DI GIORGIO, Antonino
Nato a San Fratello (Messina) il 22 sett. 1867 da Ignazio e Giuseppina Faraci in una famiglia di media borghesia di professionisti e proprietari terrieri, nell'ottobre 1882 fu ammesso come allievo nel collegio militare della "Nunziatella" di Napoli, dove compi gli studi liceali. Vinto il concorso di ammissione all'Accademia militare di Modena, vi entrò il 1° ott. 1886, e il 6 ag. 1888 conseguì il grado di sottotenente di fanteria. Prese servizio a Pescara nel 77° reggimento di fanteria; tenente nel 1892, alla fine del 1895 partì volontario per l'Eritrea, dove partecipò alla battaglia di Adua come ufficiale addetto al comando del 6° reggimento (colonnello C. Airaghi) della brigata Dabormida, dimostrando nel combattimento e nella difficile ritirata un coraggio e un'energia premiati con una medaglia di bronzo. Una seconda medaglia di bronzo ricevette per avere brillantemente condotto al fuoco una centuria di ascari nello scontro di Aga-à del 2 maggio 1896; poi una malattia infettiva lo costrinse a rientrare in Italia, dove riprese servizio nel 77° reggimento.
Sulla sua esperienza africana tornò nel 1899 con un articolo sulla Rivista politica e letteraria che, in polemica con le memorie del generale O. Baratieri, difendeva il comportamento delle truppe ad Adua e indicava nel comandante in capo il principale responsabile della disfatta; nel 1901 scrisse poi una bella Prefazione alla raccolta di Scritti vari (Città di Castello) del colonnello C. Airaghi, caduto ad Adua, mettendone in luce il carattere e la cultura, elementi fondamentali per l'esercizio del comando.
Dopo aver frequentato con successo la Scuola di guerra di Torino, fu ammesso nel corpo di stato maggiore e nel 1902 promosso capitano a scelta; prestò servizio nel 19° reggimento di fanteria, poi dal 1904 al 1907 presso il comando del VII corpo d'armata di Firenze, infine, maggiore a sceka eccezionale nel 1907, nell'89° reggimento di fanteria.
In questi anni sviluppò ricerche storiche sul Risorgimento scrivendo sulla Rivista (poi Rivista moderna) politica e letteraria sul generale austriaco L.A. v. Benedek nel 1899, pubblicando Il generale Manfredo Fanti (Firenze 1906), e partecipò alle polemiche provocate dal movimento degli ufficiali "modernisti" con il libretto Il caso Ranzi e il modernismo nell'esercito (Firenze 1908), in cui sosteneva la necessità di una disciplina severa e consapevole e condannava duramente ogni forma di organizzazione politica o sindacale degli ufficiali, pur riaffermando il loro diritto-dovere a partecipare come cittadini alla vita politica e culturale nazionale, nei limiti del giuramento di fedeltà prestato al re e alle istituzioni.
Nell'aprile 1908 il D. fu scelto per il comando delle truppe del Benadir, dove stava prendendo sviluppo l'occupazione italiana, seguita con interesse dall'opinione pubblica. La mancanza di una chiara delimitazione di responsabilità e dipendenze deterininò subito un insanabile contrasto tra il governatore del Benadir Tommaso Carletti, che intendeva continuare a dirigere personalmente una politica di penetrazione progressiva non aliena da compromessi con i capi somali, e il D., fautore di una politica di forza (per la quale aveva l'appoggio del ministero della Guerra, che aveva potenziato le truppe affidategli) e convinto di essere l'unico giudice e responsabile della sicurezza della colonia e delle operazioni militari. Dopo aver riordinato le sue otto compagnie di ascari (metà eritrei, metà arruolati nella penisola araba) e curato l'organizzazione logistica, il D. estese l'occupazione italiana a tutta la regione del basso Scebeli, con una serie di scontri vittoriosi con le popolazioni somale; fu però accusato dallo stesso governatore di aver esagerato in durezza con la distruzione di interi villaggi e massacri indiscriminati.
Le polemiche, che trovarono larga eco nella stampa nazionale e in Parlamento, provocarono il rimpatrio del D. in novembre e del Carletti nel dicembre 1908 e penosi strascichi politici e giudiziari. Il D. fu assolto dalle accuse di eccessivo rigore, prima da una autorevole commissione governativa d'inchiesta, poi da una commissione militare, ma condannato dal Consiglio dei ministri nel settembre 1911 a due mesi di fortezza per "contegno indisciplinato" verso il governatore; ottenne per altro in tempestosi processi la condanna per diffamazione del suo principale accusatore, il noto giornalista Giuseppe Piazza della Tribuna, acquistandosi molta popolarità nell'esercito per aver difeso le prerogative dei militari contro l'amministrazione giolittiana.
In Italia il D. riprese servizio nell'89° reggimento di fanteria e con esso partì per la Libia nel dicembre 1911. Il suo comportamento alla testa del suo battaglione nei combattimenti sul Mergheb tra fine febbraio e primi di marzo 1912 gli valse la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia. Tenente colonnello in giugno, fu decorato di medaglia d'argento per il brillante spirito offensivo dimostrato in agosto alla testa di una colonna di truppe eritree. Rimpatriò a fine 1912 e nel 1913 si presentò alle elezioni politiche nel collegio di Mistretta (Messina) con un programma nazionalista e fieramente antigiolittiano; eletto deputato, alternò il servizio nell'89° reggimento con un'attiva partecipazione ai lavori parlamentari. Nel marzo 1915 L. Cadorna, che molto lo stimava, lo volle tra i suoi collaboratori diretti; ma il D. (colonnello in luglio) chiese un comando attivo e fu destinato all'VIII corpo d'armata come capo di stato maggiore.
Il 1° apr. 1916 il D. assunse il comando della brigata Bisagno di nuova formazione, che condusse nei combattimenti in Trentino, particolarmente nei vani, sanguinosi attacchi di luglio alle munitissime posizioni austriache del Cimone d'Arsiero e del Tonezza, che (come ebbe più tardi a scrivere il D.) attestavano lo slancio e l'obbedienza dei soldati assai più che la preveggenza e capacità dei comandi superiori. A fine agosto il D. (ormai brigadiere generale e poi maggior generale nel dicembre successivo) ebbe il comando del IV raggruppamento alpino, su otto battaglioni alpini, che preparava l'offensiva detta poi dell'Ortigara, fermata però dall'arrivo anticipato delle nevi invernali. Il D. continuò a lavorare per l'offensiva (con qualche breve viaggio a Roma per i lavori parlamentari, dove ebbe accenni assai duri verso quella che giudicava la debolezza del governo), ma quando nel giugno 1917. Poté sferrarla, gli interventi dei comandi superiori e l'energica resistenza austriaca fecero si che i suoi battaglioni fossero massacrati senza successo sull'Ortigara, in una delle battaglie più tristemente note del conflitto. L'opera di comando del D. fu ugualmente apprezzata e alla fine di agosto egli fu promosso alla testa della 51ª divisione in Valsugana. All'indomani dello sfondamento di Caporetto, il 27 ottobre, il Cadorna gli affidò il comando di un improvvisato corpo d'armata "speciale", su quattro piccole brigate, che doveva proteggere la ritirata della 2ª armata e in primo luogo difendere i ponti del Tagliamento per consentire il deflusso delle truppe.
Il D. svolse la difficile missione con energia e il 10 novembre, quando il corpo d'armata speciale fu sciolto, nonostante la sua scarsa anzianità gli venne affidato il comando del XXVII corpo d'armata destinato a giocare un ruolo essenziale nella difesa del Grappa.
Il D. tenne il comando di questo XXVII corpo fino al termine della guerra (anzi fino al suo scioglimento nel giugno 1919), prendendo parte alla prima e più dura battaglia del Grappa (novembre-dicembre 1917), poi alla battaglia del Piave sulle posizioni del Montello (giugno 1918) e infine alla vittoriosa avanzata di Vittorio Veneto, dando sempre eccellente prova e conseguendo (tra le altre decorazioni) le croci di grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia e di commendatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, oltre alla promozione a tenente generale.
Nel dopoguerra il D. non ebbe comandi attivi, ma rimase a lungo in aspettativa e poi a disposizione del ministero, non solo perché assorbito dalla battaglia politica, ma anche perché la sua scarsa anzianità rendeva difficile affidargli un comando di corpo d'armata nel momento della riduzione dell'esercito e dei generali in servizio. Partecipò con autorità al dibattito parlamentare su Caporetto e la condotta della guerra del settembre 1919; poi fu rieletto deputato a Messina in una lista di Destra, continuando a battersi su posizioni nazionaliste in difesa della guerra e per una politica di prestigio, ma senza simpatie per il dannunzianesimo (nell'avventura di Fiume colse soprattutto la lacerazione della disciplina e dell'unità dell'esercito) e per il primo squadrismo. La scarsa consonanza con il clima politico lo indusse a non ripresentare la sua candidatura nelle elezioni politiche del 1921. Il 6 febbr. 1922 sposò Norina Whitaker, appartenente a famiglia anglo-siciliana di alto censo e prestigio, diradando i suoi impegni pubblici.
Il D. tornò ad interessarsi attivamente di politica nella seconda metà del 1923, manifestando piena adesione alla restaurazione condotta da Mussolini, col quale stabili rapporti di stima e fiducia grazie alla mediazione dell'amico L. Federzoni. Ebbe una parte di rilievo nella preparazione del successo elettorale del "listone" governativo in Sicilia nell'aprile 1924; e si presentò candidato egli stesso, come indipendente, perché (come dichiarò apertamente) la sua condizione di ufficiale gli impediva di accettare una tessera di partito. Fu eletto e subito nominato ministro della Guerra (30 aprile 1924) dalla concorde designazione di Diaz, che lasciava l'incarico per ragioni di salute, e di Mussolini, che aveva bisogno di un generale gradito al re e all'esercito, leale verso il fascismo e disposto a accettare un bilancio di economie.
Come ministro della Guerra, il D. difese con energia l'autonomia e il ruolo dell'esercito anche verso il fascismo, vietò esplicitamente agli ufficiali di fare politica, si battè per ridurre il peso della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e ottenne la riabilitazione del Cadorna (promosso maresciallo d'Italia con Diaz il 4 nov. 1924), rendendosi inviso al partito fascista; nel medesimo tempo appoggiò con fermezza il governo Mussolini in tutta la crisi 1924-25, fino a consegnare alla milizia centomila fucili all'indomani dell'assassinio di Matteotti.
Propose poi un nuovo ordinamento dell'esercito, che prevedeva di mantenere in efficienza per tutto l'anno un numero limitato di reggimenti, mentre gli altri, dopo quattro mesi a ranghi completi, sarebbero stati ridotti a quadro, con il congedamento di gran parte della classe di leva e un sensibile risparmio di spesa. Il progetto, portato avanti dal D. con intransigente asprezza, incontrò la decisa resistenza di quasi tutti gli alti comandanti e delle opposizioni liberali e non fu sostenuto dal partito fascista, tanto che all'inizio di aprile 1925 Mussolini troncò il vivacissimo dibattito in Senato sconfessando il D. e, dopo le sue immediate dimissioni, assumendo personalmente il dicastero della Guerra.
Profondamente amareggiato, il D. lasciò la vita politica e riprese servizio come comandante del corpo d'armata di Firenze e poi, nell'agosto 1926, di Palermo.
Messosi in urto con il prefetto Cesare (poi Primo) Mori, che accusava di eccessiva spregiudicatezza nella lotta contro la mafia, nel maggio 1928 lasciò il servizio attivo e si ritirò a vita privata, dedicandosi anche alla stesura di studi e ricordi di guerra.
Il D. morì a Palermo il 17 apr. 1932.
Si ricordano del D., pubblicate in parte postume: La battaglia dell'Ortigara, Roma 1935; Scritti e discorsi 1899-1927, a cura di N. Di Giorgio, Milano 1938 (che raccoglie i testi più significativi della sua vita politica e militare e dei suoi studi storici); Ricordi della grande guerra 1915-18, a cura di G. De Stefani e per iniziativa della Fondazione Whitaker, Palermo 1978 (che presenta le memorie di guerra rimaste incompiute e alcuni scritti ripresi dal precedente volume del 1938).
Fonti e Bibl.: All'attività politica e militare del D. ha dedicato una lunga serie di studi G. Capri, specialmente su L'Osservatore politico-letterario degli anni '70; G. De Stefani ne ha tracciato un commosso profilo biografico nel cit. vol. Ricordi della grande guerra. Sono stati inoltre utilizzati lo stato di servizio del D., fornito cortesemente dall'Ufficio storico dell'esercito; D. De Napoli, Il caso Ranza e il modernismo militare, in L'esercito italiano dall'Unità alla grande guerra, a cura dell'Ufficio storico dell'esercito, Roma 1980; F. Grassi, Le origini dell'imperialismo italiano. Il caso somalo 1896-1915, Lecce 1980 (che ricostruisce con ampie ricerche archivistiche le vicende del D. in Somalia e le successive polemiche); G. Rochat, L'esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini 1919-25, Bari 1967 (per l'attività del D. nel dopoguerra e come ministro). Per la parte del D. nella guerra mondiale si rinvia alla bibliografia generale sul conflitto; si vedano però i suoi lavori La battaglia dell'Ortigara, e Ricordi della grande guerra, nonché T. De Rizzoli, Il corpo d'armata speciale Di Giorgio, Torino s. d. [1933] (preparato con la collaborazione dello stesso Di Giorgio).