BAGNASACCO, Antonio
Nacque in Andorno nella prima metà del sec. XVI (oggi Andorno Micca, in provincia di Vercelli).
Cresciuto nel clima di fervore di studi legali tipico del Piemonte cinquecentesco, il B. ebbe modo di emergere dalla sua modesta attività di avvocato patrocinante, come esperto in materia feudale. La preferenza che Emanuele Filiberto mostrava di accordare nell'accesso ai pubblici uffici all'elemento piemontese dovette favorirne la rapida ascesa. Nominato consigliere, fu chiamato l'8 ag. 1576 a succedere a Battista Trabia nelle funzioni di gran chiavaro e custode dell'archivio della Camera dei conti, che comportavano la conservazione delle scritture del patrimonio ducale. Un anno dopo pervenne alla carica di avvocato generale fiscale, mantenendo con l'aiuto del fratello Giovanni Ludovico, che sarà vicechiavaro nel 1580, i precedenti incarichi alla Camera dei conti. I primi responsi redatti dal B., su richiesta di Carlo Emanuele I, riguardavano alcune difficili controversie in materia di beni feudali, come quella su Cocconato, Castelvecchio, Desana, Finale e il marchesato del Monferrato. Quest'ultimo "consulto" in particolare, Allegationes feudales in causa Marchiae Montisferrati ad ius universale, et particulare eiusdem, pro Ser.mo Carolo Emanuele Dei gratia duce Sabaudiae, pubblicato a Torino nel 1587 e largamente compensato dal duca, veniva a suffragare i progetti coltivati dal sovrano, con il matrimonio con Caterina di Spagna, circa l'acquisto del Monferrato.
Le Allegationes sono divise in due parti, la prima delle quali raccoglie dieci allegazioni che trattano in linea generale il problema della successione nel marchesato di Monferrato, la seconda esamina alcuni problemi particolari ed è a sua volta divisa in tre allegazioni. La particolare destinazione politica di questa raccolta di Allegationes del B. toglie naturalmente ad essa qualsiasi intento e valore scientifico; al di là della solida e unitaria intelaiatura concettuale, all'interno della quale vengono svolte le singole argomentazioni giuridiche, è difficile cogliere un qualche tratto di originalità interpretativa. L'opera del resto si riconduce per intero e passivamente ai moduli della tradizione giuridica italiana dei commentatori. Caratteristico è a questo proposito il ricorrente ossequio alla "glossa" ("cuius magna est auctoritas et caeteres antecellit, ut dicit Balbus in l. cum haereditas c. depositi, et propterea in varietate doctorum ab opinione glossae in iudicando, et consulendo recedere non debemus" p. 20 v), spesso, come si vede nel passo sopra citato, espresso attraverso l'autorevole giudizio di un commentatore. Atteggiamento quest'ultimo che mostra quanto il B. fosse legato alla prassi tradizionale di comprovare ogni affermazione concettuale con l'autorità di qualche "dottore" e che trova frequentemente, in quest'opera, esplicite formulazioni come nel passo in cui si richiama l'"auctoritas Balbi", e si afferma che "eius sententias sequi in iudicando honestum et tutum, ac irreprensibile esse et plures alii passim de ipso et eius auctoritate attestandum quod longum esset recensere" (p. 10 v).
Le Allegationes costituiscono un tentativo di aggiornare il contenuto dei precedenti "consilia" (tra gli altri ne scrissero F. Porporato, O. Cacherano e il Menocchio) nei quali si sostenevano le ragioni del duca Carlo III dinanzi alla commissione apposita, convocata da Carlo V, che nel 1536 aveva deciso per la devoluzione del feudo del Monferrato a favore dei Gonzaga. Il B. dedica parte dell'opera a confutare il dispositivo del giudizio emesso dalla commissione, ma il suo sforzo di aggiornamento va anche al di là di questo aspetto, cercando di dare a tutta la materia una nuova impostazione. Se si accostano queste Allegationes al Consilium già scritto dal Menocchio (Consilium pro Serenissimo Duce Sabaudiae in Causa Marchiae Montisferrati,in Consiliorum sive responsorum..., Francufurti 1594) che affrontava il problema da un punto di vista romanistico, negando la natura feudale della controversia e analizzando il problema successorio su base fide-commissoria, appare evidente il diverso orientamento dato dal B. che all'opposto afferma la natura "feudale" della controversia: "quod Marchionatus Montisferrati fuit, et est, feudum nobilum et antiquum Sacri Romani Imperi" (p. 40 r).
Questo punto di vista non costituisce tuttavia interamente una novità, rispetto ad altri degli scritti in occasione della controversia, che era stata "costretta a vacillare fra il diritto giustinianeo, il feudale, ed il contemporaneo" (P. Marchisio, L'arbitrato di Carlo V nella causa del Monferrato, in Atti d. R. Accademia Virgiliana di Mantova, Mantova 1929, p. 477); ma il B. mostra qui una capacità ricostruttiva autonoma rispetto alle precedenti trattazioni. Ponendo in primo piano un'argomentazione di carattere logico, secondo cui la successione di un feudo imperiale quale il marchesato di Monferrato va in primo luogo esaminata "iure feudi ex tenore investiturae et ipsius feudi natura", e solo in secondo luogo "iure etiam pactis et contentionis specialis", il B. capovolgeva la impostazione di quei "consilia" che avevano visto il punto centrale delle pretese dei duchi di Savoia nella clausola annessa al contratto di matrimonio fra Iolanda di Monferrato e Aimone di Savoia del 1330, in cui si prevedeva la devoluzione ai duchi di Savoia del marchesato qualora si fosse estinta la linea maschile dei Paleologo. L'argomentazione del B. poggia sull'affermazione che un feudo concesso secondo la formula "pro se, et haeredibus masculis et foeminis" soggiace al principio che "succedit filia filiis non extantibus" e più precisamente che "in successione talis feudi donec extat masculus descendes a primo investito, sive discendat per lineam masculinam, sive foemininam non vocatur foemina" (p. 9 r).
Il B. affrontava, in questi anni, anche problemi istituzionali col Tractatus de vicariatu perpetuo imperii ducis Sabaudiae (Torino, Bibl. reale, ms. Storia patria, 296, c. 129). Nel Responsum pro Ser.mo Carolo Emanuele ad tollendam quorundam dubitationem excitatam an scilicet ab ipsius ducis seu eius magistratuum sententiis liceat ad imperatorem appellare vel aliter recurrere, (s. l. né d.), riaffermando contro i tentativi di eversione la validità delle decisioni della magistratura piemontese, dava un contributo alla difesa dell'autonomia giuridica del nuovo Stato. Alla formazione di un ordinamento legale accentrato ed efficiente si richiamava l'opera del B. pure in materia amministrativa. Di data che non dovrebbe essere posteriore al 1590 è una sua lettera alla duchessa in cui appoggiava una proposta di perfezionamento della registrazione degli atti notarili dell'astigiano Zoia, che preludeva alla creazione dell'istituto dell'"Insinuazione".
La sua abilità in materia patrimoniale e fiscale veniva ricompensata, il 20 genn. 1589, con la donazione del feudo vercellese di Viancino, che un anno dopo il B. con una transazione renderà alla famiglia dei Bazano. La sua posizione doveva essere divenuta di qualche agio, se nel luglio 1590 egli prestava alla cassa ducale la somma di mille scudi, restituitagli successivamente con una maggiorazione di stipendio. La nomina di avvocato generale presso il Senato del Piemonte, con una retribuzione di duecento scudi e il diritto alla "libra cibaria et ordinaria", coronava agli inizi del 1592 la sua carriera. La carica (stabilita da Carlo Emanuele I, con la funzione specifica di "vegliare alla conservazione dei diritti della corona, alle leggi, al pubblico bene") gli consentiva d'intervenire nelle decisioni del Senato e in alcuni settori giudiziari al vertice dello Stato.
Si allargavano nel contempo le visuali e gli interessi giuridici del B., come testimonia un'opera analoga alle Allegationes, il De successione Regni Galliae tractatus. In quo, praeter alia plurima notabilia, signanter de eius regnì successionis natura, et succedendi consuetudine, deque legis Salica intellectu et ratione diseritur; et Baldi scripta de hac ipsa successione in titulo de feudo Marchiae enucleantur, Augustae Taurinorum 1593, in cui il B. interviene nella polemica sulla successione al trono di Francia da parte di Enrico di Navarra. Le finalità propriamente giuridiche di questa opera sono ancora più limitate che nelle precedenti Allegationes. In quelle infatti le argomentazioni erano vincolate dalle conclusioni di una controversia il cui contenuto, anche se concretamente politico, tuttavia si trovava ad essere formalmente impostato da un punto di vista giuridico e presupponeva comunque un atto giurisdizionale da parte di un'autorità superiore come l'imperatore; mentre l'argomento trattato nel De successione Regni Galliae giuridicamente si riduceva a un problema di legittimità costituzionale senza concreta possibilità di riferimento ad alcuna autorità precostituita. Incerte sembrano essere pure le conclusioni che il B. vuol dare a quest'opera perché, se da un lato egli conclude affermando che "Sabaudum in omnibus potiorem esse, consequenter illi deferendam successionem Regni Galliae", p. 157 v (la pretesa dei Savoia sarebbe risalita a Margherita di Francia, moglie di Emanuele Filiberto), lo scopo polemico più evidente è quello di negare, da un punto di vista cattolico, la legittimità dei titoli di successione di Enrico di Navarra ("ad belluin legale... adversus doctores Navarris sequaces"). Questo apparente dualismo si giustifica, nell'economia dell'opera, con l'intento di far emergere le pretese dei duchi di Savoia, senza troppa ostentata evidenza, dietro ad una più esplicita premessa rigidamente cattolica di avversione all'assunzione al trono di Enrico di Navarra. Appare difficile, anche per questa opera, dati i limiti che abbiamo illustrato, dare un giudizio sul suo valore giuridico, e ancor più valutare, sulla base di essa, qual sia stato l'influsso che, secondo quanto vuole la tradizione, A. Favre esercitò sul Bagnasacco. Quella utilizzazione di esperienze interpretative dei giuristi culti, composte con la tradizione italiana, che nel Savoiardo assunse un vero e proprio carattere di scelta metodologica, sembra, invece, nell'opera del B., non uscire dai limiti di un intelligente impasto di spunti diversi. La struttura dell'opera rimane sempre, come nelle Allegationes, impostata nei termini tradizionali, come si nota nei passi in cui il B. tratta dell'indipendenza del regno di Francia ("Regnum Galliae fuit, et est liberum, allodiale et francum, non obnoxium erga aliquem dominum ratione feudi, aut alia subiectione, vel servitute, cuius rex neminem propterea in temporalibus recognoscit superiorem, prout determinat Papa in c. per venerabilem"), in cui più che il riferimento alla legislazione canonistica, derivante dall'impostazione politica dell'opera, è significativa la ripetizione della formula giuridica "rex superiorem non recognoscens in regno suo est imperator". In altre parti il B. mostra di conoscere anche alcune posizioni della scienza giuridica francese come nella polemica sul valore delle regole successorie di origine consuetudinaria, a cui secondo alcuni giuristi non sembra potersi attribuire valore primario, "non simpliciter sola vi consuetudine", poiché la consuetudine "est ius non scriptum". E il B. replica che "etiam leges et constitutiones particulares regni Galliae dicuntur ius consuetudinarium ipsius regni" e non bisogna cadere nell'equivoco a cui può dar luogo la massima che "solum ius commune Romanorum dicitur ius scriptum" (p. 15vr). Ma questi spunti, anche se testimoniano, in quest'opera, una più ampia cultura e più ricchi interessi giuridici da parte del B., non bastano tuttavia a dare alla sua figura di giurista una impronta che la collochi in un quadro diverso e scientificamente più interessante di quello delle Allegationes.
Già abile negoziatore in materia feudale, il B. nel maggio del 1594 fu inviato a Roma, probabilmente al seguito del Martinengo, incaricato fra l'altro di sondare l'opinione del pontefice circa il riconoscimento dei diritti sabaudi su Saluzzo. Nell'esame di questa annosa vertenza, il consiglio del B. era di mantenere fermo il principio della legittimità dell'acquisto (chiedendo anzi un "giudizio peritorio"), in quanto l'occupazione del marchesato veniva da lui giudicata "iusta et lecita" e fondata su "boni et validi titoli". Nella primavera del 1598 era ancora una volta a Roma, con il Martinengo, per sollecitare l'adesione di Clemente VIII alla proposta sabauda perché fosse lasciato al pontefice l'arbitrato nella controversia di Saluzzo. Successivamente aderiva alla tesi, già avallata dal trattato di Burgoin, che si dovesse riconoscere al re di Francia il vincolo feudale per Saluzzo, ma, contro coloro che richiedevano da parte del duca una "recognitione di fedeltà subito", proponeva che ciò avvenisse non prima che una sentenza avesse "riconosciuto et giudicato delle rispettive ragioni". Era già presente, tuttavia, al B. la soluzione (poi adottata con il trattato di Lione) della cessione di alcune terre alla Francia in cambio di Saluzzo, anche se egli escludeva a priori un baratto con città piemontesi e suggeriva, piuttosto, l'opportunità di cedere alcuni territori periferici della Savoia. In questo senso, l'opinione del B. veniva a coincidere con quella di coloro che sollecitavano il duca a legare le fortune della sua casa più in direzione piemontese che savoiarda.
Il B. non vide tuttavia gli sviluppi di questa politica, venendo a morte nel 1601. In virtù dei servigi da lui resi al duca, il fratello Lorenzo fu nobilitato nel 1603. Le opere del B. trovarono ancora fortuna nel 1624, quando furono incluse ampiamente nei "consilia feudalia" dal cancelliere Osasco.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Lettere particolari, B, mazzo 2; Marchesato di Saluzzo, Cat. IV, mazzo X, n. 9 e mazzo XI, n. 13; Matrimonii, mazzo 20, n. 2; Sezioni Riunite, Patenti Piemonte, voll.14, c. 154; 16, c. 83 v.; 20, c. 157; 21, cc. 144, 145; Controllo,registri: 2 1587 in 1588, c. 104; 4 1589 in 1590, cc. 383, 384; 6 1591 in 1593, cc. 216, 277; 9 1595 in 1596, c. 145; 12 1597 in 1601, cc. 124, 191; 27 1603 in 1604, cc. 193, 194; 58 1594 in 1595, c. 132; A. Rossotto, Syllabus Scriptorum Pedemontii, Mondoví 1667, p. 61; G. B. Borelli, Editti..., Torino 1681, p. 1102; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 56; O. Derossi, Scrittori piemontesi savoiardi nizzardi, Torino 1790, p. 12; G. Galli Della Loggia, Cariche del Piemonte, Torino 1798, I, pp. 35, 427, 636; III, p. 230; G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, Torino 1820, II, pp. 76-78; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, Firenze 1865, III, p. 166; F. Duboin, Raccolta delle leggi..., Torino 1869, III, pp. 293, 295, 302, 304, 308, 356, 370, 384, 439, 441, 478-80; XII, p. 313; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, p. 379; A. Manno-V. Promis, Bibl. storica degli Stati della monarchia di Savoia, Torino 1884, I, nn. 418, 1427, 1428, 1571; IV, nn. 16.104, 18.321; V, nn. 20.024, 20.629, 20.630; A. Manno, Il patriziato subalpino,Firenze 19o6, II, A. B.,pp. 138, 209; C. Calcaterra, Il nostro imminente risorgimento, Torino 1935, pp. 217 s., 250; L. Marini, René De Lucinge Signor des Allymes. Le fortune savoiarde nello Stato Sabaudo e il trattato di Lione (1601), in Riv. stor. ital., LXVII (1955), pp. 353-354; M. Bersano Begey, Le cinquecentine piemontesi: Torino, Torino 1961, p. 64.