GIUFFRÈ, Antonino
, Non si conoscono le date di nascita e di morte, né si hanno notizie sulla formazione artistica di questo pittore, probabilmente d'origine messinese, attivo in Sicilia intorno agli ultimi decenni del XV secolo.
L'unica sua opera nota è il dipinto - in origine un trittico, poi trasportato su tela - raffigurante la Visitazione tra i ss. Giuseppe e Zaccaria, proveniente dalla chiesa di Taormina ora intitolata all'Addolorata e detta anche "del Varò" e oggi nel duomo della città: nella prima metà dell'Ottocento Grosso Cacopardo vi lesse infatti la firma "M. Antonini Jufre" e, con difficoltà, la data di esecuzione.
Di essa, infatti, solo le prime due cifre risultavano leggibili. La terza e la quarta erano, invece, quasi del tutto abrase, e nel corso degli anni furono variamente interpretate dando adito a non poche incertezze circa l'epoca di realizzazione del dipinto. È tuttavia probabile che la data debba essere riportata allo scadere del XV secolo (1480 o 1490), come è stato ipotizzato da Brunelli (1907), il quale sottolineò per primo come il trittico fosse espressione di una cultura artistica attardata.
Secondo Di Marzo (1899; 1903) tale pittore poteva essere identificato con quel "magister Juffre lu re, pictor, civis nobilis civitatis Messanae", che in un documento, datato 15 ott. 1493, si impegnava a realizzare per il cimatore Angelo Paula una "icona" raffigurante la Madonna fra due santi "ed al di sopra l'Annunziata e l'Angelo" e che era, con maggiore convinzione, individuato nel "magister Antonellus de lu re, pictor, civis Messanae" menzionato diciassette anni dopo, il 20 marzo 1510, in un atto per l'acquisto di un panno.
In base a una serie di indicazioni di carattere stilistico e compositivo, Brunelli (1931) accostava al trittico di Taormina un altro dipinto - già attribuito (Di Marzo, 1903) ad Antonio Saliba - raffigurante la Madonna in trono fra i ss. Pietro e Giovanni Evangelista proveniente dalla chiesa messinese dei cappuccini e ora nel Museo di Messina (inv. 1001). In quest'opera, infatti, la testa di s. Pietro appare totalmente sovrapponibile nella forma e nelle dimensioni a quella del s. Giuseppe presente nel trittico di Taormina. Secondo Pugliatti (1993, p. 60), la totale uniformità compositiva delle due teste potrebbe derivare dall'utilizzazione di un cliché comune "il cui prototipo andrebbe ascritto a Salvo De Antonio (nipote ex fratre di Antonello De Antonio da Messina), il più autorevole tra i continuatori della bottega" di Antonello da Messina. A conferma di questa ipotesi, Campagna Cicala (1994, p. 223) sottolinea come il dipinto messinese sembri inserirsi coerentemente in quel particolare momento culturale nel quale Salvo d'Antonio, allo scadere del XV secolo, si impegnava a riallineare "la cultura locale sui nuovi orientamenti continentali, influenzati dall'ariosa visione prospettica di Melozzo".
Tra le due opere si possono notare altri elementi stilisticamente affini quale, per esempio, la resa dei panneggi, articolati in pieghe corpose e che appaiono desunti dai modelli pittorici di Antonello. Lo stesso Venturi (1915, pp. 192-194) peraltro sottolineava, a proposito del trittico di Taormina, l'accentuata definizione plastica dei panneggi pensando a "un maestro che impasta coi colori le immagini simili a quelle accarezzate dagli scalpelli gaginiani".
Sulla base di queste due opere, Bottari (1934) attribuiva al G. la Madonna di Loreto nella chiesa dei cappuccini di Savoca, anch'essa da lui stesso riferita in precedenza alla mano di Antonio Saliba. Anche in questo dipinto, infatti, al sostrato figurativo antonelliano sembra sovrapporsi una cultura diversa, derivata dall'Italia centrale, e, più in particolare, dai modi diffusi dalla bottega di Antoniazzo Romano. Sulla scorta di un suggerimento di Ferdinando Bologna, Bottari (1954, p. 69) ha accostato a questo primo gruppo di dipinti la tavola con Abramo visitato dai tre angeli - già nella chiesa della Triade di Forza d'Agrò, poi trafugata - ispirata alla tavoletta di Antonello di identico soggetto nel Museo nazionale di Reggio Calabria. Lo stesso Bottari riteneva, tuttavia, assai difficile stabilire la successione cronologica delle opere attribuite al G. e comprendere, in particolare, se quest'ultimo dipinto dovesse seguire o precedere nel tempo il trittico di Taormina. Altre due tavole di chiara ispirazione antonelliana conservate nel duomo di Milazzo e raffiguranti, la prima, S. Nicola in cattedra con storie della sua vita e, l'altra, un'Annunciazione, già nella chiesa milazzese di S. Lucia, erano state attribuite al G. sempre da Bottari (1954).
Il prototipo di entrambe va identificato secondo lo studioso in un'opera perduta di Antonello, nota grazie ai disegni di Giambattista Cavalcaselle (cfr. E. Natoli, in Antonello da Messina [catal.], Roma 1981, pp. 90-94) e alla fedele descrizione di Di Marzo (1903), eseguita per la chiesa di S. Nicolò dei Gentiluomini a Messina e andata distrutta durante il terremoto del 1908; in essa infatti comparivano, ai lati delle storiette con la vita del santo, anche l'Annunciata e l'Angelo annunziante che apparirebbero fedelmente riprodotti nel dipinto attribuito al Giuffrè. Al medesimo prototipo antonelliano si riferirebbe infine anche la Madonna del Soccorso, già nella chiesa di S. Agostino a Messina, poi nella collezione Stoop Coray di Erlenbach in Svizzera e oggi dispersa; tale dipinto, riprodotto a stampa nel volume di P. Samperi Iconologia della gloriosa Vergine… (Messina 1644), fu attribuito ad anonimo seguace di Antonello da R. Van Marle (The development of the Italian schools of painting, XV, The Hague 1934, fig. 346).
Al catalogo del G. Campagna Cicala (1979, pp. 89-93) aggiunge, infine, la Madonna dei Miracoli della chiesa dello Spirito Santo a Messina, nella quale sembra evidenziarsi ancora una volta il dialogo stilistico con i modi di Salvo De Antonio. Pugliatti, al contrario, assegna al G. il solo trittico di Taormina attribuendo l'intero corpus delle opere a lui riferite in parte a Giovanni Antonio Marchisio (o Marchese) in parte a Giovannello da Itala.
Dall'esame delle opere attribuite al G., tutte più o meno coerentemente accostabili al trittico di Taormina, emerge la costante nostalgica ripresa dei motivi antonelliani maggiormente intrisi di cultura fiamminga, piegata finanche al recupero delle più elaborate - anche se a volte stereotipe - cadenze franco-borgognone. Il G. costituisce un esempio paradigmatico della cristallizzata e ritardataria cultura diffusa dalla tarda bottega antonelliana tra lo scadere del Quattrocento e lo schiudersi del Cinquecento, probabile riflesso dei condizionamenti dettati dai gusti di una committenza provinciale e attardata che nell'esplicito riferimento al collaudato schema compositivo proprio di Antonello non volgeva lo sguardo verso tendenze figurative nuove e più aderenti alla temperie artistica coeva.
Fonti e Bibl.: G. Grosso Cacopardo, Lettera VII sulla pittura, in Il Maurolico, 7 dic. 1833; G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel Rinascimento, Palermo 1899, pp. 9 s.; G. La Corte Cailler, Alcune opere d'arte osservate in Taormina, in Atti della R. Accademia peloritana, XVII (1902-03), pp. 102 s.; G. Di Marzo, Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti, Palermo 1903, pp. 27-29, 60 n. 1; E. Brunelli, A. G., in Rassegna d'arte, VII (1907), pp. 109 s.; E. Mauceri, Taormina, Bergamo 1907, p. 74; E. Brunelli, Note antonelliane, in L'Arte, XI (1908), pp. 300 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, 4, Milano 1915, pp. 192-194; E. Brunelli, A. G., il vecchio Cardillo, Alfonso Franco, in Giornale di Sicilia, 21 maggio 1931; S. Bottari, Intorno ad A. G., in Arte cristiana, XXII (1934), pp. 261-263; Antonello da Messina e la pittura del '400 in Sicilia (catal.), a cura di G. Vigni - G. Carandente, Venezia 1953, pp. 82-85; S. Bottari, Antonello da Messina e la pittura del '400 in Sicilia, in Le Vie d'Italia, LIX (1953), 5, pp. 608 s.; Id., La cultura figurativa in Sicilia, Messina-Firenze 1954, pp. 47-50; Id., La pittura del Quattrocento in Sicilia, Messina-Firenze 1954, pp. 68-70; M.G. Paolini, Antonello e la sua scuola, in Storia della Sicilia, V, Napoli-Palermo 1979, p. 326; F. Campagna Cicala, Opere d'arte restaurate del Messinese, Messina 1979, pp. 89-93; Id., Il seguito di Antonello in Sicilia, in Antonello da Messina (catal.), Roma 1981, p. 211; Id., La pittura in Sicilia nel Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1986, pp. 485, 650; Id., in F. Zeri - F. Campagna Cicala, Messina. Museo regionale, Palermo 1992, pp. 74 s.; T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia orientale, Napoli 1993, pp. 59-67; M.G. Aurigemma, G., A., in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, II, Palermo 1993, p. 236; F. Campagna Cicala, La cultura figurativa a Messina dal periodo normanno alla fine del Quattrocento, in Messina. Il ritorno della memoria, Palermo 1994, p. 223; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 205.