CAMPOFRANCO, Antonino Lucchesi-Palli e Gallego principe di
Nacque a Palermo il 26 luglio 1716 da Emanuele Lucchesi-Palli e da Domenica Gallego e Moncada, figlia di Gaetano Gallego principe di Militello. Alla morte del padre fu investito, il 20 nov. 1720, dei titoli di principe di Campofranco (Caltanissetta) e duca della Grazia. Sposò Annamaria Tomasi e Valguarnera figlia del principe di Lampedusa, Ferdinando Tomasi. Fu capitano di Giustizia a Palermo nel 1738 e nel 1739 governatore della Compagnia della carità nel 1745, maestro razionale di cappa e spada in soprannumero del Tribunale del Real Patrimonio nel 1754. L'anno seguente formò a sue spese il reggimento di cavalleria di Sicilia, che fece la sua "pubblica comparsa" il 5 dicembre del 1755.
Ma ben presto, come usavano i colonnelli comandanti i reggimenti nazionali, andò a Napoli, dove soggiornò fino al 1759, quando fu inviato da re Carlo di Borbone in Sicilia, per verificare l'esattezza di una serie di denunce giunte alla corte contro gli appaltatori della zecca di Palermo, accusati di coniare le monete d'oro - le "fenici" o "once" - con una quantità di metallo inferiore al dovuto.
Il C., in presenza del viceré Fogliani, ritirò un sacchetto di once dal Banco pubblico, le fece fondere, e una nuova prova dimostrò - diversamente dai precedenti saggi compiuti dai ministri del Real Patrimonio - che ogni oncia era inferiore di due carati e cinque ottave al suo intrinseco valore. Si costituì allora un tribunale, chiamato giunta, cui partecipò anche il C., per il processo agli appaltatori, fra cui emergeva Giovanni Settimo principe di Cammaratini. La sentenza, emessa il 28 genn. 1762, condannò i rei alla deportazione in diverse isole e al risarcimento del danno, mediante coniazione di nuove monete fornite del titolo prescritto. L'esperienza tratta da questo episodio convinse il C. a presentare un progetto alla corte napoletana, fondato sul principio che il problema della coniazione delle monete in Sicilia si doveva risolvere attraverso una "rimonetazione" e non con una nuova emissione.
Nelle more del processo, il C. - che s'interessava di letteratura e componeva versi sulla falsariga del Rolli - fondò a Palermo, il 1º dic. 1760, nella sua casa, in via dello Spasimo, contrada della Kalsa, una nuova Accademia, cui diede il nome di "Galante Conversazione".
Questa denominazione indicava comunemente la contemporanea cultura francese, discretamente diffusa nella Sicilia settecentesca per le opere di Montesquieu, Voltaire, Diderot, Helvétius e soprattutto Rousseau. Lettori e seguaci del filosofo ginevrino furono amici e protetti del C., dal poeta Giovanni Meli allo scrittore rivoluzionario Francesco Paolo Di Blasi, ad Anna Gentile Gagliano, traduttrice della Marianna di Voltaire e autrice delle Lettere filosofiche (secondo alcuni opera dello stesso C.) riguardanti "i vantaggi e gli svantaggi" della vita sociale e pubblicate sotto gli auspici dell'Accademia palermitana. Alla Gentile il principe manifestò apertamente le sue simpatie per le nuove dottrine francesi, scrivendole, fra l'altro, in una lettera, che causa della corruzione dell'uomo era stata la società. La denuncia delle condizioni delle classi diseredate e l'invocazione d'una riforma sociale appartenevano anche alla propaganda massonica, cui non rimase estraneo il C., secondo la testimonianza di Federico Münter, che soggiornò a Palermo nell'inverno tra il 1785 e il 1786.
Di pari passo con l'attività letteraria - culminata nella pubblicazione di due volumi di versi - e gli interessi riformatori, proseguiva la carriera militare del C., che, cavaliere di S. Gennaro dal 1766, era nominato brigadiere generale degli eserciti napoletani nel 1772 e maresciallo di campo nel 1775. L'eminente posizione nella corte napoletana sarebbe stata infine coronata dalla nomina a maggiordomo maggiore della regina nel 1786 e dalla designazione a tenente generale nel 1790.
Il difficile compromesso tra una cultura vivace e progressista e la tradizionale attività cortigiana, tenuto in piedi dal primo riformismo borbonico, si spezzò di fronte all'avanzare delle idee e delle armi rivoluzionarie. Influenzato anche dalla figlia Rosalia principessa di Baucina, il C. mostrò apertamente la sua viva simpatia per le idee repubblicane, rimanendo a Napoli all'avvicinarsi delle truppe francesi, col pretesto della sua infermità fisica. I sentimenti liberali e rivoluzionari del principe si mostrarono però chiaramente quando s'affrettò a riconoscere la Repubblica Partenopea. Questa notizia colpì duramente a Palermo re Ferdinando, che s'astenne dal decretare la confisca di tutti i beni del suo ex maresciallo di campo soltanto per il deciso intervento del nipote del C., il giovane Antonio Lucchesi Filingeri, che difese efficacemente i suoi diritti di discendenza.
Il C. morì a Napoli il 28 ott. 1803, come risulta da prova testimoniale ricevuta nell'ufficio del protonotaro il 26 luglio 1805.
Fonti e Bibl.: Lettere di B. Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, p. 96; G. B. Di Blasi, Storia cronologica de' viceré, luogotenenti, e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1791, III, 1, pp. 456, 474, 481 s.; G. A. Cesareo, La giovinezza di G. Meli, in Arch. stor. sicil., n.s., II (1916), pp. 252-54; Id., La vita e i tempi di G. Meli, Palermo 1924, p. 27; F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo 1924, II pp. 184 s.; E. Piraino, I nobili nella vita e nell'arte di G. Meli, Palermo 1932, pp. 42 ss.; A. Di Giovanni, La vita e l'opera di G. Meli, Firenze 1934, pp. 253 s.; E. Di Carlo; Dai diari di Federico Münter (il suo soggiorno a Palermo), in Arch. stor. per la Sicilia, IV-V (1938-39), p. 478; F. De Stefano, Storia della Sicilia dal secolo XI al XIX, Bari 1948, pp. 242 s., 262; T. Mirabella, Fortuna di Rousseau in Sicilia, Caltanissetta-Roma 1957, p. 177; G. Falzone, II regno di Carlo di Borbone in Sicilia, Bologna 1964, p. 161.