MARESCA, Antonino
– Nacque a Napoli il 15 febbr. 1750, primo figlio maschio, dopo sette femmine, di Nicola – presidente della Camera della Sommaria e dal 1742 duca di Serracapriola – e di Camilla Donnorso.
Tanto la famiglia paterna quanto quella materna (quest’ultima di origine tarantina) facevano parte del patriziato di Sorrento e i Maresca, alcuni esponenti dei quali a Sorrento avevano coperto cariche civiche fin dai tempi angioini, avevano ottenuto il riconoscimento di antichissima nobiltà da Carlo II di Spagna nel 1692 ricavandone la prerogativa dell’ammissione «per giustizia» all’Ordine di Malta.
Il M. convolò una prima volta a nozze molto giovane, nel 1767, con la piemontese Maria Adelaide Del Carretto, figlia del marchese Carlo Ottavio. La coppia conduceva una vita forzatamente appartata a Sorrento: G. Casanova, che incontrò i due nel 1770 durante una gita, riferisce nelle sue memorie che l’accesso del M. alle cariche di Stato era precluso per ordine del ministro B. Tanucci, adirato con lui «perché il duca si era lasciato vedere alla passeggiata di Chiaia con un equipaggio e una livrea troppo magnifici, dando col suo lusso esempio non buono alla cittadinanza napoletana» (Croce, p. 193).
Tra il 1773 e il 1775 il M. soggiornò a Firenze con la moglie, probabilmente allo scopo di accreditarsi negli ambienti dell’alta società internazionale che frequentava la capitale del Granducato di Toscana. Nel luglio 1782, Tanucci era stato congedato nel 1776, il M. fu nominato ministro plenipotenziario presso la corte di San Pietroburgo. La prima carica che, ormai trentaduenne, si trovò a coprire fu dunque di grande prestigio e la sua nomina suscitò la perplessa ironia dell’abate Ferdinando Galiani, che la commentò così: «la prima negoziazione l’ha fatta bene, perché s’è fatto nominare: farà anche le altre» (ibid., p. 195).
Il M. partì da Napoli per la capitale russa nel marzo 1783 e vi giunse in settembre, annodando subito solidi legami con figure influenti della corte di Caterina II. Il suo primo grande successo diplomatico fu la stipulazione, nel 1787, di un trattato commerciale tra la Russia e Napoli. L’anno dopo – morta ormai da qualche tempo la prima moglie – sposò la principessa Anna Alexandrovna Viazemskij, appartenente a una fra le casate di maggior prestigio raccolte attorno alla zarina. Il padre di Anna, il principe Alexander Viazemskij, ricopriva infatti la carica di procuratore generale e ministro della Giustizia e delle Finanze.
Era l’avvio non solo di una seconda vita familiare, ma anche di una vera e propria carriera parallela, perché da quel momento il M. avrebbe a più riprese assunto incarichi diplomatici anche per conto dei sovrani russi. Nel 1790 trattò la pace tra la Russia e l’Impero ottomano; negli anni seguenti fu in Polonia in missione speciale e, ancora, condusse le trattative per la pace tra la Russia e la Svezia. Nel 1798 il suo ruolo fu determinante ai fini della stipulazione di quel trattato di alleanza tra Napoli e la Russia in ragione del quale l’anno seguente lo zar Paolo I avrebbe inviato nel Mediterraneo un corpo di spedizione allo scopo di cooperare alla cacciata dei Francesi da Napoli e alla riconquista borbonica della capitale, divenuta per qualche mese repubblica rivoluzionaria.
Nei quindici anni seguenti il M. rimase stabilmente a San Pietroburgo e, man mano che il dominio napoleonico si estendeva a tutta Europa, il suo ruolo si trasformò. Dal 1800, infatti, egli svolse mansione di agente diplomatico in Russia non solo per conto dei suoi sovrani, ma anche in difesa degli interessi dell’intera dinastia, ovvero non serviva soltanto i Borboni di Napoli (il 23 genn. 1806 il re Ferdinando era fuggito una seconda volta a Palermo), ma anche quelli di Parigi e di Madrid.
In particolare, tra il 1802 e il 1809, fu in continua corrispondenza con il futuro Luigi XVIII di Francia, a beneficio del quale ottenne sussidi, ospitalità a Mitau (dove fu tra il 1798 e il 1801 e tra il 1804 e il 1807) e protezione da parte del nuovo zar Alessandro I. Ma il suo carteggio di età napoleonica (Arch. di Stato di Napoli, Maresca di Serracapriola, Incarichi, b. 109) lo mostra, più in generale, febbrilmente impegnato nel coordinamento di iniziative a sostegno della traballante dinastia anche nello scenario spagnolo.
Il M., per altri versi sempre più integrato nel mondo dell’alta aristocrazia russa, veniva così assumendo un profilo che ormai solo in parte gli derivava dal suo rapporto di servizio con il ramo napoletano della dinastia. Risale a quegli anni, tra l’altro, la sua amicizia con Joseph de Maistre, ambasciatore, tra il 1803 e il 1817, del Regno di Sardegna a San Pietroburgo, il quale si abituò a riconoscere in lui una sorta di decano degli ambasciatori accreditati presso gli zar, eleggendolo a suo «maestro» nell’arte della diplomazia.
Tuttavia, alla fine del 1807, la sua vita a San Pietroburgo si fece più difficile. Dopo la pace di Tilsit, infatti, lo zar riconobbe come legittimo re di Napoli Giuseppe Bonaparte, il quale inviò presso la sua corte un proprio ambasciatore. Il M. si trovò così a rappresentare presso la corte russa il sovrano della sola Sicilia che, per di più, gli inviava in modo sempre più discontinuo gli emolumenti. La situazione peggiorò quando i Borboni, su sollecitazione dell’Inghilterra che li proteggeva dopo ch’erano riparati in Sicilia, sequestrarono al largo dell’isola una fregata russa, provocando una crisi nelle relazioni tra le due corti. In ogni caso i legami vantati dal M. all’interno dell’aristocrazia pietroburghese valsero a fargli superare indenne il momento di grave imbarazzo.
Nel 1812, quando la Russia si trovò direttamente esposta alla minaccia napoleonica, il M. tornò attivamente in gioco e lo zar riprese a impiegarlo in missioni diplomatiche riservate, incaricandolo di condurre trattative politiche e commerciali con la Persia, con la Turchia e con l’Inghilterra.
Nel 1814, alla caduta di Napoleone, il M., decano tra i diplomatici di San Pietroburgo, si trovò a giocare la più importante delle sue partite. Facendo ricorso ai buoni uffici della principessa polacca Maria Naryškina – amante dello zar Alessandro I – riuscì infatti a convincere quest’ultimo a respingere un piano austriaco nel quale si prevedeva di confermare sul trono di Napoli Gioacchino Murat (nel frattempo trasmigrato sul fronte antinapoleonico) invece di restituire il Mezzogiorno continentale ai Borboni.
Nel settembre 1814 il M. partì per Vienna, dove assistette al congresso come rappresentante della dinastia napoletana insieme con il principe Alvaro Ruffo, e dove si sforzò di imprimere alla politica estera di Ferdinando un orientamento fortemente filorusso. Qui osteggiò al tempo stesso le mire dell’Austria, che voleva gravare i Borboni di Napoli di pesanti contributi finanziari, da intendere come una sorta di rimborso per la restituzione del Regno. In quell’occasione il M. cominciò a maturare un attrito con il principe Alvaro Ruffo, l’altro rappresentante al congresso di quello che nel 1816 sarebbe divenuto il Regno delle Due Sicilie, che alla linea filorussa del M. contrapponeva una propensione filoaustriaca. Da questo contrasto sarebbero derivate per il M., di lì a qualche anno, pesanti ricadute personali.
Un decreto del 6 nov. 1815, emanato in occasione di un suo breve soggiorno a Napoli, ne riconosceva intanto «i meriti distintissimi acquistati in faccia all’augusta famiglia per averne sostenuto i diritti colla maggiore energia nel corso della rivoluzione» (Croce, p. 218), arricchendo al tempo stesso la già cospicua collezione di titoli cavallereschi (da quello Costantiniano a quello di S. Gennaro, a quello di S. Ferdinando e di S. Andrea di Russia).
Sembrava che si stesse preparando per il M. – tornato a San Pietroburgo di nuovo nelle vesti di ministro plenipotenziario – un trionfale tramonto di carriera. Ma non fu così. Nel 1817 gli giunse infatti notizia che era stato aperto a Napoli un procedimento giudiziario, teso a contestare una sentenza del 1815 che gli aveva restituito alcuni beni avocati dalla Commissione feudale negli anni murattiani. Il M. scrisse allora una lettera di accesa protesta al ministro degli Esteri napoletano, ricordandogli perentoriamente che «le più antiche leggi garantivano da tali molestie gl’individui in Missione, o impiegati fuori stato» (Arch. di Stato di Napoli, Maresca di Serracapriola, Incarichi, b. 109: lettera del 19 dic. 1817). Poco più di un anno prima aveva invece cercato invano di ottenere dall’Ordine costantiniano, di cui era gran croce dal 1787, la commenda di Sarno «vita natural durante, e di mio figlio», facendo presente come sin dal 1804 gli fosse stata promessa l’assegnazione del primo beneficio disponibile «di detto Reale Ordine» (ibid.: lettera del 5 ag. 1816), e ricordando al tempo stesso i sacrifici affrontati durante il decennio precedente.
Tali amarezze, che rispecchiavano in fondo l’incomprensione per il mondo postnapoleonico da parte di un uomo che il prolungato soggiorno presso gli zar aveva reso sordo a qualsiasi innovazione e tenacemente attaccato alle logiche di antico regime, erano però solo il preludio a quella che gli toccò nel 1820, in occasione della estemporanea costituzionalizzazione del Regno delle Due Sicilie, allorché venne invitato formalmente dal re a prestare giuramento di fedeltà alla carta costituzionale, come del resto aveva fatto il sovrano stesso e come veniva chiesto a tutti i pubblici funzionari.
L’invito era, per l’appunto, formale e il sovrano si aspettava che il M. lo disattendesse, in modo da evidenziare agli occhi della corte russa la sua condizione di «ostaggio» in mano ai rivoluzionari. Accadde così che, soffocata la rivoluzione, la sua obbedienza – peraltro piena di cautele – all’invito pervenutogli nel 1820 venisse strumentalizzata e ritorta in atto d’accusa nei suoi confronti dalla fazione filoaustriaca guidata da Alvaro Ruffo, irritato del fatto che l’ambasciatore a San Pietroburgo avesse esercitato pressioni sullo zar per scongiurare un intervento delle truppe austriache nel Regno.
Pur conservando, soprattutto grazie all’appoggio dello zar, la carica di ambasciatore in Russia, dopo la nuova restaurazione portata dall’esercito asburgico nelle Due Sicilie il M. cadde in disgrazia presso il suo sovrano, che a lungo si rifiutò di dare risposta alle sue accorate missive. Il perdono reale giunse solo nel giugno 1822, e a portarlo in forma scritta al padre fu il figlio Nicola, inviato da Napoli per affiancarlo nella veste di aggiunto di legazione. Ma si trattava di un perdono a metà: «La condotta da voi tenuta nelle ultime passate vicende di questo Regno, forse per sostenere un solo particolare puntiglio, ed una privata dissensione (cosa non conveniente ad un antico, e fedele servitore come voi) non poteva giammai meritare la mia approvazione». Tuttavia, il sovrano era disposto ad ammettere che s’era trattato di «un temporaneo errore [che] non può essere derivato da cattivi principi» (Arch. di Stato di Napoli, Maresca di Serracapriola, Incarichi, b. 111: lettera del 12 giugno 1822).
Il M. morì a San Pietroburgo il 22 nov. 1822.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Maresca di Serracapriola, Incarichi, bb. 109-111; M. Gustave, Notice biographique sur la vie et sur les travaux de m. le duc de Serracapriola, Paris 1842, pp. 1-7; Atti del Parlamento delle Due Sicilie, 1820-1821, a cura di A. Alberti, Bologna 1926, ad ind.; B. Croce, Il duca di Serracapriola e Giuseppe de Maistre, in Id., Uomini e cose della vecchia Italia, II, Bari 1927, pp. 193-224; F. Nunziante, Due nemici di Napoleone, in Nuova Antologia, 16 febbr. 1941, pp. 387-399; G. Berti, Russia e Stati italiani nel Risorgimento, Torino 1957, ad ind.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, IV, pp. 373-375; Enc. Italiana, XXXI, p. 456 (s.v. Serracapriola, A. M., duca di).