BLADO, Antonio
Nacque nel 1490 ad Asola (Mantova) da Gerardo.
Dall'appellativo Platina (o Platyna), che si legge in poche sottoscrizioni di sue edizioni, il Fumagalli arguì la probabile origine o nascita del B. a Piadena, borgo poco distante da Asola; ma asolano egli si dichiara sempre, e "di Asola" appare nel contratto per l'edizione del Breviario riformato dal cardinal Quiñones. Diversamente ha spiegato l'appellativo il Campana, dimostrando la parentela dell'editore con l'umanista Bartolomeo Sacchi detto il Platina.
Oriundo di una città che aveva dato a Venezia alcuni rinomati editori-tipografi (Andrea Torresano, suocero di Aldo Manuzio, e i Ragazzoni), il B. scelse come sede della sua attività Roma, dove nel primo Cinquecento convenivano dal Veneto e dalla Lombardia numerosi stampatori a prendere il posto di quelli tedeschi, che vi avevano esercitato il predominio nel secolo precedente.
Le prime due edizioni del B. sono del novembre 1516 (Mirabilia urbis Romae e Decalogus de sancto Paulo primo heremita di Paolo Tebano). Né da esse né dalle altre non numerose che seguirono fino al 1530 è dato ricavare notizie di qualche consistenza sul loro editore-tipografo. Sappiamo soltanto che nel 1534 la sua stamperia era sita "in Campo Florae in aedibus D. Io. Baptistae de Maximis", forse la stessa che aveva ospitato nel secolo precedente i due prototipografi C. Sweinheim e A. Pannartz; ivi l'officina degli eredi Blado si trovava ancora nel 1572, come attesta un inventario di beni di Orazio Massimo.
Le proporzioni modeste dell'officina nel primo quindicennio di attività sono documentate non solo dalla scarsa produzione che ne conosciamo, ma anche da un censimento, pubblicato da D. Gnoli: in qualsiasi dei tre stampatori o librai residenti nel rione Parione (due "Antonio libraro" e un "Antonio estampator") si voglia identificare il B., le "bocche", ossia gli operai a suo carico, erano in un caso quattro, negli altri appena due. In altro documento, non datato ma certamente posteriore, i lavoranti, compreso il B., erano sei. Un'edizione del 1531, il De sacrificio missae del cardinal de Vio, ha la sottoscrizione "per Gerardum Bladum", che non si trova più altrove: non è possibile stabilire se si tratti del vecchio padre di Antonio ovvero di un quinto figlio di costui, premortogli.
L'attività e lo sviluppo della stamperia crebbero dopo che il B. fu nominato tipografo camerale. Stando alle sottoscrizioni dove figura tale qualifica, ciò avvenne nel 1535, benché già da un quinquennio egli riscuotesse pagamenti dalla Camera apostolica in base ai lavori eseguiti, non diversamente dai precedenti tipografi Marcello Silber e Francesco Calvo. Di quest'ultimo, che si sottoscriveva nel 1528 "impressore apostolico" e lasciò Roma probabilmente nel 1534, il B. può essere considerato il successore; l'ipotesi è avvalorata dal fatto che i caratteri del Calvo ricorrono in alcune stampe bladiane immediatamente posteriori al 1535. Nel 1539 il B. cominciò a percepire uno stipendio di 4 ducati d'oro al mese. L'incarico di tipografo camerale fu mantenuto dal B. fino alla morte e trasferito poi agli eredi.
A far ottenere al B. la privativa delle pubblicazioni camerali fu il cardinale Guido Ascanio Sforza; mentre per i buoni uffici del chierico della Camera apostolica Giovanni Gaddi era stato rilasciato al tipografo, in data 23 ag. 1531, il privilegio decennale di Clemente VII per l'edizione delle opere del Machiavelli, ottenuto senza il consenso degli eredi dello scrittore. Ciò indusse lo stesso pontefice a concederne a breve distanza (20 dic. 1531) altro analogo a Bernardo Giunta di Firenze, il quale, munito di tale consenso, aveva già intrapreso la stampa delle medesime opere (i Discorsi,Il Principe e le Historie), indipendentemente da quella del B., sicché entrambe le edizioni uscirono a brevissimo intervallo di tempo. Altro privilegio pontificio ottenne nel 1536 il B., insieme con Benedetto Giunta e con Antonio Salamanca associatisi ai Giunta di Venezia, per l'edizione riveduta del Breviario riformato del cardinal Quiñones, che il B., da solo, aveva pubblicato l'anno precedente.
Più importante, sebbene attuata solo in piccola parte, fu l'iniziativa di pubblicare testi greci, classici e patristici, che il cardinale Marcello Cervini affidò al B. e al grecista Nicolò Majorano.
Il programma, concepito dal Cervini nel 1539 insieme col cardinale Alessandro Farnese, concerneva l'edizione d'importanti manoscritti greci della Biblioteca Vaticana. Allo scopo di fornirsi di tipi e di aver consigli, il B. si recò nello stesso anno a Venezia presso Paolo Manuzio. Secondo una testimonianza di Donato Giannotti del dicembre 1540, l'impresa editoriale del Cervini riguardava anche "gli autori più reconditi: seguiteranno poi i philosophi, gli oratori e poeti. Et finalmente stamperanno libri latini che sarà bella cosa". La stampa di questi ultimi sembra fosse affidata a Francesco Priscianese, il quale ne pubblicò infatti alcuni, finché dové rinunciarvi per malattia; ma il privilegio, della durata di un anno, rilasciato il 15 dic. 1542 da Paolo III al B., parla, oltreché di libri greci, anche di latini e italiani.
Nel 1542 uscirono dall'officina bladiana il commento greco di Teofilatto arcivescovo di Bulgaria ai Vangeli, per cura di Francesco Torres, e il primo volume del commento greco di Eustazio all'Iliade, curato dal Majorano.
Ma la prosecuzione dell'iniziativa, in particolare dell'Eustazio, fu ostacolata probabilmente dal suo alto costo, dovuto, secondo il Ridolfi, ai grandi caratteri, ai larghi margini e alla eccessiva tiratura. Risulta peraltro da un documento del 28 nov. 1543 che il tipografo veneziano, dimorante a Roma, Stefano Nicolini da Sabbio, esperto di greco, collaborava all'impresa Blado-Giunta; da altro documento del 7 apr. 1551 si apprende che anche l'umanista greco Nicolò Sofianos cooperò a essa in qualità di "stampatore" del primo volume dell'Eustazio. Si cercò di porre rimedio alle difficoltà sopravvenute con un accordo, stipulato il 20 febbr. 1545 tra il Cervini, il Majorano, Benedetto Giunta e il B.; i caratteri di stampa, di misura più piccola, furono creati dallo scrittore di greco della Biblioteca Vaticana Giovanni Onorio Magliese. Ulteriori difficoltà finanziarie, probabilmente del Giunta, ritardarono fino al 1546 la pubblicazione del secondo volume; il terzo uscì tre anni dopo e il quarto, contenente i ricchissimi indici di Matteo Devaris, nel 1550 con i privilegi di Giulio III, Carlo V ed Enrico II.Altri classici e padri greci (Demostene, Euripide, Apollodoro, Euclide, Teodoreto, s. Gregorio Nazianzeno) pubblicò il B. per conto suo, curati da vari filologi, negli anni 1541-45 e nel 1555. Una, o forse due volte, il B. si recò fuori di Roma per la stampa di opere ordinategli da autorità locali: il contratto relativo agli Statuta,sive Constitutiones Civitatis Reatae,super civilibus,et criminalibus causis prevedeva che il tipografo eseguisse il lavoro a Rieti, ospite nel palazzo priorale; senonché la sottoscrizione dell'edizione, uscita nel 1549, ha l'indicazione "Romae"; è detto invece "impressum Fulginei in aede Episcopali... per Antonium Bladum" in fine al Theologicarum institutionum compendium del vescovo di Foligno Clemente Dolera Monigliano (1562), stampato a spese dell'autore.
Solo una decina di volte figurano nelle sottoscrizioni, quali sono riportate negli annali delle edizioni bladiane, i nomi di coloro che fecero le spese delle edizioni: due volte il tipografo veneto Michele Tramezzino, una il tipografo e letterato fiorentino Francesco Priscianese, Iacopo Gelli, Giovanni M. Scotto d'Amadio, Francesco d'Aragona; più volte il libraio Giovanni "all'insegna della Gatta". È però possibile che tale dichiarazione sia stata omessa in molti altri casi. Apprendiamo, per esempio, da una lettera del Caro, che le Rime volgari di Lodovico Martelli (1533) furono stampate dal B. a spese di Giovanni Gaddi. Quanto al libraio Vincenzo Luchino, se di un libro appare chiaramente editore, per altri sembra aver seguito il metodo, adottato anche verso altri tipografi, di applicare un nuovo frontespizio, con propria sottoscrizione e marca, a edizioni del Blado. Stefano Nicolini da Sabbio figura un paio di volte come stampatore di esse, negli anni 1542 e 1550; di un altro tipografo forestiero presente a Roma, il francese Vincent Vaugris, il B. portò a termine un paio di edizioni nel 1550 e 1551.
Il B. si sottoscrive talvolta "bibliopola": ciò lascia supporre ch'egli esercitasse il commercio dei libri, almeno di quelli da lui stesso stampati. Sembra vendesse anche incisioni e attrezzi tipografici: nel 1561 fornì quattro torchi a Paolo Manuzio, trasferitosi a Roma.
Della personalità del B. si conosce qualcosa perché compare sotto il nome di Barbagrigia nella commedia degli Straccioni di A. Caro. Due o tre prefazioni recano la firma del B., ma non è certo che siano opera sua; mentre del suo temperamento sono testimonianza talune sottoscrizioni. In una lettera al tipografo Michele Tramezzino, che si legge in fine della edizione Versi et regole de la nuova poesia toscana (1539), il B. si lamenta che questi poeti, dei quali ha stampato a sue spese le poesie, non abbiano scritto neppure due versi in sua lode. Patetica è la prefazione del B., di pochi mesi anteriore alla morte, all'ultimo suo libro, gli Statuti di Roma, in cui esprime sentimenti di riconoscenza e di devozione alla grandezza e maestà della città che lo aveva accolto cinquant'anni prima.
Il B. morì tra il 1º e il 17 febbr. 1567; fu sepolto in S. Lorenzo in Damaso.
Continuarono l'esercizio dell'azienda la vedova Paola - che nel 1568 collaborò con P. Manuzio per la stampa del Breviario -e i quattro figli Bartolomeo, Stefano, Paolo e Orazio, i cui nomi figurano nei mandati camerali a partire da quell'anno. Ma nel 1589 Sisto V concesse al solo Paolo la qualifica di stampatore pontificio: il suo nome appare pertanto da solo nelle sottoscrizioni fino al 1593; sono del 1594 due lettere di Paolo al segretario del granduca di Toscana Belisario Vinta, dalle quali - come già da altre due degli eredi del 1588 - risulta che i Blado ricevevano da lui "favori e danari, e per contraccambio lo tenevano informato di quel che passava in Roma, mandandogli copia di tutto quanto stampavano per la Camera apostolica, anche prima che fosse fatto di pubblica ragione" (Fumagalli). Paolo morì nel 1594. Rappresentante di Paolo fu Rodolfo Silvestri, fisico e protomedico di vari pontefici, il quale tenne la tipografia camerale fino al 1609.
Delle edizioni del B. ed eredi possedute dalle biblioteche romane è stato pubblicato il catalogo, suscettibile di qualche accrescimento se la ricerca venisse estesa ad altre biblioteche italiane e a quelle straniere. Il British Museum, per esempio, possiede un rarissimo esemplare di un'edizione bladiana dell'Orlando furioso del 1533, contraffazione di quella ferrarese di Francesco Rosso dell'anno precedente. Il catalogo comprende 2922 edizioni per un periodo che va dal 1516 al 1593 (circa 1200 fino alla morte del B.); di esse oltre 1500 sono bolle, brevi, costituzioni, decreti, motupropri della suprema autorità religiosa, e circa 700 fogli volanti contenenti bandi, editti, privilegi, mandati, capitoli emanati dal potere civile dei papi: gli uni e gli altri stampati dai Blado in quanto tipografi camerali. Tolto questo folto gruppo di pubblicazioni ufficiali, è sempre considerevole, anche se confrontato con la produzione dei maggiori tipografi contemporanei, il numero delle altre, molte delle quali sono però indirettamente legate alla qualifica dei Blado (pubblicazioni di carattere curiale ed ecclesiastico), ovvero opuscoli di poche pagine come gli avvisi e i discorsi.
Gli annali delle edizioni del B., il più longevo e fecondo tra i tipografi romani del Cinquecento, rispecchiano più compiutamente degli altri, nonostante inevitabili lacune, la vita culturale dell'Urbe durante il cinquantennio che va dal pontificato di Leone X a quello di Pio V. Sono significativi a tale riguardo tanto la coraggiosa impresa di edizioni greche, con la sontuosità del Teofilatto e dell'Eustazio, quanto il suo fallimento; tanto il felice intuito dell'editore, il quale introduce a Roma, più o meno abusivamente, le opere del Machiavelli e l'Orlando furioso, quanto il suo sollecitare e ottenere uno stipendio dalla Camera apostolica per le pubblicazioni di carattere ufficiale.
Neanche allora ebbero a Roma l'onore della stampa - come non lo avevano avuto nel secolo precedente - i capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio. Il B. dà piuttosto veste tipografica e mette in circolazione nel mondo dei dotti e della scuola le opere storiografiche del Machiavelli, del Giannotti, del Giovio e del Foglietta, le traduzioni da autori greci e latini di Achille Stazio, Angelo Caiani, Paolo del Rosso e altri; le grammatiche di Vincenzo Termini e di Evenzio Pico; soddisfa le richieste del circolo farnesiano di letterati, al centro del quale è Annibal Caro; pubblica scritti di medicina e di farmacia, da Galeno ai contemporanei Brasavola, Cardano, Ferri, Cerasio, e non trascura quelli astrologici di Luca Gaurico, favorito dal superstizioso Paolo III. Escono dalla officina del B. alcune opere di filosofia, quelle di teologia di Egidio Colonna e di Tommaso de Vio, le antiluterane di Ambrogio Politi e di Silvestro Mazzolini, insieme a numerose di diritto canonico, di regole e costituzioni di ordini religiosi, di agiografia e di devozione. Sette o otto sono le edizioni musicali; un testo è in lingua ebraica; tre o quattro le commedie. L'arte militare, la Meccanica di Aristotele, il duello, il gioco degli scacchi, la mascalcia e altri argomenti peregrini sono presenti in una o due edizioni.
Oltre alla produzione maggiore rivelano gli interessi, le aperture e i limiti dell'ambiente culturale e della vita romana cosmopolita, prelatizia, cortigiana e caritatevole, che l'editore deve interpretare e servire, una quantità di discorsi di ambasciatori e di docenti dello Studio, di cronache da tutto il mondo, di formulari di curia, di brevi carmi, epitaffi, pronostici, statuti di confraternite. Le esigenze universali della Chiesa sono rappresentate da scritti sul concilio, sul conclave, sulla disciplina ecclesiastica, sulla riforma del calendario; fanno a essi quasi da contrappunto la raccolta di pasquinate, il trattatello sul governo della corte di un prelato, gli elogi delle donne romane, l'opuscolo sulla inondazione del Tevere.
La varietà della produzione bladiana si impoverì a causa del mutare dei tempi e della scemata intraprendenza degli eredi; dopo il 1567, in mezzo alla congerie di opuscoletti e di fogli volanti contenenti bolle, brevi, bandi, editti, privilegi, spicca la mole dei diciotto tomi in folio delle opere dell'Aquinate (1570), per la stampa delle quali, voluta e finanziata dal regnante Pio V con 5000 scudi, gli eredi del B. dovettero associarsi due altri tipografi romani, Giulio Accolti e Giovanni Osmarino Gigliotti. Tuttavia sono proprio le centinaia di editti e bandi, emanati la maggior parte sotto i pontificati di Gregorio XIII e di Sisto V, a offrirci come meglio non si potrebbe, anche attraverso i soli titoli, un'immagine della vita e del costume della Roma cinquecentesca.
Legate a Roma come soggetto e come prodotti della locale industria calcografica sono le non molte, ma cospicue, edizioni illustrate, benché l'opera del B. si limitasse alla stampa e alla composizione di brevi testi: la grande pianta di Roma di Leonardo Bufalini (1551); il Libro appartenente all'architettura di Antonio Labacco (prima edizione, 1552); il Trattato di scientia d'arme di Camillo Agrippa (1553), celebre per i cinquantaquattro rami che l'abbelliscono. Di edizioni illustrate con silografie, notevoli sono l'opuscolo De ossibus di Galeno (1534), il volume Septem principum Angelorum orationes et eorum missa cum antiquis imaginibus di Antonio Duca (1550), recante la sottoscrizione del Luchino ma certamente uscito dall'officina del B., con numerose silografie già impiegate nel Testamentum Novum in etiopico dei fratelli Dorico (1548-49). Delle tavole silografiche contenute in edizioni del B. la più pregevole artisticamente è il S. Girolamo che adorna il frontespizio di un estratto dal Messale romano Ordo Missae (1566), recante la sigla "I. B." (Giambattista Palumba): si tratta di una incisione vecchia di decenni e applicata dal tipografo a questo testo liturgico. Vanno ricordati ancora i pochi Mirabilia, adorni di piccole immagini convenzionali; gli avvisi e, in genere, gli opuscoli di largo smercio e di contenuto popolare, profano o devoto, i cui frontespizi hanno quasi sempre una modesta vignetta silografica. Pochi sono i ritratti di autori (Agrippa, Belo); frequenti le cornici, le iniziali ornate o istoriate (alcune serie sono comuni ad altri tipografi romani contemporanei), i medaglioni, gli stemmi del pontefice regnante, di un cardinale, di altri illustri dedicatari o del Popolo Romano, che sostituiscono talvolta la marca tipografica. Questa, assai nota, rappresenta, con molte varianti, l'aquila incoronata ad ali spiegate che regge con gli artigli un pavese. Limitati alla sola impressione e alla composizione tipografica di brevi testi o didascalie sono, oltre alle grandi opere calcografiche del Bufalini e del Labacco, gli eleganti trattatelli di calligrafia, intagliati in legno, di Ugo da Carpi (1525), di G. B. Palatino (più edizioni) e di G. F. Cresci (1560):
Manca uno studio generale sui tipi usati dal B.; negli annali non si accenna ad essi.
L'assortimento è grande, anche se il B. non può annoverarsi tra i creatori di bei caratteri. In alcune edizioni del primo periodo egli adottò un gotico già del Silber e un romano del Calvo; ma il più bello e singolare dei tipi è il corsivo che, a partire dal 1530, usò, sia pure non esclusivamente, nelle sue edizioni e che rappresenta l'ultimo corsivo "aguzzo" di Ludovico degli Arrighi Vicentino; di scuola vicentiniana è anche il differente corsivo, di corpo più piccolo e di forme arrotondate, impiegato negli stessi anni dai fratelli Dorico e da altri tipografi romani e napoletani. Nelle edizioni bladiane degli ultimi anni compare un corsivo di disegno francese.
Ignoti sono il disegnatore e l'incisore del carattere greco del primo volume dell'Eustazio; esso rimase proprietà del Cervini, ma fu usato dal Sofianos a Venezia e probabilmente a Roma; fu disegnato da Giovanni Onorio il greco del secondo e dei successivi volumi dell'opera in due corpi diversi.
Come sotto l'aspetto editoriale, così sotto quello tipografico i libri usciti dall'officina del B. presentano differenze tali da rendere difficile un giudizio d'insieme: essi vanno dagli opuscoli commerciali miseri e rozzi, perché effimeri, alle edizioni in folio assai decorose; alcune opere di carattere liturgico (ma anche fogli volanti) sono stampate in rosso e nero; pochissimi i frontespizi incisi. Di privilegi e statuti si conoscono esemplari in pergamena, ma se ne hanno anche dell'Eustazio e perfino dei diciotto torni delle opere di s. Tommaso: secondo il Brunet l'opera a stampa più voluminosa che abbia mai goduto di tale privilegio.
Bibl.: Una bibliografia completa sui Blado è premessa al quarto fascicolo del Catalogo delle loro edizioni. La prima monografia sui Blado è quella di L. Bernoni, Dei Torresani,Blado e Ragazzoni, Milano 1890; più ricca ed esatta l'altra di G. Fumagalli, A. B. tipografo romano del sec. XVI, Milano 1893. Nuovi dati sui Blado stampatori camerali ha fornito E. Vaccaro Sofia, Docc. e precisaz. su A. B. ed eredi, in Boll. dell'Ist. di patologia del libro, IX (1950), pp. 48-85. La parentela del B. col Platina è stata rivelata da A. Campana, A. B. e B. Platina, in Mise. di bibl. in on. di don T. Accurti, Roma 1947, pp. 39-50. Circa le probabili dimensioni della stamperia v. D. Gnoli, Descriptio Urbis o Censimento della popolazione di Roma avanti il sacco borbonico, in Archivio della Società romana di storia patria, XVII (1894), pp. 460 e 466. Gli annali delle edizioni bladiane cominciarono a pubblicarsi a cura di G. Fumagalli e G. Belli, Catalogo delle edizioni romane di A. B. asolano ed eredi (1515-1593) possedute dalla Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele di Roma, I-II, Roma 1891; furono continuati da E. Vaccaro Sofia, III, ibid. 1942; IV, ibid. 1961 (con le edizioni possedute da altre biblioteche romane). Sulla iniziativa editoriale Cervini-Blado hanno scritto in particolare L. Dorez, Le cardinal M. Cervini et l'imprimerie à Rome (1539-1550), in Mélanges d'arch. et d'hist. de l'Ecole française de Rome, XII (1892), pp. 289-313; R. Ridolfi, Nuovi contributi sulle stamperie papali di Paolo III, in La Bibliofilia, L (1948), pp. 183-197, e P. Paschini, Un cardinale editore: M. Cervini, in Miscellanea... in mem. di L. Ferrari, Firenze 1952, pp. 383-414. Intorno alla prima edizione del Machiavelli vedi in particolare: A. Bertolotti, Varietà archivistiche e bibliografiche con una nota di C. Lozzi intorno alla edizione principe rarissima dei Machiavelli fatta dal Blado a Roma, in Il Bibliofilo, III (1882), 3, pp. 34-35; G. Mazzoni, Un capitolo ignorato dei "Discorsi" del Machiavelli, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, classe di scienze morali, serie 6, IV (1928), pp. 592-95, e P. Paschini, Note alle prime edizioni del Machiavelli, in Atti dell'Accademia degli Arcadi, n.s., V-VI (1930), pp. 67-77. Sui rapporti col Gaddi v. A. Caro, Lettere familiari, Firenze, I (1957), p. 1 nota 3. Circa i caratteri usati dal Blado v. per i corsivi: L. Balsamo-A. Tinto, Origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, Milano 1967, pp. 136-38, 156-62; per i greci: A. Tinto, Nuovo contributo alla storia della tipografia greca a Roma nel sec. XVI: Nicolò Sofiano, in Gutenberg Jahrbuch, XL (1965), pp. 171-75. Sull'Opera Omnia dell'Aquinate, v. G. Brunet, Manuel du libraire, Paris 1864, V, col. 824.