AMOROSI, Antonio
Pittore marchigiano (della Comunanza, presso Ascoli). Nato, secondo il Mariette, circa il 1660; ancor vivo nel 1736, quando il Pascoli ne scriveva brevemente, in appendice alla vita di Giuseppe Ghezzi, di cui l'A. fu discepolo. Operoso principalmente in Roma, dove, sul finire del Seicento e sui primi del Settecento, rappresenta la pittura di costume, rilevato tipicamente dai varî strati sociali, e fissato ben presto in una topica dove alcuni argomenti prevalgono e sono continuamente replicati, non senza analogia con la satira del tempo: il Maestro di scuola, la Maestra di lavori, l'Educazione di famiglia, il Venditore di legumi, il Vecchio bevitore, la Vecchia beghina, e via dicendo. L'introduttore in Roma di questa topica di argomenti sociali fu, prima dell'A., il vicentino romanizzato Pasquale Rossi; ed è probabile che da lui siffatti motivi siano passati nell'A. e nel Ghezzi nel Todeschini e nel Ceruti, nel Bonito e nel Traversi. Per quanto è della pittura, tuttavia, l'A. pare rifarsi più addietro, fino alle sorgenti del "tocco" impressionistico, nel Feti; giovando inoltre notare che una ripresa di tocco, visibile e violento, avveniva a Roma, quasi contemporaneamente, anche nella pittura contadinesca del Rosa da Tivoli e di Domenico Brandi, e persino nella pittura di paese, con Cristiano Reder. Codeste rappresentazioni di costume erano tuttavia considerate, soprattutto nella Roma accademica di quel tempo, come "pittura inferiore"; e vi si ammetteva pertanto, quasi per diletto, un brio estemporaneo di fattura che non si sarebbe tollerato nella pittura sacra. Questa concezione "classistica" era accettata passivamente anche dai pittori, che finivano, all'occorrenza, per specializzare a seconda degli argomenti persino il modo del dipingere. L'A. stesso trattò qualche volta di argomenti storici e sacri: non esistono più i suoi affreschi per il Palazzo pubblico di Civitavecchia, dipinti sulla fine del Seicento (fatti di Innocenzo XIII); ma l'unico superstite fra i suoi quadri sacri (Madonna e San Francesco da Paola, nella sagrestia di San Rocco a Ripetta), dimostra che quel preconcetto aveva presa sull'artista, e veniva allora a diminuire di molto le sue doti pittoriche più vere. Anche in una serie abbastanza ricca di quadretti in formato minore, e d'intenzione elegantemente arcadica e bucolica (pastorelle che ammiccano, fanciullini che giocano, e simili), l'A. si tiene a una pittura più leccata e graziosa. Il suo temperamento genuino occorre invece cercarlo nelle scene tratte dal vivo, per lo più a mezze figure, o figure terzine, scelte, di solito, nel ceto popolare; ora isolate ed ora raccolte in trattenimenti zingareschi o rusticali, in scene vivacissime di scuole miste, o di laboratorî donneschi. Qui la prontezza dell'osservazione si esprime con una rapidità di tocco impressionistico che realizza all'istante un tessuto, una piega, un gesto, un particolare significante del costume e del carattere; ciò che può spiegare perché, fino a ieri, parecchi dipinti dell'A. si ritenessero opera di Spagnoli; e, con qualche iperbole, persino del Velázquez. Non occorre, di fatto, nascondersi che l'A. abusa talora di questa sua prontezza, e si prodiga in una furia sbrigativa dove il tocco, che per riuscire efficace dev'essere sobrio e appropriato, cade in un arruffio inespressivo e sgradevole.
Sulla scorta dei pochi dipinti che avevano durato con l'esatta ascrizione, p. es. la bellissima Fanciulla dormente a Schleissheim, è stato recentemente possibile (da parte di H. Voss) restituirne all'A. parecchi altri fra i più caratteristici; tra questi citiamo la Maestra della raccolta Hirsch (New York), i Musicanti rusticani della raccolta Ruthrauff (New York), il Contadino già nella raccolta Messinger; la Venditrice di noci del museo di Trieste, ecc. A queste seguirono altre identificazioni da parte di A. L. Mayer (Scena contadinesca, raccolta Mersch; Fanciulla cucitrice, raccolta Harris, Londra); e di R. Longhi, come: l'esemplare migliore dell'Erbivendolo (raccolta Cecconi, Firenze), gli Zingari musicanti (Roma, raccolta Zoccoli), i Contadini (Roma, proprietà U. Jandolo), la Ragazza con frutta (Roma, Galleria nazionale); due opere a Pommersfelden (l'Erbivendolo e la Scuola, n. 340, 341); quattro nei depositi dell'Accademia di belle arti a Vienna; cui si possono oggi aggiungere ancora: il Piccolo flautista (Nancy, Museo, attribuito a scuola spagnola); la Poesia (Narbonne, Museo, n. 184, attribuito a scuola francese del sec. XVII); il Mercante di ciambelle (La Rochelle, museo, n. 201, attribuito a scuola del Jordaens); il Vecchio bevitore (ibidem, n. 206, attribuito a scuola spagnola); Testa di vecchia (Nantes, Museo, n. 311); Ciociara (Chartres, Museo, n. 280); il Buzzurro e l'Educazione di famiglia (Chambéry, Museo, nn. 105 e 106, attribuito a scuola italiana del sec. XVII); il Vecchio che suggella una lettera e il Vecchio bevitore (Rodez, Museo Puech, nn. 239 e 240; il secondo replica del n. 206 di La Rochelle); la Maestra di scuola (Praga, raccolta Novak); mezza figura di Vecchio (Vercelli, Museo Leone, n. 156, attribuito a scuola fiamminga); i Piccoli musicanti (Roma, proprietà Addeo); la Fanciulla al tombolo (Parigi, casa Duveen).
Bibl.: La fonte principale per l'A. è il Pascoli, Vite dei pittori, ecc., Roma 1730-36, II, pp. 208-11. Per la restante bibliografia antica vedi; Thieme-Becker, Künstler-Lexicon, I, p. 420. Bibliografia più recente: H. Voss, Die falschen Spanier, in Cicerone, II (1910), pp. 5-11; id., Antonio Amorosi der falsche Spanier, in Cicerone, IV (1912), pp. 461-468; A. L. Mayer, Das Oeuvre des Ant. Amorosi, in Cicerone, IX (1912), p. 557; Catalogo della esposizione secentesca di Firenze, 1922, p. 22 e Album illustrato della stessa, Milano 1925, tav. 4; H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlino 1925, pp. 398-401 (tavole) e 636-638 (testo; con un apprezzamento però alquanto eccessivo del valore dell'artista); R. Longhi, Gaspare Traversi, in Vita Artistica, 1927, pp. 162, 163, 166; R. Eigenberg, Die Gemäldegal. d. Akad. d. bild. Künste in Wien, Vienna 1927, pp. 4, 5.