BARATTUCCIO, Antonio
Nacque a Teano, nel 1486, da famiglia che nell'ambito della città di origine aveva raggiunto la distinzione e il rango derivanti dall'esercizio delle professioni liberali. Il B. studiò a sua volta giurisprudenza e, laureatosi alquanto giovane, si diede ad esercitare l'avvocatura nel foro napoletano. Fu questa la via per cui riuscì a mettersi in così buona luce che a trentasette anni, nel 1523, fu chiamato a far parte dei giudici della Gran Corte della Vicaria, suprema magistratura criminale del Regno di Napoli. La carica era allora biennale ed il B. la ricoprì nuovamente nel 1532. Intanto svolse altre importanti attività, tra cui l'inchiesta sullo stato catastale del Molise e di alcune zone della Terra di Lavoro che il B. condusse per conto della commissione inquirente, su mandato di Carlo V, contro i feudatari che avevano parteggiato per la Francia durante l'invasione del Regno da parte dell'esercito del Lautrec nel 1528.
Tale incarico dovette segnare una svolta importante nella carrièra del Barattuccio. La conmùssione, presieduta dal vescovo di Burgos, Iñigo Lopez de Mendoza, e formata con il B. da Juan Sunyer, vicecancelliere della corona d'Aragona, e dal vescovo Martín Roman, rimase all'opera dal maggio 1530 fino al gennaio del 1531 e diede alla feudalità del Regno un colpo che, aggiungendosi a quelli già vibrati contro di essa dal viceré Filiberto d'Orange, ne stroncò definitivamente le velleità antimonarchiche e antiasburgiche. L'aver partecipato ai lavori di essa significava che il B. si metteva in luce tra quei funzionari e uomini di legge sui quali anche negli anni seguenti l'azione monarchica avrebbe fatto perno. E infatti, venuto nel Regno il viceré don Pedro de Toledo a completare, su scala peraltro assai maggiore, l'opera di restaurazione monarchica avviata dopo il fallimento dell'iinpresa del Lautrec, il B. diede prima una nuova prova della sua attitudine a servire il regime nei suoi nuovi sforzi, assolutistici, contribuendo per la sua parte a contenere, insieme col reggente della Vicaria, Uries, il moto popolare divampato allorché, dopo appena qualche mese di govemo, il Toledo impose nuove ed inaspettate gravezze; fu quindi nominato, allo scadere del suo secondo biennio presso la Gran Corte della Vicaria nel 1534, regio consigliere e quindi ancora, nel 1538, avvocato del Fisco.
Nella più alta carica di avvocato del Fisco il B. confermò le doti di intelletto e di operosità che lo avevano fino ad allora distinto e riuscì a guadagnarsi in tale misura la fiducia del potentissimo e non facile viceré che, quando nel 1543 il Toledo promosse, contro il luogotenente della Sommaria, l'illustre e dotto Bartolomeo Caìnerario, il famoso processo, fu proprio il B. ad essere incaricato di istruirlo, nonostante fosse nota la rivalità che opponeva i due alti funzionari e nella quale bisogna ravvisare certamente un altro indizio dell'importanza raggiunta dall'avvocato fiscale. Deux ex machina del processo rimane poi quest'ultimo anche quando nel 1546 il Camerario riuscì ad ottenerne da Carlo V la sostituzione per motivi di legittima suspicione; e come longa manus del Toledo fu lui ad ispirare sostanzialmente la grave sentenza del 14 marzo 1547 che condannava il Camerario al bando dai pubblici uffici, alla deportazione e al risarcimento dei danni provocati al pubblico erario.
La vicenda giudiziaria del Camerario e la parte avuta in essa dal B. non poterono che rafforzare considerevolmente la posizione dell'avvocato fiscale sia presso il viceré sia - soprattutto - nella società e nell'ammiffistrazione napoletane. Tanto più sorprende perciò che, durante i moti suscitati dal tentativo del viceré di introdurre nel Regno l'inquisizione a modo di Spagna, il B. si sia trovato tra coloro che osteggiarono il viceré e abbia dovuto subire per tale ragione un breve periodo di prigionia. Ma la sorpresa diventa minore se si pensa che in quell'occasione l'opposizione dei Napoletani al Toledo fu pressocché unanime e riuscì ad impedire la riforma del temuto tribunale nel senso voluto dal víceré. Questi andò, d'altronde, proprio a partire da allora, declinando nella sua fortuna. La disavventura del 1547 fu, dunque, per il B. non più di uno spiacevole incidente.
Dopo il 1547 la posizione e la reputazione del B. continuarono a consolidarsi contemporanei, con un giudizio destinato a ripetersi monotonamente negli scrittori posteriori, lo tennero in conto di uomo grave, dottissimo ed acuto. Leonardo Grazia (Leonardo da Pistoia) ne ritrasse l'immagine - in un quadro della Vergine col Bambino e s. Simeone - tra quelle di altri illustri personaggi napoletani. Il figlio della cugina, il futuro cardinale Santoro, gli dedicò nel 1553 un suo trattato a commento di un editto promulgato "contra banditi di regno". E, già lui vivo, erano diventate famose alcune glosse del B. alle consuetudini napoletane che furono poi raccolte, con quelle di altri autori, da Camillo Salerno e stampate per la prima volta nella Consuetudines Neapolitanae... a Napoli nel 1567.
Negli ultimi anni della sua vita il B., secondo ogni apparenza,. si andò sempre più accostando all'ambiente dei monaci olivetani di Napoli, nella cui, chiesa il figlio Fabio raccolse in una cappella di famiglia le spoglie sue e quelle della rispettiva moglie e madre, Beatrice Martina; e in questo accostamento è probabilmente da vedere la propensione per una partecipazione al moto controriformistico improntata a profonda pietà e ad una austera spiritualità, ma aliena da rigorismi ed estremismi.
Morì in Napoli il 9 maggio 1561.
Fonti e Bibl.: G. Santoro, Autobiografia..., a cura di G. Cugnoni, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, XII (1889), p. 332; N. Toppi, De originibus tribunalium urbis Neapolis, III, Neapoli 1655-56, p. 26; Napoli Sacra..., a cura di C. D'Engenio Caracciolo, Napoli 1624, pp. 508, 514; A. Castaldo, Istoria...,Napoli 1769, p. 71; L. Giustiniani, Memorie degli scrittori legali del Regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 99 s.; M. Broccoli, Teano Sidicino antico e moderno, II, Napoli 1821, pp. 232-36; B. Capasso, La Vicaria Vecchia,Napoli 1889, pp. 133, 171; N. Cortese, Feudi e feudatari, Napoli 1930, pp. XIX s., 102-114; C. De Frede, Il processo di Bartolomeo Camerario,in Studi in onore di R. Filangieri, II, Napoli 1959, pp. 335 ss., 343.