BRUNER, Antonio
Nato a Roma da famiglia napoletana, si trasferì ben presto a Napoli ove risiedette per quattordici anni, sposando una donna del luogo che gli dette tre figli, il primo dei quali morì "martire della francese libertà" (Pensieri..., p. 5). Dopo il 1789 trascorse esule qualche anno a Parigi, dove impartì lezioni di italiano e fece qualche traduzione. Il 21 genn. 1793 il B. fu "con estremo piacere e gratissima rimembranza testimone oculare" dell'esecuzione di Luigi XVI (Pensieri..., p. 8). Proclamata, nel febbraio 1798, la Repubblica romana, nella seconda metà del mese di aprile egli giunse a Roma insieme con un altro esule, Giuseppe Ceracchi, e tutti e due presero contatto con l'ambiente romano, mettendo subito in allarme la commissione francese, tanto che uno dei commissari, il Danou, inviò al presidente del Direttorio, Larevellière-Lépeaux, una lettera in cui diceva che i due non erano affatto quei "très-bons citoyens" che egli credeva sulla base, di quanto gli era stato scritto da Parigi, ma "deux loups dans la bergerie, deux anarchistes déterminés", insofferenti della tutela in cui era tenuto il governo romano da parte delle truppe d'occupazione; e se a Roma si fosse formato un forte partito anarchico, quei due uomini - secondo il Danou - sarebbero diventati molto pericolosi (Mémoires di L-M. Larevellière-Lépeaux, in De Felice, p. 82). Alla metà del maggio 1798 il B. fu nominato tribuno per il dipartimento del Tevere. Durante la prima invasione napoletana (novembre 1798) seguì a Perugia il governo e la commissione francese, da cui - dopo il fallimento dell'offensiva borbonica - gli fu affidata nel dicembre 1798 una "Commissione politica e segreta". Egli doveva attraversare gli Abruzzi e recarsi a Napoli al seguito dell'esercito francese, per farvi propaganda di principi repubblicani, insieme con il compagno Giuseppe Piatti.
Di questa missione il B. inviò al Tribunato, nell'aprile del '99, un rapporto, in cui, dopo essersi dilungato nella narrazione dei pericoli da cui era fortunosamente scampato, forniva alcune interessanti osservazioni sulla situazione delle province napoletane, in particolare di Napoli. La città, scriveva il B., contava molti patrioti che "hanno molto sofferto e moltissimo cooperato a far entrare l'invincibile armata francese"; essi, constatava il B., erano presenti nel ceto medio e nella nobiltà, mentre completamente assenti erano nel "basso popolo" che "è fanatico ad un segno che non si può far a meno di non fremere quando vi si pensa". Nelle province c'era un gran fermento e alcune di esse erano in piena insurrezione; tuttavia il B. si mostrava fiducioso nei "santi consolanti principî repubblicani".
Appena giunto a Napoli, il B. aveva subito iniziato la sua opera di propaganda politica. Come "Tribuno del popolo romano e tenente francese" il 28 gennaio indirizzò un Proclama patriottico ai Napoletani; il 14 febbraio successivo pubblicò l'opuscolo Pensieri politico-filantropicial Popolo-Sovrano della Repubblica Napolitana, cui seguì, il 9 aprile, un secondo, su invito di alcuni patrioti, dedicato agli abitanti delle campagne.
Nel Proclama il B. invitava gli abitanti del Regno di Napoli e in particolare i Siciliani, che ancora non erano "liberi", a scuotere il giogo dei tiranni, i quali, facendo leva sulla religione e sulla ignoranza, avevano gettato discredito sulla Francia dipingendo gli abitanti di quella "gran nazione" come "cannibali, atei e nemici della religione cattolica". Quanto ai Pensieri, il primo opuscolo contiene molti dei motivi presenti nella pubblicistica democratica dell'epoca: così la necessità di istruire il popolo perché la libertà allora acquistata non andasse irrimediabilmente perduta; così le affermazioni che "tutti i popoli tendono naturalmente alla democrazia", che il popolo è "libero", perché non più soggetto ai tiranni ma solo alle leggi, e "sovrano", perché fa le leggi e si governa tramite i suoi rappresentanti; così la dimostrazione che i principi repubblicani non sono in contrasto con la religione cattolica; così, infine, la convinzione che non era opportuno concedere al popolo di autogovernarsi finché il programma di istruzione non avesse dato i suoi frutti; e proprio a Napoli, infatti, non il popolo ma le autorità francesi avevano nominato un "Comitato di legislazione" che stava preparando la nuova costituzione. Era stato questo, concludeva il B., un ottimo provvedimento, in quanto non tutta la massa del popolo era "istruita" e le rivoluzioni non erano in quel momento "per tutti i popoli e per tutte le persone". Nei Pensieri politico-filantropici agli abitanti delle campagne della Repubblica Napolitana..., più povero di contenuto ideologico, il B. rimproverava ai contadini la "stucchevole ignoranza" di cui approfittavano i realisti e il card. Ruffa e si chiedeva come mai essi non fossero stati sedotti dall'esempio di Napoli e di tante altre città d'Italia che avevano già cacciato i tiranni; concludeva con una invocazione al "Genio invisibile" dei repubblicani, perché ancora una volta guidasse e assistesse gli abitanti della Repubblica napoletana.
Tornato a Roma, rientrò nel Tribunato, ma nella seduta del 6 marzo fu sorteggiato tra coloro che dovevano uscirne; in quella occasione distribuì copie dei Pensieri. Le sue idee gli meritarono la stima dell'ambasciatore francese a Roma, gen. Bertolio, che fece assumere un figlio del B. dall'amministrazione del registro e gli assicurò tutta la protezione francese quando le truppe francesi cominciarono ad abbandonare Napoli.
Caduta la Repubblica romana, il B. si imbarcò con i Francesi per Marsiglia insieme con alcuni di quelli che avevano ricoperto cariche di una certa importanza e che per le loro idee si sentivano poco sicuri a Roma. Questi esuli romani, giunti a Marsiglia, tennero alcune riunioni, di cui una presso la casa del B., nel corso delle quali fu deciso di inviare al Direttorio un messaggio che esprimesse il loro attaccamento alla libertà, e una delegazione di quattro persone, tra cui il B., incaricata di presentare le richieste degli esuli romani. Di tutto questo il Bertolio diede notizia al ministro degli Esteri, ricevendone la risposta che era meglio tenere lontani da Parigi gli esuli romani, ritenuti agitatori pericolosi. Dal 1800 si perde ogni traccia del Bruner.
Opere: Roma, Bibl. Vallicelliana, Fondo Falzacappa: Rapporto della Campagna di Napoli fatta dal cittadino A. B., Tribuno del Popolo romano per invito della Commissione francese che lo incaricò di una Commissione politica e segreta li 16 glaciale dell'anno VII (ms.); Proclama patriottico (Napoli, 9 piovoso a. VII), ora in C. Colletta, Proclami e sanzioni della Rep. Napoletana, Napoli 1863, pp. 15-17; Pensieri politico-filantropici al Popolo-Sovrano della Repubblica Napolitana di B. tribuno del popolo romano e tenente francese, Napoli, 26 piovoso a. VII; Pensieri politico-filantropici agli abitanti delle campagne della Rep. Nap. del cittadino A. B. tribuno del popolo romano, n. 2, Napoli 1799 (20 germile).
Fonti e Bibl.: Collezione di carte pubbliche,proclami,editti ecc. della Rep. romana, IV, Roma 1799, p. 343; T. Casini, Il Parlamento della Rep. romana del 1798-99, in Rass. stor. del Risorgimento, III (1916), p. 541; V. E. Giuntella, Gli esuli romani in Francia alla vigilia del 18 brumaio, in Arch. della Soc. romana di storia patria, LXXVI (1953), pp. 229-238; R. De Felice, Italia giacobina, Napoli 1965, p. 82.