PAGLIARO, Antonino
PAGLIARO, Antonino. – Nacque a Mistretta (Messina) il 1° gennaio 1898, da Vincenzo e da Grazia Passarello, in una famiglia ragguardevole di possidenti e professionisti (i Pagghiaruni, secondo l’uso antroponimico locale).
Pur trasferito altrove fin da giovanissimo, restò sempre legato al paese natale, dove trascorreva d’abitudine i mesi estivi in una campagna di proprietà.
Nel 1913 si iscrisse alla facoltà di lettere di Palermo, dove seguì le lezioni di Oreste Nazari (sanscrito e grammatica comparativa), Giuseppe Pitré (tradizioni popolari), Giovanni Gentile e Cosmo Guastella (filosofia). Nel 1914, attratto dalla fama del grecista e papirologo Girolamo Vitelli, si trasferì al Regio Istituto di studi superiori di Firenze, dove strinse amicizia con Carlo Antoni (Ricordo di Carlo Antoni, introduzione a C. Antoni, Storicismo e antistoricismo, a cura di M. Biscione, Napoli 1964, pp. 3-32) e seguì le lezioni di Vitelli, Giorgio Pasquali e del papirologo Ermenegildo Pistelli. Nel 1917, rinunziando ai benefici di universitario, partì militare. Tenente nel Corpo degli arditi in un reparto agli ordini dell’allora capitano Giovanni Messe, per meriti conseguiti sul campo fu decorato con medaglia d’argento.
Terminata la guerra, riprese gli studi a Firenze. Nel 1919 aderì all’Associazione nazionalista italiana di Enrico Corradini, che sarebbe confluita nel 1933 nel Partito nazionale fascista (ciò nel 1936 gli procurò l’iscrizione al partito come ‘antemarcia’). Nel luglio 1921 si laureò con pieni voti e lode presentando due tesine di sanscrito e linguistica storica e discutendo con i relatori Ernesto Giacomo Parodi e Pasquali la tesi Il digamma in Omero (257 pagine dattiloscritte più un’appendice di 7 pagine), fonte di ulteriori pubblicazioni.
Nel 1922-24 si trasferì a Heidelberg, seguendo i corsi di linguistica indoeuropea e greco-latina di Karl Meister e di iranistica di Christian Bartholomae, che, dopo Vitelli, considerò poi sempre il suo maestro. Cominciò a pubblicare note di linguistica avviando un’intensa attività di ricerca in vista della redazione (suggeritagli da Bartholomae, che gli donò anche suoi materiali) di un dizionario storico ed etimologico del pahlavico. Prese anche a collaborare con il periodico fiorentino Il Marzocco, con frequenti note di letteratura tedesca. Grazie a una borsa di studio, nel 1924-25 fu a Vienna dove seguì i corsi di Paul Kretschmer. Per i lavori di indoeuropeistica e iranistica nel 1925 ottenne la libera docenza e nel 1926 fu chiamato da Luigi Ceci a insegnare come incaricato Filologia iranica nella facoltà di lettere della Sapienza di Roma. Già l’anno precedente Gentile lo aveva assunto come redattore capo della nascente Enciclopedia italiana, essenzialmente col compito di predisporre lo schedario dell’opera e avviare la redazione dei primi volumi. Nel 1929, per contrasti personali con il direttore amministrativo (sfociati in un duello e anche in un dissidio poi non più sanato con Gentile), si dimise restando collaboratore per le voci linguistiche. Intanto, morto Ceci, ebbe l’incarico di storia comparata delle lingue classiche.
Il contenuto di quei primi corsi fu rielaborato e pubblicato nel 1930 come primo ‘fascicolo’ di un Sommario di linguistica arioeuropea, nel quale le ragioni delle indagini linguistiche sono ripensate alla luce di un’inedita esplorazione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica tedesca e di un primo abbozzo dell’idea di lingua come tecnica dell’esprimersi. Era un’idea che portava necessariamente Pagliaro ad allontanarsi dal crocianesimo, come del resto mostrava la tessitura di richiami filosofici e scientifici che andavano ben oltre l’orizzonte crociano e colpirono Antonio Gramsci spingendolo a ritenere «indispensabile» il Sommario (Quaderni del carcere, ed. a cura di V. Gerratana, Torino 1975, pp. 737-739).
Nel 1931, vinto il concorso della materia (rinominata poi dal 1936 glottologia), divenne straordinario e poi ordinario. I contrasti con Gentile anche nella vita accademica della facoltà di lettere lo spinsero a cercare rivalse. Se non risulta negli elenchi di soci dell’Accademia d’Italia (alla quale qualche fonte indebitamente lo affilia senza precisazioni) è certo invece che nel 1937 fu eletto al Consiglio superiore dell’educazione nazionale e ne restò componente fino allo scioglimento nel 1943. Nel 1937 rientrò nell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana come direttore del Dizionario di politica, opera in quattro volumi che portò a termine nel 1940, patrocinata dal Partito nazionale fascista, ma non ben vista, in realtà, dalla segreteria nazionale per scarsa ortodossia. Negli stessi anni la facoltà di giurisprudenza gli affidò l’incarico di dottrina del fascismo e quella di magistero l’incarico di mistica fascista.
L’attività di ricerca specialistica proseguì fervida negli anni Trenta ampliandosi dall’iranistica al dominio latino e romanzo e continuando a sviluppare gli spunti teorici già presenti nel Sommario. Portando nell’elaborazione teorica la sempre più vasta esperienza di ricerca puntuale, storico-etimologica e di esegesi di testi iranici, greci, romanzi, Pagliaro considerò centrale nel linguaggio l’impulso al significare visto sia dal versante del soggetto produttore, del locutore o scrittore che cerca le vie per dare forma al contenuto della sua individuale coscienza, sia dal versante di chi riceve il risultato dell’esprimersi, le forme sensibili in cui esso si è sedimentato e da queste deve risalire al significato. Su entrambi i versanti il singolo individuo non può che mobilitare le risorse acquisite dalla comunità di cui è parte, non può che ricorrere a una determinata lingua, piegandola alle sue esigenze soggettive e insieme piegandosi a essa, alle sue regole e forme già note, alle sue distinzioni semantiche ‘sapute’, alla sua storicità. I ‘valori saputi’, i significati di parole e frasi, di volta in volta possono essere chiamati a esprimere ora dati particolari ora generali o universali e dunque nell’intrinseco loro i significati distinti da una lingua non possono non essere altro che ‘generici’. La creatività linguistica individuale non agisce nel vuoto, ma si attua quindi attraverso il ricorso a una tecnica collettiva, una certa lingua, che fa degli individui persone d’una comunità ed essa, la lingua, vive e sopravvive se e intanto che ciò avvenga. Di qui la valenza politica del linguaggio, riconosciuta già da Aristotele, ed evidenziata da Pagliaro nei contributi teorici di quegli anni consegnati alle voci linguistiche del Dizionariodipolitica e più distesamente nel volume Insegne e miti. Teoria dei valori politici del 1940 (riedito nel 1943 col titolo Teoria dei valori politici): una vigorosa sintesi teoretica che nel finale però si chiude con l’attribuire al totalitarismo e quindi al fascismo il ruolo egemone di promotore della comunione politica nazionale italiana. La sua adesione al fascismo fu indubbia, anche se collegata a complesse motivazioni di ordine storico e teorico molte delle quali lo portarono lontano dall’idealismo e storicismo italiano e crociano e a posizioni che appaiono singolarmente prossime a quelle teorizzate da altri in quegli anni, con intenti ed esiti differenti, sulla cultura come matrice di egemonia politica.
Il 1° agosto 1944, su segnalazione del Comitato di risanamento dell’Università di Roma, fu sospeso dal servizio e il 5 settembre la Commissione per l’epurazione del ministero della Pubblica Istruzione commutò la sospensione in radiazione dai ruoli per ‘indegnità’, pur associandosi al rammarico espresso dal Comitato romano per la perdita di una personalità di riconosciuto valore scientifico che, tuttavia, non aveva voluto riconoscere come ‘errore’ la sua adesione al fascismo. Pagliaro oppose ricorso. Il 20 giugno 1945 la Commissione centrale per l’epurazione, dopo avere esaminato il caso udendo Pagliaro e numerosi testimoni, pur deprecando l’‘accanimen-to’ con cui l’epurato continuava a non ammettere come errore la sua adesione al fascismo e a sostenere la natura ‘non apologetica’ ma intellettuale e scientifica delle sue posizioni, stante la qualità dei testimoni a discarico (tra i quali Carlo Antoni, Salvatore Battaglia, Guido Calogero, Gaetano De Sanctis, Giorgio Levi della Vida, Giuseppe Lombardo Radice), ridusse la radiazione a sospensione dal servizio per un anno (privatamente la sua attività non si interruppe, nella sua abitazione continuò sempre a far lezione di iranistica e si formarono allora, in quel contesto propriamente privatissimum alcuni degli allievi che successivamente raggiunsero i migliori risultati negli studi, come Walter Belardi e Marcello Durante). Dal 1946 Pagliaro tornò a fare lezione, ma, con qualche pertinacia, oppose ancora un ricorso amministrativo e ottenne infine l’erogazione dei due anni di stipendio toltogli.
Nel 1947, nonostante la fiera opposizione di personalità e associazioni laiche, Pagliaro fu rieletto con larghissimi consensi al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e confermato nei successivi turni elettorali fino al pensionamento nel 1969. Nel 1952 fu socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei e nel 1966 socio nazionale. Nel 1950 fondò e diresse la rivista Ricerche linguistiche che, insieme agli Atti dei Lincei, ospitò suoi contributi più strettamente specialistici. Dal 1955 al 1961 tenne per incarico l’insegnamento di filosofia del linguaggio, materia, allora, di nuova istituzione nelle università.
Nel 1958, sollecitato da Giovanni Messe, antico comandante cui restò sempre legato, accettò di candidarsi come senatore per il Partito democratico italiano (che raccoglieva vari segmenti dei partiti monarchici) e risultò primo dei non eletti nella circoscrizione di Roma.
Nel 1968 si ritirò dall’insegnamento, pensionandosi con anticipo, ma non rallentò le sue attività di ricerca (specie sulla Commedia) e pubblicazione e cercò di avviare una ‘enciclopedia fenomenologica’ per la casa editrice Fabbri.
Nell’estate del 1973, mentre era a Mistretta, fu colto da improvvisi e gravi segni di un male incurabile. Rientrò a Roma, ma vane risultarono le prospettive di intervento e cura.
Volle allora tornare nella sua casa di campagna a Mistretta: qui morì il 6 dicembre 1973 e fu sepolto.
Gli ultimi venticinque anni di vita furono segnati da un crescente impegno intellettuale. In scritti brevi e ironici, nati apparentemente quasi per svago (l’inclinazione letteraria si espresse scopertamente nelle rivisitazioni mitologiche di Ceneri sull’Olimpo, Roma 1952, e, anni dopo, nella rielaborazione narrativa di antiche fonti in Alessandro Magno, Torino 1960) per il quotidiano Il Tempo e il settimanale Idea, raccolti nel volume Ilsegno vivente, Pagliaro venne affinando le sue formulazioni teoriche sul linguaggio, il significato, la storicità delle lingue e il rapporto tra parola e altre forme simboliche, illustrato più distesamente nel volume La parola e l’immagine e infine nel volume La forma linguistica e nel saggio postumo Esprimere e comunicare. Il fulcro della sua attività restò la ricerca linguistica anzitutto nell’ambito iranico medievale, sfociata in numerose pubblicazioni specifiche e registrata anche in una serie di taccuini manoscritti, materiali per l’incompiuto ma mai dismesso progetto di dizionario pahlavico. Ma all’iranistica si affiancarono ricerche esegetiche e semantiche su testi greci, a cominciare dall’Iliade del cui primo libro Pagliaro progettò un commento ma pubblicò a stampa solo le annotazioni ad alcune decine di versi inziali e raccolse un vasto materiale sfruttato solo in parte in alcuni saggi di critica semantica. Da Omero l’indagine si ampliò ad altri testi e autori della grecità classica di rilievo filosofico (Eraclito, il Cratilo di Platone, Aristotele), a testi latini e sempre più spesso italiani medievali e moderni, d’autore e popolari. In questo settore l’indagine semantica spaziò dai primi secoli della letteratura a Vico e ad autori del Novecento come Luigi Pirandello, ma si concentrò soprattutto sulla Commedia: una vasta messe di studi e rinnovate letture avrebbe potuto e dovuto portare a un commento puntualmente esegetico della Commedia, un progetto accarezzato da Pagliaro fin dagli anni Trenta quando stipulò un contratto con l’editore Sansoni. L’interpretazione continua del testo dantesco fu l’ultimo assiduo impegno della sua vita, ma si arrestò al canto XXVI dell’Inferno. Fu, ancora una volta, una ‘incompiuta’.
Opere: L’origine del presente in -t- nel medio-persiano dei libri, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, LX (1925), pp. 115-129, 189-199; Per il F in Omero, in Rivista di filologia e di istruzione classica, III (1925), pp. 231-241; Epica e romanzo nel medioevo persiano, Firenze 1927; Sommario di linguistica arioeuropea, I, Cenni storici e questioni teoriche, Roma 1930; Aspetti della storia linguistica della Sicilia, in Archivum Romanicum, XVIII (1934), pp. 355-380; Lingua, in Dizionario di politica, II, Roma 1930, s.v.; Logica e grammatica. Eraclito B 1, inRicerche linguistiche, I (1950), pp. 1-57; Il primo libro dell’Iliade, Bari 1951; Il segno vivente. Saggi sulla lingua e altri simboli, Napoli 1952; Saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1953; Nuovi saggi di critica semantica, ibid. 1956; La parola e l’immagine, Napoli 1957; Poesia giullaresca e poesia popolare, Bari 1958; Altri saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1961; A. Pagliaro - W. Belardi, Linee di storia linguistica dell’Europa, Roma 1963; Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, Messina-Firenze 1966; A. Pagliaro - T. De Mauro, La forma linguistica, Milano 1973; Esprimere e comunicare, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 8, CCCLXX (1974), pp. 609-674; Commento incompiuto all’Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Roma 1999.
Fonti e Bibl.: T. De Mauro - A. Vallone, A. P., in Letteratura italiana (Marzorati), I critici, IV, Milano 1969, pp. 3179-3205; W. Belardi, A. P. nel pensiero critico del Novecento, Roma 1992; E. Coseriu et al., A. P. and Linguistic Historiography in Italy, a cura di T. De Mauro - L. Formigari, München 1993.