BIVONA BERNARDI, Antonio
Nacque a Messina il 24 ott. 1778 da Andrea Bernardi e da Maddalena Chiocciola, romani. Perduti ancor piccolo i genitori, fu adottato dal barone Antonino Bivona di cui prese il nome. Condotto dal padre adottivo a Palermo, fece i primi studi presso il collegio delle Scuole Pie; fu quindi avviato allo studio della giurisprudenza, ma, quasi al termine del corso per la laurea, passò allo studio delle scienze naturali per le quali si sentiva più versato. Cominciò a frequentare allora le lezioni di G. Tineo professore all'Orto botanico di Palermo e del suo assistente Bartolotta. Recatosi a Napoli per motivi familiari, ebbe occasione di fare nuove esperienze di studio, essendosi legato in amicizia con i professori V. Petagna e M. Tenore, rinomati botanici nella città partenopea. Viaggiò quindi per l'Italia, facendo nuove conoscenze e stringendo nuovi rapporti di amicizia con altri rinomati studiosi. A Pavia, dove più a lungo dimorò, ascoltò le lezioni di A. Volta. Richiamato per una grave malattia del padre, fece ritorno a Palermo verso la metà del 1806, portando con sé una numerosa raccolta di piante, molte opere scientifiche nonché alcune macchine di fisica inventate dal Volta ed ancora ignote nell'isola, fra cui l'elettroforo, l'elettrometro e il condensatore, da lui poi cedute all'università. Venutagli meno per la morte del padre la fortuna economica, non lasciò più la Sicilia. Ma, nutrito ormai di profondi studi, si mise a percorrere i dintorni di Palermo per studiame la flora. Sul finire di quell'anno pubblicò una prima raccolta di piante sicule.
Lo studio delle piante aveva avuto in Sicilia avvassionati cultori, fra cui Paolo Boccone, e in ultimo soprattutto il Tineo, che aveva dato notevole incremento all'Orto botanico di Palermo. Ma è riconosciuto al B. il merito di avere applicato in modo organico il sistema del Linneo con cui era suo proposito illustrare tutta la flora di Sicilia.
Recatosi nel 1807 a Catania, ricercò e studiò nuove piante sull'Etna; passò quindi a Messina. Di ritorno a Palermo sul finire di quell'anno, vi pubblicò una seconda raccolta di piante. In seguito all'arrivo in Sicilia del botanico americano Raphinesque Schmaltz, abbandonò l'antico proposito e limitò la sua illustrazione, per evitare di essere preceduto, ad alcune nuove specie di piante fanerogame e crittogame. Rivolse inoltre la sua attenzione alle piante marine, facendo notevoli scoperte riguardanti le alghe che fece conoscere in successive pubblicazioni.
Per la rinomanza di cui già godeva, aveva ricevuto l'incarico della direzione o formazione di giardini e dell'amministrazione dei fondi rurali di nobili e maggiorenti; ciò che gli diede modo di approfondire anche le sue cognizioni agrarie. Di queste diede saggio in articoli pubblicati, con lode del Palmieri, nell'Iride, periodico da lui fondato nel 1822, di cui intendeva appunto fare un organo di divulgazione della cultura nonché l'incontro per una "spassionata critica" tra i cultori anche lontani della medesima scienza (I [1822], 1, p. 3), ma che durò appena un anno per mancanza di associazioni.
Nel 1820 era stato nominato dal governo ispettore generale di Acque e Foreste in Sicilia, e questo gli offrì l'occasione per approfondire le sue conoscenze di mineralogia e di geologia.
La sua maggiore scoperta di quegli anni fu il ritrovamento nella grotta di Maredolce e al monte Billieni vicino Palermo di ossa fossili, appartenenti a grossi mammiferi quaternari, anteriori al paleolitico superiore, ch'egli studiò dal punto di vista geologico e zoologico. Altre scoperte e altri studi fece sui crostacei, sui polipi e sui molluschi dei quali ultimi, in particolare, descrisse molte nuove specie: né trascurò l'entomologia, pubblicando nell'Almanacco enciclopedico dell'anno 1834 una lunga descrizione di una nuova specie di cavallette che, proprio in quell'anno, avevano infestato i territori di Piazza Armerina, Caltanissetta e Caltagirone.
Per la carica che copriva influì notevolmente sulla regolamentazione del nuovo servizio forestale e sulla legislazione riguardante l'economia dei boschi. Nel 1831 fu nominato direttore della classe di economia rurale presso l'Istituto d'incoraggiamento fondato in quell'anno a Palermo. Fu inoltre socio di varie accademie. Il De Candolle gli dedicò un genere di Crocifere: il genere Bivonaea.
Durante l'epidemia colerica del 1837 il B. si trasferì con la famiglia (poco dopo la morte del padre adottivo aveva sposato Caterina Pellegrino da cui aveva avuto otto figli) ai Porrazzi fuori Palermo. Colpito dal contagio, morì il 7 luglio di quell'anno.
Opere: Sicularum plantarum centuria prima, Panormi 1806; Sicularum plantarum centuria secunda, ibid. 1807; Stirpium rariorum, minusque cognitarum in Sicilia sponte provenientium descriptiones, nonnullis iconibus auctae manipulus I, ibid. 1813; Stirpium rariorum... manipulus II, ibid. 1814; Stirpium rariorum ...manipulus III, ibid. 1815; Stirpium rariorum ... manipulus IV, ibid. 1816; Cenni sullo stato attuale dell'agricoltura e pastorizia in Sicilia, in L'Iride, I (1822), 1, pp. 3-33; Istruzione sulla coltivazione e sugli usi delle patate o sia pomi di terra, ibid., pp. 134-49; Descrizione d'un nuovo genere di alghe marine, ibid., pp. 232-34; Prima raccolta di note alla memoria del prof. Ferrara dal titolo "La natura, le sue leggi e le sue opere o Introduzione alle scienze naturali", Napoli 1830; Breve relazione sugli ossi fossili trovati non ha guari vicino Palermo, in La Cerere, Palermo, 1º e 15 aprile, 3 maggio 1830.
Fonti e Bibl.: Palermo, Bibl. Com., mss.QqF-155: Lettere di diversi letterati e botanici d'Europa dirette ad A. B.; F. Parlatore, Breve cenno sulla vita e sulle opere del barone A. B., Palermo 1837; Franco Maccagnone, principe di Granatelli, A. B., in Biografie e ritratti d'illustri siciliani morti nel colera l'anno 1837, Palermo 1838, pp. 53-67; A. Bivona, Elogio storico del barone A. B. Bernardi scritto dal figlio, Palermo 1840 (con in app. alcune lettere di diversi botanici indirizzate al B.); G. M. Mira, Bibl. siciliana, I, Palermo 1875, p. 105; G. Maiorana, Gli economisti siciliani, in La Riforma sociale, VII (1900), p. 50.