PIRROTTA, Antonino
PIRROTTA, Antonino (Nino). – Nacque a Palermo il 13 giugno 1908, primogenito di Vincenzo, proprietario di una fabbrica di litografia su banda stagnata, e di Adele Restivo.
I genitori, colti e competenti collezionisti d’arte, appartenevano alla comunità intellettuale di Palermo; il padre era secondo cugino di Luigi Pirandello. Pirrotta ebbe due sorelle, Giulia (1910-2008), che andò sposa a Ottavio Ziino, compositore e direttore d’orchestra, e Bianca (1917-1978).
Pirrotta ricevette la prima formazione in casa. Nel 1917 si iscrisse al ginnasio, nel 1922 al liceo classico Garibaldi della sua città e completò la sua educazione con lezioni private di pianoforte con Luigi Amadio, professore di organo al Conservatorio di Palermo. La stima di Pirrotta per il suo insegnante lo spinse a iscriversi al Conservatorio prima di terminare il liceo, da cui si ritirò nel 1924; completò quindi privatamente la preparazione dell’ultimo anno, conseguendo la maturità classica nel 1925. Successivamente si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Palermo, ma il trasferimento di Amadio a Firenze lo indusse alla prima importante decisione professionale della sua vita: nel 1927 si ritirò dall’Università e dal Conservatorio di Palermo per iscriversi nei rispettivi istituti di Firenze. Qui conseguì nel 1929 il diploma in organo e composizione organistica, nel 1930 la laurea in lettere, con una tesi sulle Fonti iconografiche e stilistiche della pittura su maioliche del Rinascimento svolta sotto la guida di Mario Salmi.
Nel 1931 Pirrotta tornò a Palermo, dove, assolti gli obblighi militari, iniziò a svolgere attività di concertista e di critico per il quotidiano L’ora; fu coinvolto nell’attività degli Amici della musica e iniziò a lavorare a tempo determinato presso la biblioteca del Conservatorio. Nel 1934 il suo amico Ettore Li Gotti, filologo romanzo, gli chiese di collaborare a uno studio sulla produzione poetica di Franco Sacchetti e le sue intonazioni musicali. Da autodidatta, Pirrotta imparò la notazione italiana del Trecento, trascrivendo l’intero corpus delle intonazioni di testi sacchettiani, e acquisì una competenza profonda della pratica e delle forme della poesia per musica trecentesca. Esito della ricerca fu un libro firmato con Li Gotti (Il Sacchetti e la tecnica musicale del Trecento italiano, Firenze 1935); grazie a esso Pirrotta poté stabilizzare la propria posizione nel Conservatorio, dove nel 1938 ottenne per concorso il posto di professore di storia della musica e di bibliotecario. La collaborazione con Li Gotti segnò l’inizio di un decennio di ricerca sulla musica del Trecento italiano: abbandonò l’attività concertistica e il giornalismo per dedicarsi a tutt’uomo al lavoro di bibliotecario, all’insegnamento e alla ricerca musicologica.
Nel 1939 Pirrotta sposò Lea Paternostro (1911-1996), da cui ebbe quattro figli: Adelaide Maria detta Dilli (1941), Vincenzo (1942), Silvia (1945, sposata al pediatra Liborio Giuffrè) e Sergio (1948).
Al termine della seconda guerra mondiale il prestigio ormai acquisito da Pirrotta (fra l’altro con il ripristino della biblioteca, danneggiata dai bombardamenti) condusse alla sua nomina a bibliotecario dell’Accademia di Santa Cecilia e del Conservatorio di Roma (1948-56), dove la presenza di importanti fonti primarie per altre fasi della storia della musica italiana gli suggerì nuovi ambiti di ricerca: avviò così una serie di studi sulla storia dell’opera, in ispecie nella fase fiorentina delle origini e negli sviluppi successivi per mano di una delle sue figure preminenti, Antonio Cesti. In entrambi i casi, l’attività scientifica ebbe anche un esito esecutivo: Pirrotta preparò un’edizione dell’Euridice di Jacopo Peri per un’esecuzione trasmessa dalla RAI (1951) e si adoperò con successo per una ripresa dell’Orontea di Cesti (Siena 1953).
La carica di direttore della Biblioteca di Santa Cecilia gli offrì l’occasione di stabilire relazioni internazionali, collegate in particolare alla fondazione dell’Associazione internazionale delle biblioteche musicali. Pirrotta conobbe musicologi di spicco, fra i quali Oliver Strunk, professore alla Princeton University, che lo invitò come visiting professor nell’anno accademico 1954-55. Seguì un invito analogo alla Columbia University di New York (primo semestre 1955-56), infine la nomina come professor of music (di ruolo) nella faculty of arts and sciences della Harvard University e direttore della Eda Kuhn Loeb music library a Cambridge, Mass. (1956-71). Frattanto, nel 1956, Pirrotta era stato incluso nella terna degli idonei del primo concorso a cattedre per la storia della musica bandito in Italia (con Luigi Rognoni e Luigi Ronga), ma per via del sopraggiunto trasferimento negli Stati Uniti non fu chiamato a ricoprirne alcuna nelle università italiane.
Durante il periodo statunitense Pirrotta ampliò i propri interessi di studioso fino a comprendere l’intero arco della musica italiana nel Rinascimento; in particolare, pubblicò un fondamentale articolo in cui cercava di spiegare l’apparente assenza di produzione polifonica profana da parte di compositori italiani del Quattrocento (Music and cultural tendencies in 15th-century Italy, 1966; trad. it. Musica tra Medioevo e Rinascimento, Torino 1984, pp. 213-249) e una magistrale serie di saggi sulle «scelte poetiche» dei madrigalisti italiani Carlo Gesualdo, Luca Marenzio e Claudio Monteverdi. Proseguì tuttavia gli studi sulla musica del Trecento (The Music of fourteenth-century Italy, 5 voll., Amsterdam 1954-64; Paolo Tenorista in a new fragment of the Italian ars nova, Palm Springs 1961) e sul teatro d’opera del Seicento, affrontando ora in particolare Monteverdi e Francesco Cavalli. In quel periodo Pirrotta seguì le dissertazioni dottorali di numerosi studenti che sarebbero poi entrati nei ranghi dei più eminenti musicologi americani della loro generazione.
Nel 1971, resasi vacante la cattedra di storia della musica nell’Università di Roma, Pirrotta poté essere chiamato a ricoprirla grazie all’idoneità conseguita nel 1956. Dopo quindici anni di insegnamento a Harvard, desiderava concludere la carriera con un ruolo di primo piano nella musicologia italiana. Pirrotta fu professore ordinario a Roma dal 1972 al 1983 (fuori ruolo dal 1978), e anche qui fu il mentore di alcuni giovani musicologi italiani di valore.
L’attività di studioso proseguì con intensità fin quasi al termine della sua vita. Negli anni del ritiro aprì i suoi interessi su nuovi versanti, fino a comprendere la tradizione dell’opera metastasiana del primo Settecento e la grande tradizione operistica dell’Ottocento (Rossini, Bellini, Verdi).
Pirrotta fu insignito di lauree honoris causa dal College of the Holy cross (Worcester, Mass.) e dalle università di Chicago, Cambridge (Regno Unito), Princeton e Urbino. Gli sono state dedicate cinque miscellanee di studi (Rivista italiana di musicologia, X (1975), n. monografico a cura di L. Bianconi et al.; Musica disciplina, L (1996); In cantu et in sermone, a cura di F. Della Seta - F. Piperno, Firenze 1989; Ceciliana, a cura di M.A. Balsano - G. Collisani, Palermo 1994; Col dolce suon che da te piove. Studi su Francesco Landini e la musica del suo tempo in memoria di Nino Pirrotta, a cura di A. Delfino - M.T. Rosa Barezzani, Firenze 1999); altre raccolte sono apparse in memoriam (Recercare, X, 1998; Studi musicali, XXVIII, 1999). Fu socio dell’Accademia nazionale di S. Cecilia, dell’Accademia nazionale dei Lincei e della American Academy of arts and sciences, socio onorario della Royal musical association, della American musicological society e della Società internazionale di musicologia. Ricevette il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei (1983) e il premio Viareggio-Repaci per la saggistica (1987).
Morì a Palermo il 22 gennaio 1998.
Senz’altro uno dei massimi musicologi italiani della sua generazione, Pirrotta è generalmente annoverato tra i più eminenti studiosi nella storia della disciplina, in Italia come in Nordamerica. Il suo pensiero è caratterizzato da alcuni temi ricorrenti, delineati fin dalla sua prima pubblicazione scientifica (Il Sacchetti e la tecnica musicale… cit.) e di lì in poi sviluppati sistematicamente. Il più noto è il riconoscimento del fatto che dev’essere esistita nella storia della musica italiana una copiosa «tradizione non scritta», ossia non documentata in fonti musicali e però ricostruibile indirettamente, sulla base vuoi di documentazioni esterne (iconografiche, cronachistiche, letterarie) vuoi di tracce e indizi obliquamente raccolti dalla tradizione scritta della musica, per sua natura più selettiva («La musica di cui facciamo la storia, la tradizione scritta della musica, può essere paragonata alla parte visibile di un iceberg, la maggior parte del quale resta invece sommersa ed invisibile […] la musica della tradizione non scritta», Musica tra Medioevo e Rinascimento, cit., p. 177). A ciò si collega il convincimento che la polifonia ebbe in Italia una diffusione limitata proprio perché la sua conservazione e trasmissione dipendevano da una ‘tecnologia’, cioè la notazione musicale, ch’era considerata un’opzione compositiva tra le tante, e non necessariamente quella preponderante (viceversa, è l’evidenza stessa delle fonti musicali manoscritte a indurre in noi l’impressione, ingannevole, ch’essa fosse prevalente). Pirrotta volle inoltre collegare la pratica polifonica alla tradizione scolastica, suggerendo che i circoli formatisi in ambienti universitari – a cominciare da quelli parigini – erano ipso facto più predisposti ad apprezzarla; per converso, gli umanisti italiani del XV secolo tennero in sospetto la polifonia ‘scolastica’, accarezzando semmai concezioni musicali che sembravano riandare a tradizioni musicali antiche, in primis la pratica neo-orfica del canto assolo accompagnato da uno strumento ad arco. Queste idee si lasciano ricondurre a un principio più generale: in seno a una data società le diverse tradizioni musicali sono espressioni dei diversi strati sociali. Ma, come Pirrotta si premurò sempre di precisare, ciò non significa affatto che la tradizione non scritta si identifichi con i ceti illetterati, poiché vi sono ampie prove che i generi a essa collegati erano diffusi tra le élites sia nel Medioevo sia nel Rinascimento. L’interesse di Pirrotta per le implicazioni sociali palesa un’avvertita e precoce sensibilità per la cultura materiale della musica. Un’analoga sensibilità informa la sua attenzione, non scontata a quell’epoca, per la componente visiva e spettacolare del teatro rinascimentale con musica e del melodramma degli albori, che è nel contempo il riflesso della sua originaria formazione storico-artistica e più in generale umanistica. Quest’ultima si manifesta anche nel perdurante interesse per i rapporti tra poesia e musica, tra forma poetica e intonazione musicale, ma anche per la poetica di autori come Guarini e Tasso, che si ripercosse sulle scelte poetiche dei madrigalisti e sulle ‘letture’ musicali che dei loro versi diedero Gesualdo, Marenzio o Monteverdi. Il contributo specifico dato da Pirrotta alla comprensione della storia dell’opera risiede in particolare nel ridimensionamento del ruolo pionieristico tradizionalmente attribuito alla cosiddetta ‘camerata fiorentina’, e nelle feconde intuizioni circa gli sviluppi del nuovo genere nella fase romana e veneziana della sua espansione, ivi compresa l’incidenza del modello produttivo della commedia dell’arte nel processo di disseminazione sul territorio nazionale. Pirrotta fu autore o coautore di tredici pubblicazioni monografiche (fra esse spicca il volume Li due Orfei: da Poliziano a Monteverdi, con un saggio critico sulla scenografia di Elena Povoledo, Torino 1969, che ha vinto il premio Otto Kinkeldey della American musicological society; nuova ed. 1975, trad. inglese, Cambridge 1982) e di circa 200 articoli, i più importanti dei quali sono stati ripubblicati in quattro raccolte (Music and culture in Italy from the middle ages to the baroque, Cambridge, Mass., 1984; Musica tra Medioevo e Rinascimento, Torino 1984; Scelte poetiche di musicisti, Venezia 1992; Poesia e musica e altri saggi, Scandicci 1994). Per un elenco completo della sua produzione scientifica si veda T.M. Gialdroni, Bibliografia degli scritti di Nino Pirrotta, in Studi musicali, XXVIII (1999), pp. 43-63; gli scritti giornalistici sono pubblicati in A.M. Cummings - S. Eiche, Nino Pirrotta’s early music-critical writings, in Studi musicali, XXXVII (2008), pp. 253-337.
La biblioteca di Nino Pirrotta è stata donata all’Università di Roma Tor Vergata.
Fonti e Bibl.: E. Rosand, recensione a Music and culture in Italy from the middle ages to the baroque, in Journal of the American musicological society, XXXIX (1986), pp. 389-395; F. Della Seta, Appunti per un ritratto intellettuale di N. P., in Recercare, X (1998), pp. 9-15; F. Piperno, Omaggio a N. P.: ricordo di un nobile studioso, in Amadeus, aprile 1998, n. 101, pp. 48 s.; Musicologia fra due continenti. L’eredità di N. P. Convegno internazionale… 2008, Roma 2010; A.M. Cummings, N. P.: an intellectual biography, Philadelphia 2013.