CONIGLIO, Antonino
Nacque a Cerda (Palermo) il 3 febbraio del 1886 da Vincenzo e da Vincenza Franco. Si laureò in giurisprudenza presso l'università di Palermo nel 1909, e conseguì nella stessa università la libera docenza nel 1922. Professore straordinario di diritto processuale civile nell'università di Sassari nel 1925, nell'anno successivo passo all'università di Catania, divenendo ordinario nel 1929. Dal 1941 insegnò diritto processuale civile presso l'università di Macerata, della quale fu rettore dal 1942 al 1945, e nel contempo esercitò attivamente la professione forense.
La produzione scientifica del C. si segnala per la varietà e vastità degli interessi, per la completezza dell'informazione e per la chiarezza della trattazione: pregi che particolarmente possono apprezzarsi nelle Lezioni di diritto processuale civile tenute agli studenti dell'università di Catania e raccolte in due volumi su Il processo esecutivo (Padova 1936) e su Il processo di cognizione (ibid. 1940). In tali Lezioni, infatti, il C. riesce a contemperare l'esigenza di una didattica limpida e piana con la difficoltà di offrire un quadro completo dei problemi dommatici posti dalla dottrina post-chiovendiana e di quegli esegetici sollevati dalla giurisprudenza. La monografia più fortunata è dedicata a Ilsequestro giudiziario e conservativo che, apparsa a Torino nel 1926, ebbe altre due edizioni (nel 1942 e 1948, con ristampa nel 1953) dopo l'entrata in vigore dei nuovo codice di procedura civile del 1940.
Oltre a due monografie in materia di prove (Le ammissioni nella dottrina delle prove, Roma 1920; Le presunzioni nel processo civile, Palermo 1920), il C. dedicò la sua attenzione di studioso (non avulso, però, dai problemi della pratica forense) ai numerosi tentativi di riforma organica del codice di procedura civile, che precedettero il nuovo codice: è testimonianza di questo impegno una breve ma densa monografia su La continenza del processo nella dottrina e nel progetto di riforma (Padova 1929), "frutto di quel desiderio di dettagliata analisi, necessaria per dimostrare quali spostamenti di punti di vista tradizionali siano prodotti in tutti i campi dal concetto di lite del Carnelutti". Soprattutto questo impegno traspare dalle puntuali ed acute Osservazioni al progetto preliminare del codice di procedura civile (Milano 1938), da lui redatte intorno al progetto preliminare Solmi del 1937 per incarico della facoltà di giurisprudenza dell'università di Catania.
Il C. non manca di prendere chiara e consapevole posizione su tutti gli aspetti salienti dei nuovo processo civile delineato nel progetto: e così lamenta la carenza di una norma espressa ammissiva dell'azione di mero accertamento come figura generale; sottolinea la velleitarietà del tentativo di introdurre il dovere di verità delle parti osservando, anche sulla base delle legislazioni straniere, che "il processo civile è irrimediabilmente impigliato in una rete contraria al dovere della verità"; critica gli eccessi "pubblicistici" della nuova disciplina (come le sanzioni dirette a stimolare la collaborazione dei difensori all'accertamento della verità) perché, senza alcuna necessità (ed utilità) di meccanismi vessatori esterni, "il processo si moralizza automaticamente per la bontà e semplicità delle sue norme, per l'ampio potere attribuito al giudice nella direzione del rapporto processuale e nello svolgimento delle prove, per la severità di trattamento del contumace, per gli stimoli atti a far snodare le domande e le eccezioni senza possibilità di insidiose riserve". Perciò il C. è tra i pochi che si dichiarano favorevoli all'introduzione del giudice monocratico, osservando che il fallimento dei breve esperimento del 1912 non può consentire alcun argomento contro l'idea dei giudice singolo perché esso "nelle pastoie dei codice vigente non poteva dare che pessimi risultati"; il fulcro del problema sta nella formazione di una magistratura preparata e responsabile e nella snellezza ed efficacia delle norme procedurali.
Il C. non mancò di cimentarsi anche su temi strettamente dommatici; la sua prima opera monografica, infatti, è dedicata alla teoria dell'azione (Contributo alla dottrina dell'azione esecutiva, Palermo 1915), all'epoca particolarmente sentita dalla dottrina italiana dopo il fondamentale saggio di Chiovenda (Bologna 1903) su L'azione nel sistema dei diritti: prolusione.
Pur argomentando, sulle orme di Chiovenda, l'autonomia dell'azione anche dalle ipotesi di cosiddette mere azioni (le quali "mirano al conseguimento di un bene che solo il processo può procurarci"), il C. critica laconcezione chiovendiana dell'azione come diritto ad un provvedimento favorevole: a tali critiche, tuttavia, non sembra si accompagni un adeguato tentativo ricostruttivo, pur emergendo una (solo abbozzata) concezione dell'azione come diritto ad un provvedimento di merito.
Viceversa, il C. costruisce l'azione esecutiva come diritto concreto di natura pubblicistica di fronte agli organi dello Stato, perché "l'esistenza e l'ammontare del credito per la realizzazione del quale l'esecuzione è chiesta risultano dal titolo esecutivo", ma il debitore non è obbligato verso il creditore, bensì si trova in una posizione di soggezione nei confronti dell'organo procedente.
Il C. morì a Roma il 9 dic. 1953.
Bibl.: Necrol., in Riv. di dir. proc., I (1954), p. 306; Annalid. univ. di Macerata, XX (1956) (con bibl. completa delle opere); Noviss. Dig. It., IV, p. 100.