Beccari, Antonio (Antonio da Ferrara)
, Rimatore (1315-1370 c.). Mutevole per indole e aperto a tutte le suggestioni provenienti dal mondo circostante, non si sottrasse all'influsso della poesia di D. e al fascino fin d'allora leggendario di quel personaggio. Quasi inevitabilmente, anzi, il più giovane rimatore dovette assorbire dal grande poeta le convinzioni morali e politiche, raccogliendone e riflettendone variamente, nel breve e pur mobilissimo canzoniere, con la fede religiosa, lo spirito polemico.
Note dantesche riecheggiano più sensibili nelle rime politiche del Ferrarese, quali, ad esempio, la ballata O sacro imperio santo, in cui l'Italia perora la propria causa dinanzi all'imperatore Carlo IV per indurlo a discendere a Roma; o la canzone Longo silenzio ho posto al becco santo, dove l'aquila imperiale si fa interprete degli spiriti ghibellini di Antonio. L'uno e l'altro componimento non nascondono movenze, fantasie e allegorie, suggerite rispettivamente dal VI del Purgatorio e dal VI del Paradiso. Il nome stesso di D. compare in apertura di due invettive: Se a lezzer Dante mai caso m'accaggia, contro il deludente Carlo IV, e Se Dante pon che giustizia divina, destinata a bollare di tradimento Azzo da Correggio. La citazione dei vv. 97, 98 e 100 del VI del Purgatorio nell'una, e il preciso riferimento alle zone di Cocito nell'altra ci svelano la familiarità del B. col testo della Commedia, visibile anche nella sua capacità di assimilare certe metafore e anafore, nel suo modo di adoperare la terzina, nella bravura con cui sa vincere le imposizioni della rima.
La sua imitazione dantesca d'altronde non può considerarsi come un atto puramente spontaneo e irriflesso, perché è insieme un'operazione voluta e consapevole, ove si guardi alla curiosa e fino a oggi sconosciuta testimonianza di un sonetto in cui il B., facendosi interprete entusiastico dei principi di un " soddilizio " del quale fa parte, insieme forse con Menghino Mezzani, Lancillotto Anguissola, Fazio degli Uberti e altri, manifesta il fermo proposito di seguire nella volgar poesia " il padre Dante, senza vizio ". E fu forse questa la nostra prima accademia (più che scuola) di poesia.
L'ammirazione infine diede luogo al culto; e l'autore della Commedia poté così senza scapito essere paragonato a Dio stesso, se sono valide le ragioni che nella novella CXXI del Sacchetti, che forse non è frutto di pura immaginazione, Maestro Antonio sostiene di fronte all'Inquisizione, nel difendersi dall'accusa di eresia per aver spostato al sepolcro di D. le candele accese davanti al Crocefisso: che " non è gran cosa, che Colui che vede il tutto, dimostri nelle scritture parte del tutto "; mentre " gran cosa è, che un uomo minimo come Dante... ha veduto il tutto e ha scritto il tutto ".
Così come, a nostro avviso, dietro la didascalia che in numerosi codici e stampe assegna arbitrariamente a D. il capitolo del B. Io scrissi già d'amor più volte rime (più noto come il Credo di Dante, v.), si cela un altro riflesso dell'amore del B. per il suo ideale modello: il modesto rimatore vi enuncia come per bocca del grande poeta le verità della fede cristiana, sostituendosi a lui con una delle sue solite drammatizzate immedesimazioni.
Bibl. - E. Levi, Tre frottole di m. A. da F., in " Arch. stor. lombardo " XXXVI (1909) 473-491; Id., Il canzoniere di m. A. da F., in " Arch. stor. italiano " LXXV (1917) 93-128; Id., M.A. da F. rimatore del sec. XIV, Roma 1920; M. Marti, A. da F., in Dizion. biogr. degli Ital. VIII (1965). Sull'attribuzione del Credo a D., cfr. L. Allacci, Poeti antichi raccolti da codici mss..., Napoli 1661, 2; G. Carducci, Della varia fortuna di D., in Opere, X, Bologna 1936, 347-351; E. Lamma, Studi sul Canzoniere di D., in " Il Propugnatore " XIX 1 (1886) 184-199; E. Vajna De Pava, Di un codice della collezione Olschki..., in " La Bibliofilia " VIII (1906-1907) 8, 16-17; G. Volpi, Il Trecento, Milano 1907, 434-435.