BIFANI, Antonio (Antonino)
Nacque a Torraca (Salerno) il 1° sett., 1879 da Achille, medico ed autore di varie raccolte di poesie, racconti e memorie scientifiche, e da Elvira Cammarota, morta ventiquattrenne dopo aver messo al mondo quattro figli. Conseguita la licenza liceale, rifiutò di proseguire gli studi universitari, come era nei voti paterni, preferendo impegnarsi, nel capoluogo campano, nell'attività politica e giornalistica. Per tutto il primo decennio del secolo sostenne le ragioni del socialismo su fogli locali ed in comizi ed assemblee; difese "la violenza dell'azione diretta delle masse lavoratrici" (Sorgiamo!, 17 maggio 1908), condannò le borghesi "pastoie patriottiche e patriottarde" e ritenne prioritaria la lotta contro "il clero e la classe dominante di governo" (Energia!, 16 nov. 1905). Col passar degli anni, l'anticlericalismo divenne il tema predominante della sua polemica moralizzatrice.
Nel 1914, in occasione del rinnovo del Consiglio comunale di Napoli, in polemica col socialismo marxista, difese la massoneria per l'opera di "affratellamento di tutte le forze democratiche", tesa a sconfiggere "l'ignavia clericale" e a promuovere un movimento "di epurazione, di rinnovazione e di rinascenzas (L'Araldo, 15 marzo 1914). In quegli anni iniziò a collaborare con i maggiori quotidiani della città, Il Mattino ed il Roma. Dall'originario antimilitarismo e anarcosindacalismo si era spostato, come molta gioventù ribelle di quegli anni, su posizioni nazionalistiche e interventiste.
Nel maggio 1915 parti volontario per il fronte. "Assunse, da capitano, il comando interinale del reggimento" nella conquista della Bainsizza, abbandonata nella disfatta di Caporetto (Corriere italiano, 28 marzo 1924). Fu fatto prigioniero e condotto in Austria, dove pubblicò un giornaletto patriottico, La Zanzara. Tornato a Napoli, con due croci di guerra e un encomio solenne, riprese l'attività giornalistica come capocronista del Giorno, il quotidiano della Serao, e si iscrisse nel novembre 1920al locale fascio di combattimento.
Sin dall'inizio si occupò quasi esclusivamente dell'organizzazione sindacale, trovandosi al centro delle tumultuose vicende dei primo fascismo campano, segnato dal cosiddetto intransigentismo padovaniano che proclamava di volersi opporre al predominante clientelismo e trasformismo della vecchia classe dirigente liberale, ma che in realtà servì a coprire "una banda di avventurieri senza scrupoli e senza principii, unicarpente aspiranti ad un posto al sole" (Fatica, p. 388). Anch'egli fu fedele seguace del Padovani che ancora nel 1923 difese "dalle mene di pochi subdoli farisei" che, a suo dire, lo avevano allontanato dal "Fascismo ufficiale" (Il Mezzogiorno, 14-15 luglio 1923), sino al punto da rassegnare le dimissioni da ogni carica, ritirate ben presto in ossequio alle superiori esigenze dei regime.
Del ras campano condivise la mistificazione che "il fascismo nel Mezzogiorno non avesse da esplicare un compito di epurazione bolscevica, ma opera di rigenerazione morale e di selezione degli uomini che lo rappresentavano" (ibid., 12-13 marzo 1924). Nei fatti, pur rifuggendo dallo squadrismo più esasperato, si trovò circondato dai gregari della violenza antiproletaria e padronale, sicché i trecento iscritti affidafigli dal vecchio fascio finirono con l'essere utilizzati in una selvaggia azione di crumiraggio tra gli operai, in particolare, agli inizi, tra quelli del porto.Come capo, per più di un quindicennio, dei sindacati fascisti della Campania - rafforzati dopo la marcia su Roma dall'adesione sostanzialmente artificiosa di alcune decine di migliaia di tesserati - si sforzò di imporre un inquadramento disciplinato e gerarchico ai lavoratori, convinto che la "garanzia del loro pane" fosse subordinata alla "rinascita della vita economica" nazionale. "Ai lavoratori, perciò - dichiarava nel 1923 -, abbiano tolto tutte le anni che avevano in pugno per l'offesa e la difesa, primissima fra queste quella dello sciopero" (Il Mezzogiorno, 14-15 luglio 1923). Ciò non bastò a far trionfare il principio della collaborazione di classe mirante, secondo le sue aspettative, alla difesa degli interessi aziendali ma, subordinatamente, anche a quelli operai; in più occasioni i suoi stessi organizzati rinnegarono i concordati da lui sottoscritti e gli industriali operarono "licenziamenti arbitrari degli operai ed in ispecie di quelli iscritti ai sindacati fascisti" (ibid.). Ne investì inutilmente il direttorio nazionale delle Corporazioni, richiedendo per i sindacati un maggiore riconoscimento politico da parte dei Partito nazionale fascista, ma questo gli impose addirittura decisioni ancor più favorèvoli al punto di vista padronale. Ubbidi disciplinatamente meritando, alle elezioni politiche del 1924, l'amara consolazione det la candidatura, risultando l'undicesimo eletto per la Campania con 30.083 voti; si illuse di andare a sedere all'estrema sinistra del fascismo con la pattuglia dei sindacalisti capitanati dal Rossoni.
Nel maggio 1925 chiese ed ottenne dal Rossoni un lungo periodo di licenza; era stato logorato per mesi da una violenta e pubblica polemica nel corso della quale venne accusato di acquiescenza alla volontà del padronato. e di copertura di soprusi ai danni dei lavoratori proprio dai suoi ex subalterni padovaniani, che da intimidazioni e sopraffazioni erano stati personalmente avvantaggiati.
L'anno stesso si interessò della massiccia disoccupazione dei trentacinquemila operai occupati per appena dieci giorni al mese nelle quattrocentocinquanta fabbriche dell'industria napoletana delle pelli, in crisi per mancanza di materie prime, data la "completa incetta, da parte di nazioni straniere, delle pelli grezze" di agnello (intervento parlamentare del 27 maggio 1925). Nel 1926 fu inviato come commissario a sanare i gravi contrasti interni dei fascio di Salerno, ma i suoi metodi di intransigenza e di selezione non riuscirono a comporre i dissidi.Nel corso dello stesso anno venne inviato a dirigere i sindacati dell'industria di Roma e, contemporaneamente, per alcuni anni, fu commissario di quelli di Rieti e di Viterbo.
Iniziò così il periodo più grigio della sua attività politica e sindacale. Nel dicembre 1933, ancora a Roma in qualità di segretario dell'Unione provinciale dei sindacati fascisti dell'industria, venne destituito dall'incarico al fine di "insediare camerati particolarmente adatti ad assolvere le nuove funzioni di riordinamento in senso corporativo e di potenziamento sindacale dell'organizzazione" (Il Lavoro fascista, 7 genn. 1934).
Dopo alcuni mesi fu trasferito a Venezia per ricoprirvi la stessa carica, fino al 1940, pur venendo nominato nel 1935 ispettore della Confederazione nazionale lavoratori dell'industria e divenendo, in rappresentanza dei prestatori d'opera, membro del Consiglio nazionale delle Corporazioni, di quella dell'abbigliamento dal 1934 al 1939 e, in seguito di quella dell'acqua, luce ed elettricità.
Le effettive possibilità decisionali col passare degli anni diminuivano sempre più. L'attività parlamentare (era stato rieletto alla Camera per la XXVIII e la XXIX legislatura) fu di scarso rilievo; tolta qualche interrogazione o relazione poco significative, si limitò alla firma di commissario di alcuni disegni di legge. Estraneo a gruppi politici o economici organizzati, non poté farsi valere maggiormente neppure nei sindacati, ormai inseriti giuridicamente nello Stato. Significativa al riguardo una lettera al Rossoni del novembre 1932 relativa alla vertenza dei lavoratori del giornale Tevere, da mesi senza stipendio né garanzia per l'avvenire: "La questione che ti prospetto esce fuori dall'ambito strettamente sindacale, per entrare in quello più vasto di ripercussione morale. A me non è dato, per ragioni facili a comprendersi, indicare vie o fare indirette pressioni" (Arch. centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri).
L'obbedienza alle direttive del partito gli valse, pochi mesi prima del crollo del regime (6 febbr. 1943), la nomina a senatore con giuramento nel Comitato segreto del 29 aprile. La caduta dei fascismo segnò la fine della sua attività politica e sindacale. Costretto a letto da una grave e lunga malattia, non gli restò che seguire con puntualità la rivista Vita del lavoro nella quale ritrovava, scriveva, "la mia anima e i miei sentimenti di vecchio sindacalista" (Vita del lavoro, 20 apr. 1947).
Morì in povertà a Roma il 22 febbr. 1948.
Collaborò con articoli, interviste e corrispondenze di carattere politico e sindacale a varie testate: Energia! (periodico dei giovani socialisti antimilitaristi napoletani, 1905-1906). Sorgiamo! (periodico socialista di Portici: 1908), L'Araldo. Corriere delle provincie meridionali (redatto dal B. nel 1913-1914), Il Corriere di Catania (sul quale pubblicò in appendice "un romanzo passionale a base sociale"), Il Mattino, Roma, Il Giorno, Il Solco (quindicinale di propaganda agricola, diretto dal B. nel 1920), Il Popolo d'Italia, Il Mezzogiorno.
Fonti e Bibl.: Arch. del Comune di Torraca, Atti di nascita, a. 1879, n. 33; Arch. di Stato di Salerno, Gabinetto Prefettura, b. 227, fasc. Cambiamento data tessera; b.98, fasc. Antonio Bifani; Roma, Arch. centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, b. 1529, fasc. 2-3.617367; ibid., Ministero dell'Int., Dir. gen. P. S., Polizia politica, b. 139, fasc. 9628; Atti parlamentari, Camera, legislature XXVII-XXIX, ad Indices; Id., Senato, XXX legislatura, ad Indicem; A. Bifani, Varia, Napoli 1895, pp. XIII, XIX; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 49; Il sindacalismo fascista ed il problema meridionale, in Il Mezzogiorno, 14-15 luglio 1923; Come i lavoratori hanno accolto la lista nazionale, ibid., 12-13 marzo 1924; I nostri candidati: A. B., in La Riscossa fascista (Salerno), 27 marzo 1924; A. B., in Corriere italiano, 28 marzo 1924; sulla "polemica sindacale" si vedano i quotidiani Il Mattino, Roma e Il Mezzogiorno del luglio-agosto 1924, passim, e per il processo Il Mondo-Il Mattino-Il Mezzogiorno, gli stessi quotidiani, luglio-agosto 1925, passim; Movimento di dirigenti nazionali, in Il Lavoro fascista, 7 genn. 1934; E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, p. 375; Appello per i funerali dei sen. B., in Il Tempo, 24 febbr. 1948; A. B., in L'Eco del popolo (Salerno), 26 febbr. 1948; Chi è?, Roma 1948, p. 108; R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, ad Indicem; F. Cordova, Le origini dei sindacatifascisti, Bari 1974, pp. 274, 328, 401; M. Fatica, Appunti per una storia di Napoli nell'età del fascismo, in Rivista di storia contemporanea, II I (1976), pp. 386-420: passim.