CALCILLO (Calzillo, Calcilla, latinamente Calcilius o Chalcidius, forse in ricordo del commentatore platonico), Antonio
Nacque a Sessa Aurunca probabilmente sui primi del sec. XV. Della sua vita solo un limitato periodo ci ènoto con qualche esattezza: umanista non certo eminente ma maestro di scuola assai stimato, entrò a far parte, per l'interessamento del Panormita, della "famiglia" del cardinale Bartolomeo Roverella, forse tra il novembre e il dicembre 1463. Come si ricava dal carteggio Roverella-Panormita, pubblicato dal Ricciardi, il suo inserimento in quell'ambiente non fu sulle prime senza contrasti: in una lettera, che si conclude con una richiesta di un piccolo beneficio ecclesiastico per il C., il Panormita richiede un trattamento più generoso per il "nobilis grammaticus" suo protetto, che si era addirittura recato a Napoli da lui per lamentarsi della scarsa considerazione in cui era tenuto dai familiari del cardinale, alcuni dei quali, anzi, lo deridevano "quasi scurram aut histrionem". A Roma il C. intraprese la sua attività di maestro, intorno alla quale il cardinale ragguaglia in termini lusMighieri il Panormita, in una lettera databile tra il 1463 e il '64 ("Calcilius publica mercede Romae legit: nullus ludus frequentior. Calcilii nomen celebratur"). Fu certamente con l'appoggio del Roverella che il C. poté poi accedere alla carriera accademica, tenendo un corso, verisimilmente all'Archiginnasio romano, l'anno 1465-66, quando professavano alla Sapienza Pomponio Leto e Porcelio de' Pandoni. Risale a quel tempo il Commento a Orazio (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2769, cc. 1r-82r), portato a termine il 1º luglio 1466. Nel 1467, sempre, è facile supporre, per l'interessamento dei suoi protettori, il C. passò allo Studio napoletano con un onorario assai alto (dai 60 ai 100 scudi annuali); là insegnò grammatica e retorica (pur non potendosi escludere una sua successione alla cattedra di greco del Lascaris) fino al 1471, l'anno stesso, e non sembra coincidenza fortuita, in cui morì il Panormita. Di questo periodo non ci resta alcuna traccia di opere, così come della sua attività nell'Accademia Pontaniana altro non sappiamo se non che ne fu membro. Nel 1475 il C. a Napoli prendeva in affitto una casa da Giovannella Caracciolo (vedova di Francesco Arcella, amico del Pontano [Parth. II, 12, 28] e cognato del Panormita) e dai suoi figli Luigi e Mazzeo. È questo l'ultimo fatto noto della vita del C., poiché destituita di fondamento sembra la notizia dei rapporti che sarebbero intercorsi tra lui e Agostino Nifo, nato anch'egli a Sessa nel 1474.
Del C. è ignota la data della morte, che lo colse, sulla fine del secolo, a Sessa.
Il Commento oraziano del C. è un'opera scolastica che non spicca particolarmente tra i tanti commenti umanistici del secolo; le notizie storiche sono desunte per lo più da Porfirione, mentre le glosse e le note linguistiche hanno uno scopo puramente didattico, cui vuol rispondere anche l'opera più importante del C., il Lessico latino dedicato a Filiasio Roverella, nipote del cardinale. A quest'opera il C. certamente attendeva nel 1462: se ne ha notizia in una lettera del 15 dicembre che da Benevento, ove si trovava come paciere tra Gian Antonio Orsini e il re Ferdinando, il cardinale inviò al Panormita. L'unico esemplare del Lessico, il ms. Bodl.171 della Bodleian Library di Oxford, già appartenuto alla biblioteca di Domenico Grimani, ha permesso di verificare la notizia di R. Maffei secondo cui uno Ioviniano discepolo del C. si sarebbe appropriato, dopo la morte di questo, del Lessico composto dal maestro. Ioviniano non era altri che Giuniano Maio, il quale nell'anno 1475, mentre era vivo ancora il C., pubblicò a Napoli il suo fortunatissimo De priscorum proprietate verborum, nella cui lettera di dedica dichiara di essersi giovato di un "opus inchoatum de verborum latinorum interpretatione". Ora, se è pur difficile stabilire se il Maio sottraesse al C., di cui fu collega a Napoli, il Lessico, o se fosse questi a cederglielo, è però certo che dal confronto dei testi appare la diretta dipendenza del Maio dal Calcillo. L'attività poetica del C. è invece soggetta tuttora a dubbio: le "Calcilianae Musae" di una lettera del Panormita, come l'appellativo di "poeta" nella sottoscrizione del Commento oraziano e l'epiteto "poeta Suessanus" della prefazione al Lessico, sonosenz'altro indicazioni esplicite; ha però lasciato piuttosto perplessi l'attribuzione a lui del De gestis et sentenciis philosophorum oratorum vatum, degli Epitaffia Lisabette Livae contisse Sarni e del frammento De gestis Francisci Coppulae, contenuti, con la sola indicazione "per A. C.", nel ms. Lat.6069R della Bibl. Naz. di Parigi. Comunque sia della questione, il poemetto, che intendeva celebrare le imprese di F. Coppola conte di Samo durante la presa di Otranto da parte dei Turchi (1480), fu composto circa il 1484 e fu interrotto - se non si tratta solo di guasto del manoscritto - a causa forse dei primi sospetti di tradimento appuntatisi sul Coppola che, imprigionato in Castelnuovo il 14 ag. 1486, fu giustiziato nel maggio dell'anno seguente. L'ipotesi di un C. poeta volgare, basata sull'interpretazione in questo senso di un passo di una lettera del Panormita, non sembra per il momento avere seri motivi di conferma. Da escludersi è infine l'ipotesi dello Zippel che lo identificava con Gaspare da Verona, autore della vita di Paolo II.
Bibl.: R. Maffei, Commetaria Urbana, Lugduni 1552, pp. 643; P. A. Spera, De nobilitate professorum…, Neapoli 1641, p. 425; I. Carafa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus, I, Romae 1751, p. 305; G. B. Tafuri, Istoria degli scritt. nati nel R. di Napoli, III, Napoli 1752, pp. 322 s.; F. M. Renazzi, Storia dell'univ. degli studi di Roma, I, Roma 1803, p. 231; C. Minieri Riccio, Memorie stor. degli scritt. nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 69; G. De Blasiis, Un poema latino ined. in lode del conte di Sarno, in Archiv. stor. per le prov. napol., VIII(1883), pp. 738-63; E. Cannavale, LoStudio di Napoli nel Rinascimento, Torino 1895, pp. 45 ss.; Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, a cura di G. Zippel, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., III, p. XXXVII n. 7; G. Mercati, Codici latini Pico Grimani Pio, Città del Vaticano 1938, pp. 32 n. 5, 268 ss.; A. Altamura, L'umanesimo nel Mezzogiorno d'Italia, Firenze 1941, p. 45 n. 2; C. De Frede, Ilettori di umanità nello Studio di Napoli, Napoli 1960, pp. 61 ss.; R. Ricciardi, A. Poliziano, G. Maio, A. C., in Rinascimento, s. 2, VIII (1968), pp. 284-309 (con appendice di documenti e lettere ined.).