BARILI (Barile), Antonio
Figlio di Neri d'Antonio di Bartolomeo da Lajatico, nacque in Siena il 12 ag. 1453. Svolse, parallelamente a quella di intagliatore in legno in cui eccelse, attività di architetto, collaborando assai giovane col conterraneo Francesco dì Giorgio Martini, che, già affermatosi, lo influenzò anche nelle opere di tarsia. Quale architetto il B. si occupò soprattutto di opere di fortificazione in terra di Siena e di opere di ripristino in fabbriche civili. Lo troviamo così, tra il 1485 e il 1487, impegnato in lavori prima per il ponte di Buonconvento travolto dalla piena dell'Ombrone, e quindi per quello di Macereto sulla Merse: qui appunto col Martini.
Nel 1495, e più tardi nel 1498, fu incaricato delle fortificazioni di Montepulciano investita dalle milizie fiorentine impegnate con fortuna nella guerra contro la Repubblica di Siena. Ancora in opere militari è occupato nei primissimi anni del sec. XVI, su preciso incarico di Pandolfo Petrucci, che volle una revisione delle fortificazioni esistenti nei domini di Siena, in particolare delle mura di Talamone.
La fama del B. quale intagliatore in legno e maestro di intarsi è affidata oggi - purtroppo - a poche opere, certe ma non integre, che di lui ci restano. Alfonso Landi nelle sue Memorie, riportate dal Della Valle, ci ha lasciato una minuziosa descrizione di tutte le opere d'arte del duomo di Siena: fra queste il coro ligneo della cappella di S. Giovanni Battista, allogato il 16 genn. 1483 da messer Alberto Aringhieri al Barili. Il documento impegnava l'artista a eseguire il lavoro "secundum modellum et designum factum" entro due anni. In realtà poi ne occorsero più di venti, poiché il pagamento finale dell'opera porta la data del 12 febbr. 1504.
La cappella di S. Giovanni Battista era ottagona e la spalliera del coro risultava composta di diciannove pannelli intarsiati con figurazioni sacre, arredi, libri, strumenti musicali, ecc., divisi fra loro da pilastrini con capitelli di finissimo intaglio, sormontato il tutto da architrave, fregio e cornice altrettanto finemente ornati. Di tutto questo complesso, che certamente fu il capolavoro del B., restano oggi soltanto otto specchi ad intarsio, sette dei quali si conservano nella collegiata di S. Quirico d'Orcia dove furono trasferiti nel 1749 per interessamento del marchese Flavio Chigi per evitare ulteriori danni a causa della "umidità, mancanza di ventilazione e lungo abbandono" che già il Landi, un secolo prima, aveva rilevato.
L'ottava tarsia si conserva nel Museo d'Arte e Industria di Vienna a cui pervenne nel 1869 dopo una lunga appartenenza alla collezione Bandini-Piccolomini di Siena. In questo pannello il B. ritrasse se stesso con gli strumenti del mestiere affermando: "Hoc ego Antonius Barilis opus caelo non penicillo exussi A. D. MDII", indicando con quel "caelo" (errato per "coelo" cioè scalpello), "non penicillo", il proprio compiacimento per aver eseguito con strumenti da intagliatore un'opera di riconosciuto valore pittorico. Tale valore, che sempre, fin dai contemporanei, gli è stato riconosciuto, è stato poi confermato dalla critica moderna, a cominciare dal Venturi, che riconobbe al B. "miniaturistiche finezze", fino al Carli (1950),che ha avvertito nelle tarsie di S. Quirico d'Orcia "un carattere estremamente pittorico".
Altre opere, ma di solo intaglio, ci restano del B.: una cantoria dell'organo sopra la porta della sacrestia del duomo di Siena, la residenza a destra dell'altar maggiore nello stesso duomo, undici pilastrini nella Pinacoteca senese, provenienti dal salone del palazzo di Pandolfo Petrucci, un cofano nel palazzo pubblico. Si ha altresi notizia di altri suoi lavori: i banchi per la libreria Piccolomini nel duomo di Siena, eseguiti su preciso incarico del cardinale Francesco; una ricca incorniciatura in legno per un dipinto di Raffaello da Firenze in S. Maria degli Angioli fuori della Porta Romana a Siena; gli ornamenti in legno che furono usati nel 1503 in Occasione dei festeggiamenti in onore del cardinale Piccolomini divenuto papa Pio III; e infine vari "ornamenti" non meglio definiti, per abitazioni di patrizi senesi, o per le chiese della sua città. Morì a Siena il 20 febbr. 1516.
Le opere d'intaglio che del B. ci sono pervenute indicano tutte un orientarsi del maestro verso forme ormai cinquecentesche, e contrastano con lo stile nettamente quattrocentesco delle tarsie di S. Quirico. Il divario è attribuibile soprattutto al periodo di tempo intercorso fra le prime e le ultime opere documentate, tanto più che probabilmente i disegni per le tarsie erano stati eseguiti antecedentemente all'allogazione delle tarsie stesse, prima quindi del 1483.
La lacuna avrebbe potuto essere colmata dal coro di Maggiano che il B. portò a termine (ma non sappiamo quando lo iniziasse) nel 1511, in collaborazione col nipote Giovanni. Ma di quest'opera, composta di ben ventisei pannelli a tarsia con le figure di Maria Vergine Assunta, di s. Cristoforo e di altri santi, altro non ci resta se non la notizia.
Tuttavia, anche così, il B. riinane, fra i numerosi "apparatori di chiese e palazzi senesi" che fecero contorno e seguito a Francesco di Giorgio Martini, uno fra i più dotati ed estrosi, vero "Pollaiolo senese" per la "vitalità inesausta delle forme" e l'"effervescente brio dell'invenzione" (A. Venturi, Storia dell'arte ... ).
GIOVANNI, nipote del B., fu anch'egli intagliatore e intarsiatore di buona fama. In un primo tempo lavorò a Siena collaborando con lo zio a molte opere, ma verso il 1514 lo troviamo a Roma, impegnato in diversi ed importanti lavori. Venuto infatti a contatto con Raffaello Sanzio ed apprezzato da questo, fu ben introdotto alla corte di papa Leone X che lo elesse "maestro ed operaio del modello di legname della nuova chiesa di San Pietro" affìdandogli, fra le altre cose, l'intaglio e l'intarsio delle porte delle Stanze di Raffaello, nonché la decorazione lignea degli infissi e dei soffitti delle medesime. Nello stesso tempo Giovanni eseguì anche l'intaglio di una cornice - andata poi perduta - entro cui fu esposta, dopo la morte del pittore, la Trasfigurazione di Raffello nel tempio di S. Pietro in Montorio (1522).
Mancano altre notizie su Giovanni, ma sembra che, tornato a Siena dopo la scomparsa di Raffaello, egli vi morisse nell'anno 1529 circa.
Fonti e Bibl.: G. Della Valle, Lettere sanesi, III, Roma 1786, pp. 323-330; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, II, Siena 1854, p. 399; III, ibid. 1856, pp. 3 e 42, 147 (per Giovanni); Id., Sulla storia dell'arte toscana, Siena 1873, pp. 69, 160. 176 (per Giovanni pp. 69, 70, 160, 176); G. Vasari, Le Vite..., a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, p. 518; IV, ibid. 1879, p. 400 (per Giov. pp. 363, 372, 409); V, ibid. 1880, p. 571 (per Giov.); S. Borghesi-L. Banchi, Nuovi doc. senesi, Siena 1898, pp. 342, 385, 407; C. Ricci, La mostra d'arte antica senese, Siena 1904, pp. 65, 159; A. Venturi, La scultura senese nel Trecento, in L'arte, VII (1904), p. 209; A. Verdiani Bandi. Opere d'arte nella chiesa collegiata di San Quirico d'Orcia, in Arte e storia, XXIII (1904), p. 128; A. Schestag, Das k. k. Esterreichische Museum für Kunst und Industrie, Wien 1914, tav. 125; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VIII, 1, Milano 1923, p. 903; E. Carli, Le tarsie di San Quirico d'Orcia, in La critica d'arte, VIII (1950), p. 473; Id., La scultura lignea senese, Milano-Firenze 1951, pp. 93, 114 (anche per Giovanni); U. Thieme-F. Becker, KünstlerLexikon, Il,pp. 497 s. e 499 (per Giovanni); Enciclopedia Italiana, VI, pp.186 s.