BARBARIGO, Antonio
Nobile veneziano, nacque da Gabriele e da Laura di Cosimo Pasqualigo. Il 14 ag. 1523 fu iscritto alla "balla d'oro" per l'ammissione al Maggior Consiglio, presentato da sua madre, la quale provò che egli aveva compiuto vent'anni. Nominato il 5 febbr. 1526 sopracomito, come lo era stato suo padre, nel luglio 1528 salpò da Venezia con la sua galera. L'anno seguente era nella squadra dell'Adriatico col capitano generale da Mar Girolamo Pesaro e partecipava alle operazioni militari in Puglia. Per aver contravvenuto a un ordine, il 14 genn. 1530, a Corfù, il Pesaro lo condannò, insieme con Lorenzo Sanuto, Girolamo Contarini ed altri comandanti di galera, a una pena pecuniaria, ma il 23 settembre la sentenza fu cassata dalla Quarantia criminale. Su questa decisione deve aver avuto un peso determinante la impresa della quale il B. fu protagonista il 30 agosto, mentre di conserva col Contarmi pattugliava le acque di Saseno. Con un arditissimo arrembaggio la sua galera riuscì a catturare una fusta turca di diciotto banchi, forte di quarantacinque uomini; il B. fece decapitare i superstiti e liberò gli ottanta schiavi cristiani che erano al remo. Restò ancora in quelle acque per attendere al varco la flottiglia del corsaro Zifut Zirai, e quindi rientrò a Venezia per il disarmo dell'unità che comandava.
Il 31 genn. 1532 e il 6 luglio 1533 fu scrutinato per la carica di capitano in Golfo, ma non venne eletto. L'8 ott. 1536 levò le ancore diretto ad Alessandria al comando delle galere grosse da mercato delle quali erano caratisti Zuan Andrea Badoer, Zuan Cappello e Antonio Contarini; giunse a destinazione il 10 marzo 1537, ma per la pestilenza che infestava la città le navi rimasero prudentemente isolate in porto per più di quattro mesi, fino a quando non giunse da Costantinopoli l'ordine di porle sotto sequestro. Cominciò allora per il B. e per i suoi uomini una lunga e dolorosa odissea: il 7 settembre erano stati imprigionati il console veneziano ad Alessandria Ermolao Barbaro e numerosi mercanti; il 12 il B. fu costretto a scendere a terra e a ordinare l'abbandono delle galere per salvare almeno gli equipaggi, i quali vennero tutti reclusi nel fondaco grande della città e successivamente mandati al Cairo in gruppi di cinquanta uomini. Le ciurme subirono una dura prigionia mentre il B., il console e gli ufficiali vennero messi ai ferri nella casa di un armirante e sottoposti a violenze d'ogni sorta. Ai primi dell'aprile 1538 molti uomini furono trasferiti a Suez; aggregati poi alla flotta di Sulaimán pascià che si recava in India alla conquista di Diu, presero parte al bombardamento della fortezza di Gugerat e alla ritirata verso Suez.
Queste notizie si ricavano dal diario di un anonimo comito (Viaggio et impresa che fece Soleyman Bassà del 1538 contra Portoghesi per racquistar la città di Diu in India), che fu edito per la prima volta a Venezia nel 1543 in una raccolta aldina, Viaggi fatti da Vinetia, alla Tana, in Persia, in India et in Costantinopoli, cc. 159-180, dedicata al B., ristampato in una seconda edizione del 1545 e quindi nel Ramusio, I, cc. 303 V-310 v (Viaggio scritto per un Comito Venetiano, che fu condutto prigione dalla città de Alessandria fino ad Diu nella India col suo ritorno poi al Cairo del 1538). L'ipotesi che ne sia autore lo stesso B., formulata recentemente, deve ritenersi priva di fondamento.
Il B., invece, insieme con Ermolao Barbaro, Leonardo Loredan, Marco e Paolo Morosini e altri nobili, fu ridotto in schiavitù ed imbarcato sulla flotta turca; il 10 nov. 1538 essi si trovavano a Valona, "ben veduti e trattati", sull'unità capitanata dal Barbarossa (Yhair ad-din); successivamente furono mandati a Costantinopoli. Il B. rimase in -cattività fino al 1541, quando ebbe licenza di tornare in patria. Risolta favorevolmente la vertenza con gli assicuratori, avendo ricuperato dal 68 al qo% del valore delle mercanzie perdute nel viaggio del 1536, abbandonò il mare e si diede alla vita pubblica.
Nel 1542 accettò l'ufficio di provveditore alle Rason Vecchie; nel 1545 fu nominato savio alle Decime e l'anno seguente rettore alla Canea. Fu senatore nel 1549 e quindi, nel 1553, bailo e provveditore generale a Corfù. Nel 1555 venne assegnato alla magistratura del Superiore davanti alla quale si appellavano le sentenze del sopragastaldo, e nel 1556 successe ad Antonio Erizzo nella carica di bailo a Costantinopoli, in un momento politico particolarmente difficile.
Mal si concilia la data del viaggio che per raggiungere la sede egli compì sulla galera di Francesco Contarìni, partendo da Venezia, dopo aver ricevuto dal Senato la "commissione" del 19 sett. 1556, con una relazione che si qualifica "di un nobile veneziano che andò in compagnia di Antonio Barbarigo" - probabilmente Nicolò Michiel - e descrive l'itinerario percorso - con partenza da Venezia il 6 giugno 1556, a bordo di una galera fino ad Alessio e quindi a cavallo per il Kosovo, Skoplje, Filippopoli, Adrianopohl Silivrea, fino a Pera. La relazione si conclude con alcune pagine dedicate alla vita e alle istituzioni turche.
Al ritorno in patria, dopo ventisei mesi di bailaggio, lesse in Senato nel 1558 una vivace ed acuta relazione che riguardava il sultano e l'organizzazione del suo impero, con un particolare accenno al giudizio che egli s'era fatto dei vari principi cristiani. Di questa relazione si conserva soltanto un sommario che tralascia completamente la parte riservata alla narrazione delle vicende dell'ambasceria.
Il B. fu poi eletto governatore alle Entrate e tenne questo ufficio fino al giorno della morte, il 4 nov. 1560. Fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Antonio.
Aveva contratto matrimonio nel luglio 1531 con una figlia di Daniele di Marin Moro, dalla quale aveva avuto tre figlie, Maria, moglie di Nicolò Foscarini, Laura, moglie di Gerolamo Malipiero, Lucrezia, morta nel tempo della sua schiavitù, ed un figlio, Gabriele, che non gli sopravvisse. Nel testamento fatto il 13 luglio 1556, in occasione della partenza per Costantinopoli, ricorda con particolare affetto il fratello Francesco, che in età avanzata aveva preso i voti col nome di Gregorio - nonché le sorelle suor Lena e suor Beatrice, del monastero di S. Giustina, e Luchese, sposa di un Donà.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, regg. 106, 165; Cons. Dieci Secr., 1538, 3 nov. e 13 genn.; Senato Mar, 1541, 10 maggio; Senato Secr.,1556, 9 sett.; Arch. Notarile, Testam., b.1206 (N. 90); Relazioni, b. 4; Venezia, Bibl. naz. Marciana, ms. Ital. XI, 67 (7351), pp. 90-111; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1894-1903, XL, col. 784; L, Coll. 344, 579; LI, coll. 36, 94, 390-393, 505-506; LII, coll. 123, 486; LIII, coll. 102, 552, 554-556, s58; LY, Coll. 368, 678; LVIII, col. 400; E. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti, s. 3- III, Firenze 1855, pp. 145-172; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, pp. 105 s.; Mostra dei Navigatori Veneti del Quattrocento e del Cinquecento, Catalogo, Venezia 1957, pp. 69-71.