CANIGIANI, Antonio
Nacque nel 1449 da Simone e da Margherita di Adoardo Alberti. Non va confuso con il cugino omonimo, figlio di Giovanni di Antonio, gonfaloniere di Giustizia nel 1484 e ambasciatore presso Carlo VIII. Ottenne numerose cariche pubbliche: nel 1494 fu commissano a Pistoia; nel 1495 a Pisa; nel 1498 alla Pieve di S. Stefano. Anche nella sua città la sua carriera fu significativa: fece parte degli Otto di guardia e balia nel 1491, dei Dieci nel 1496-97, dei Signori nel 1497. Venne anche eletto priore il 1º maggio 1497. Fu fervente savonaroliano e dimostrò in più occasioni la sua fedeltà alla causa del frate: nella Pratica del 14 marzo 1497 pronunciò un discorso in suo favore, esaltando la libertà fiorentina e condannando l'ingerenza pontificia; il suo nome corre inoltre tra i firmatari d'una petizione ad Alessandro VI, del 1497.
Ebbe anche un ruolo politico nella fazione dei seguaci del Savonarola: nel febbraio del 1497 mancò poco che ottenesse il gonfalonierato, attribuito a Bernardo del Nero, filomediceo e antisavonaroliano, su pressione degli Arrabbiati, che cercavano di riconquistare spazio allo scadere del mandato di F. Valori, amico del Canigiani. Al Savonarola e ai suoi fu vietata la predicazione e questo provocò uno stato di tensione assai grave: durante gli ultimi giorni del mese di aprile, eletta una nuova Signoria in cui gli Arrabbiati avevano la preponderanza, gli attacchi al frate si moltiplicarono; in una tormentata riunione dei principali esponenti del governo, il C. difese a spada tratta il Savonarola dalle accuse del nuovo gonfaloniere Giovanni Canacci e degli Arrabbiati Benedetto de' Nerli e Piero degli Alberti. In quegli stessi giorni (27 aprile) Piero de' Medici aveva cercato invano di rientrare in città ed era stata scoperta una congiura in suo favore che coinvolgeva alcune delle più importanti famiglie fiorentine. Ciò ebbe il potere di riunire per un attimo le opposte fazioni, ma non certo di sopire gli animi: nel corso di una violenta riunione per decidere la sorte dei congiurati, tra cui figuravano lo stesso Bernardo del Nero, Giovanni Cambi, Niccolò Ridolfi e Lorenzo Tornabuoni, il C. sostenne assieme al Valori la tesi più oltranzista di una rapida esecuzione e, nonostante i tumultuosi contrasti, fu questa la decisione presa dalla maggioranza. Ciò diede nuovo alito a Francesco Valori, che in breve divenne praticamente il capo della città; il C. fu certo al suo fianco in questo periodo, ma ignoriamo qualsiasi particolare sul ruolo da lui svolto. Sappiamo solo che nel 1498 egli fu implicato nella rete di processi e di condanne che accompagnarono la caduta del Savonarola: si riferisce a questo con ogni probabilità una sollecitazione degli Otto di balia del 16 giugno 1498 che gli ingiunse di pagare immediatamente una multa di 309 fiorini comminatagli il 30 aprile. Nonostante questo, la sua carriera politica non subì gravi alterazioni: negli ultimi mesi dello stesso anno lo ritroviamo commissario in campo nel Casentino, all'epoca della venuta di Paolo Vitelli, comandante delle truppe fiorentine.
L'anno successivo è a Pisa per occuparsi del comportamento dello stesso Vitelli: i Fiorentini assediavano la città con alterna fortuna, quando il 4 sett. 1499 giunse notizia ai Signori di Firenze che i due comandanti dell'esercito, Paolo e Vitellozzo Vitelli, erano risoluti a lasciare il campo. Il Machiavelli, che già dal giugno era in corrispondenza fitta con i commissari a Pisa, caldeggiò un intervento risoluto contro i Vitelli che ponesse fine alla pericolosa situazione: dello stesso parere, come ci ricorda Guicciardini (p. 183), fu il C., che il 14 settembre partì assieme a Braccio Martelli alla volta della città assediata. Paolo Vitelli aveva provocato anche la perdita di una parte dell'artiglieria per il suo maldestro tentativo di abbandonare la guerra ed il C. aveva l'incarico segreto di catturarlo, insieme al fratello, e di deferirlo a Firenze. In una lettera del 16, Machiavelli ricorda che, secondo la testimonianza del C., il disordine nel campo fiorentino era grandissimo e le pressioni sui Vitelli perché continuassero a combattere erano inutili. Anche le minacce, cui la lettera fa allusione come estremo tentativo, furono senza effetto e il 30 settembre il C. fece arrestare Paolo Vitelli, che, portato a Firenze, venne decapitato; Vitellozzo invece riuscì a fuggire.
Il C. rimase a Pisa almeno fino alla metà del mese di novembre (come risulta dall'epistolario col Machiavelli) col titolo di commissario, cercando di riportare l'ordine tra le truppe scontente per i ritardi nel pagamento del soldo. Le numerose lettere inviate alla Repubblica per ottenere i fondi necessari non sortirono altro effetto che un invito ad adoperarsi con ogni forza per temporeggiare in attesa dell'intervento del re di Francia ("...e perché noi ti conosciamo prudente... poseremo sopra la prudenza tua": Scritti inediti di N. Machiavelli, p. 121). Tuttavia la sua abilità nel destreggiarsi dovette essere notevole visto che restò nelle sue funzioni anche dopo la scadenza del suo mandato (2 novembre), per assicurare la transizione dei poteri ai nuovi commissari, continuando a svolgere la sua azione mediatrice verso i soldati e a intrattenere relazioni diplomatiche colle signorie alleate come gli Appiano e i della Stuffa.
Tornato a Firenze continuò la sua carriera politica e il 30 ag. 1500 fu inviato a Lucca, assieme ad Antonio Mellini per incontrarsi con Louis de Salient, luogotenente del comandante dell'esercito francese de Beaumont, da cui avrebbe ricevuto lettere riservate del re di Francia. Il 24 ott. 1502 venne eletto commissario ad Arezzo, ma dopo cinque giorni fu fatto priore e rinunciò alla prima carica; successivamente fece parte dei Dieci. Nell'aprile del 1505 egli è capitano a Cortona, dove ospita il giorno 11 il Machiavelli in viaggio verso Perugia e Giovan Paolo Baglioni. Il Machiavelli si informò dall'amico dei movimenti dell'infido signore. proseguendo poi la missione che doveva rivelare le trame antifiorentine di quest'ultimo. Nel novembre del 1508 appoggiò Pier Soderini (alla cui politica aveva aderito già dal 1504) a proposito del matrimonio di Filippo Strozzi con la figlia di Piero de' Medici; le nozze avevano un chiaro significato di restaurazione e la Repubblica non poteva non reagire: assieme a un gruppo di amici riunitosi a casa di Alessandro Acciaiuoli, il C. diede vita alla "setta valoriana", che si prefiggeva di rinverdire le speranze e i disegni di Francesco Valori e che proponeva come prima manifestazione una azione decisa contro Filippo Strozzi, con la richiesta della sua condanna o comunque delsuo esilio.
Il 1º nov. 1512 fece parte ancora una volta dei Dieci. Non si hanno altre notizie sulla sua vita dopo questa data, né si conosce la sua sorte dopo il ritorno dei Medici a Firenze. Ignota è anche la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: J. Gaddi, Elogistorici in versi ed in prosa, Firenze 1639, pp. 221-23; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XX-XXI(1785), pp. 123, 144, 189, 318; N. Machiavelli, Scritti inediti, a cura di G. Canestrini, Firenze 1857, pp. 61-132 passim; Nuovi documenti concernenti a frate Girolamo Savonarola e ai suoi compagni, a cura di L. Passerini, in Giorn. stor. degli Arch. toscani, III (1859), p. 64; C. Lupi, Nuovi documenti intorno a fra' Girolamo Savonarola, in Arch. stor. ital., s. 3, III (1866), p. 46; F. Guicciardini, Storie fiorentine…, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, pp. 133, 141, 145, 171, 183, 272, 326, 328; N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, I-III, Milano 1964, pp. 130, 862 s.