo punto di vista, i fenomeni di epilessia del C. potrebbero apparire come altrettanti casi particolari di epilessia di Amantea, estesi a sistemi diversi da quello lemniscale studiato da quest'ultimo. L'aspetto innovatore dell'epilessia sensoriale risiede nel fatto che, negli esperimenti del C., la corteccia motrice non era preparata dall'azione della stricnina locale; che, ciò non di meno, essa diventava sede di attività convulsiva per il solo fatto di essere bersaglio di salve d'impulsi provenienti dall'area corticale sensoriale che era diventata centro epilettogeno. Noi sappiamo oggi che i singoli impulsi d'una scarica convulsiva non sono differenti da normali impulsi nervosi, per la legge del tutto o nulla. L'attività convulsiva si limita a variarne la disposizione nello spazio e nel tempo. Essa è caratterizzata da scariche ad altissima frequenza, separate da intervalli di silenzio. Queste scariche propagano il fuoco dell'epilessia a neuroni che di per sé sarebbero del tutto normali, e alla fine creano nuovi focolai epilettogeni.
Non vi sono altre condizioni sperimentali che permettano di studiare in modo così esatto, senza contaminazioni, l'insorgere dell'accesso convulsivo. Questo è l'aspetto fondamentale dell'opera del C. nel campo dell'epilessia sperimentale. Ma non ne va taciuto l'aspetto applicativo, la cui importanza e venuta alla luce in questi ultimi anni, con le ricerche di neurofisiologia clinica. Si è visto infatti che l'epilessia fotica del C. può essere riprodotta nell'uomo epilettico mediante l'uso di lampi di luce a opportune frequenze. Il metodo ha notevoli applicazioni diagnostiche ed è ora estesamente impiegato in clinica neurologica.
Il C. divenne socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei nel 1951, socio nazionale nel 1967. Per trenta anni diresse l'istituto di fisiologia dell'università di Catania; nel 1958divenne professore fuori ruolo, ma continuò a frequentare l'istituto e a condurre esperimenti. Il 16 marzo 1968comunicò alla Società di biologia di Catania il suo ultimo lavoro.
Morì a Catania il 6 dic. 1968.
Tra i suoi più importanti lavori scientifici si ricordano: Analisi sperimentale di alcuni riflessi del midollo lombare del colombo, in Arch. di fisiol., VIII (1910), pp. 513-22; Sulla diffusione nell'organismo e nel regno dei Vertebrati e sulla importanza fisiologica dell'arginasi,ibid., XIII (1915), pp. 189-230; L'arginasi,come fermento ureogenetico,e la specificità della sua azione deguanidizzante,ibid., XIV (1916), pp. 207-27; Stricninizzazione della sfera corticale visiva ed epilessia sperimentale da stimoli luminosi,ibid., XXVII (1929), pp. 356-87; Stricninizzazione della sfera corticale uditiva ed epilessia sperimentale da stimoli acustici,ibid., pp. 388-414; Stricninizzazione circoscritta del lobo piriforme del cane ed epilessia riflessa da stimoli odoriferi,ibid., XXX (1930), pp. 1-31; Sfera gustativa della corteccia cerebrale del cane ed epilessia riflessa a tipo sensoriale gustativo, in Boll. d. Soc. it. di biol. sper., X (1935), pp. 902 ss.
Fonti e Bibl.: G. Ricceri, A. C., in Arch. di fisiol., LXVIII (1971), pp. 113-30; G. Moruzzi, A. C. Discorso commemor. pronunciato nella seduta ordinaria del 12 febbr. 1972, in Celebrazioni Lincee, LIX (1972), pp. 1-19 (contiene l'elenco dei lavori del Clementi). Sulle caratteristiche delle scariche di impulsi nell'attività convulsiva, siveda: E. D. Adrian-G. Moruzzi, Impulses in the pyramidal tract, in Journal of physiology, XCVII (1939), pp. 153-99.