BONCOMPAGNI, Antonio
Figlio di Ugo, duca di Sora, e di Maria Ruffo, dei duchi di Bagnara, nacque a Isola di Sora il 10 apr. 1658. A lui, ultimo di una lunga serie di figli, insieme col gemello Filippo, morto di vaiolo nel 1679, era riservata la sorte modesta dei cadetti che non intraprendevano la carriera ecclesiastica, così come avevano fatto i fratelli maggiori Francesco, divenuto un alto funzionario dello Stato della Chiesa, e Giacomo, cardinale. Visse infatti prima all'ombra del padre e poi a quella del fratello primogenito Gregorio, quando questi ne assunse l'eredità, non operando nulla di così notevole da poter essere ricordato. Una sola notizia gli si riferisce, prima del brusco cambiamento della sua vita che coincise con il nuovo secolo, quella della concessione fattagli dal pontefice Alessandro VIII, il 20 dic. 1690, non si sa in base a quali benemerenze o pressioni, di una pensione annua di 100 ducati d'oro di Camera sopra il beneficio di S. Alberto del Piano in Bologna. Da allora le cronache tacciono nuovamente su di lui per un decennio, sino a quando divenne il protagonista di un episodio di ben mediocre importanza, ma che per le circostanze in cui si svolse valse a guadagnargli le minacce di un pontefice e l'amicizia di un sovrano. Da allora la vita del B. cambiò radicalmente e per un curioso destino gli riuscì di conseguire quegli onori, quelle ricchezze e quel ruolo preminente nella società del Regno che sembrava gli fossero del tutto negati.
L'episodio non fu che un corollario della fallita congiura del principe di Macchia per far insorgere il Regno contro gli Spagnoli e consegnarlo agli Austriaci e si svolse quando il complotto era già stato scoperto dal duca di Medinaceli e i congiurati erano tutti imprigionati o dispersi. Uno di questi, Giambattista di Capua, principe Della Riccia, tentando di porsi in salvo in territorio ecclesiastico, si era avventurato nei feudi dei Boncompagni, con i quali era imparentato, trovando un rifugio notturno in una chiesetta nei pressi di Isola di Sora. Il B. trasse a viva forza il principe dal suo rifugio e, nonostante le proteste che quello faceva di parentado e di amicizia, lo consegnò al marchese Marco Garofalo, vicario della provincia, il quale a sua volta lo spedì a Napoli dove fu imprigionato in Castel dell'Ovo.
L'episodio suscitò grande scalpore: da una parte i fautori più o meno palesi del partito austriacante mostravano di indignarsi per quell'atroce tradimento della parentela; dall'altra lo stesso pontefice si indignava per la patente violazione del diritto d'asilo, commessa dal B. con l'irruzione armata nella chiesa, giungendo persino a minacciare la scomunica. Ma per conto loro gli Spagnoli considerarono il comportamento del B. come quello di un leale e valoroso suddito, tanto più notevole in un momento in cui gli estimatori del governo spagnolo non erano certamente in soprannumero nel Regno. Di qui derivò al B., in realtà con scarso merito, la fama di esponente tra i principali nel Regno del partito gallo-ispanico e quanto più si moltiplicavano gli attacchi e le ingiurie contro di lui, tanto più merito egli acquistava agli occhi dei borbonici.
La situazione era troppo comoda perché il B. si rassegnasse a ritornare nell'ombra che lo aveva custodito per più di un quarantennio ed egli si prodigò in tal modo nel dimostrare la sua devozione a Filippo V e la sua ostilità alle pretese di Carlo d'Asburgo che il Borbone lo creò gran siniscalco e nel 1702 lo insignì dell'Ordine del Toson d'Oro, alle quali cariche e onorificenze aggiunse più tardi, nel 1707, il comando di una compagnia d'uomini d'arme a cavallo.
Ma intanto anche la situazione familiare del B. aveva avuto una svolta favorevole. Con il secondo matrimonio del fratello Gregorio, che aveva sposato nel 1682 Ippolita di Niccolò Ludovisi, erede del principato di Piombino e dell'isola d'Elba, i diritti dell'estinta famiglia Ludovisi venivano a passare alla famiglia Boncompagni. In verità i diritti di Ippolita alla successione erano stati a lungo oppugnati da Olimpia Ludovisi, monaca dell'Ordine delle oblate, la quale aveva anche ottenuto contro la congiunta una sentenza favorevole della Gran Corte napoletana della Vicaria, competente in quanto il principato di Piombino era considerato feudo del Regno di Napoli; ma Olimpia era morta nel 1700 e Filippo V aveva convalidato il 27 febbr. 1701 i diritti di Ippolita. La cosa era dunque favorevolmente risolta per i Boncompagni; senonché il duca di Sora non aveva che una figlia, Maria Eleonora, la quale veniva pertanto ad essere l'unica erede del principato. Un suo matrimonio avrebbe portato nuovamente fuori della famiglia il titolo così di recente acquisito. Gregorio trovò una soluzione al difficile problema nel matrimonio della figlia col B., cui costituì in dote il ducato d'Arce e la signoria di Arpino; Maria Eleonora, per proprio conto, portava in dote, oltre ai diritti sul principato di Piombino, un assegno annuo di 5.940 ducati. A questo progetto i Boncompagni ottennero l'approvazione di Filippo V senza difficoltà e la dispensa papale, necessaria per il matrimonio tra i consanguinei, fu ottenuta altrettanto facilmente, sia perché fu lo stesso re di Spagna a sollecitarla dal pontefice, sia perché i Boncompagni versarono alla Camera apostolica una somma di 10.000 scudi. Il matrimonio tra il B. e Maria Eleonora Boncompagni poté così avere luogo il 29 marzo 1702.
Alla morte di Gregorio, avvenuta il 10 febbr. 1707, il B. ne ereditò il titolo di duca di Sora, con tutte le attribuzioni connesse. Ma ora erano gli avvenimenti politici a ritornare sfavorevoli. La conquista del Regno da parte degli Austriaci poteva pregiudicare infatti le sue nuove fortune. Il B. ebbe qualche esitazione: dapprima si ritirò a Roma, in segno di ostilità contro il nuovo governo, ma poi, riconsiderando la cosa, pensò che la conservazione dei feudi valeva bene un atto di sottomissione, senza il quale tutti i suoi beni nel Regno sarebbero stati confiscati, e il 31 ag. 1707 prestò omaggio e giuramento a Sua Maestà cesarea. Tuttavia a questo si limitò la sua adesione al nuovo regime: non ebbe cariche pubbliche e non partecipò in alcuna modo alla vita politica del Regno, evitando così di cornpromettere le sue passate benemerenze verso Filippo V, la cui restaurazione sembrava tutt'altro che esclusa. Il B. non arrivò a vedere la riconquista di Napoli da parte del primogenito di Filippo V e di Elisabetta Farnese, ma il sovrano spagnolo seppe riversare al momento opportuno sul figlio ed erede del B., Gaetano, la sua antica benevolenza.
Dopo il ritorno nel Regno da Roma il B. visse quasi sempre nei suoi feudi di Terra di Lavoro, tutto intento a ingrandirli e arricchirli: di lui si ricorda l'incremento dato alla produzione di panni ad Isola di Sora e ad Arpino e il commercio che ne faceva con lo Stato pontificio.
Il B. morì a Isola di Sora il 28 genn. 1731, lasciando erede delle sue sostanze e dei suoi titoli il primogenito Gaetano che assunse, con il titolo di principe di Piombino e dell'isola d'Elba, anche il cognome Ludovisi.
Degli altri suoi figli va ricordato Piergregorio, nato a Isola di Sora il 28 ott. 1709, creato cavaliere dell'Ordine gerosolimitano nel 1719: fu dapprima destinato alla carriera ecclesiastica, ma il cardinale Pietro Ottoboni, imparentato con la famiglia Boncompagni, stabilì il suo matrimonio con Maria Francesca Ottoboni, figlia di Marco, ultima rappresentante di quella casata ed erede dei diritti di essa sul ducato di Fano, a patto che Piergregorio assumesse il cognome di Ottoboni. Di lui si ricorda la partecipazione a una polemica erudita intorno al calendario gregoriano nel 1729.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Boncompagni, prot. 591, n. 33 (è il documento di legittimazione, "a solo titolo di onore", con esclusione cioè da ogni diritto patrimoniale, di una figlia illegittima del B., Teresa, in data 1704); A. Granito di Belmonte, Storia della congiura delprincipe di Macchia, Napoli 1861, I, pp. 83, 161 s., 246; II, p. 6; P. Litta, Le fam. celebri ital., s.v. Boncompagni di Bologna, tav. II. Per Piergregorio, G. M. Mazzuchelli, Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, ad vocem.