Canova, Antonio
L'artista che fa rivivere le sculture della Grecia antica
Vissuto a cavallo fra Settecento e Ottocento, lo scultore Antonio Canova, come molti suoi contemporanei, reputava i capolavori della scultura greca, con i corpi perfetti degli atleti e le figure bellissime delle dee, il livello più alto mai raggiunto dall'arte. L'unica possibilità di farsi onore e diventare un grande artista era dunque imparare da quei maestri, facendo rivivere le forme e la bellezza del mondo classico attraverso un nuovo classicismo: il neoclassicismo
Non sono molti gli artisti che, ancora in vita, vedono riconosciuto il proprio talento. È quello che invece è successo ad Antonio Canova. Ricchi borghesi, papi, principi e addirittura Napoleone hanno ammirato le sue sculture e hanno fatto a gara per farsi ritrarre da lui nel marmo. Canova viene acclamato e paragonato ai massimi scultori della Grecia antica, come Fidia, lo scultore del Partenone di Atene. Perché Canova è tanto ammirato?
Antonio Canova nasce nel 1757 a Possagno, una zona ricca di cave di pietra in provincia di Treviso. Dal nonno scalpellino impara a lavorare il marmo. Studia con cura i metodi di lavorazione degli scultori greci, ma non dimentica l'abilità degli scultori barocchi, come il Bernini: essi sapevano far apparire il marmo morbido come la carne o liscio come la seta. Canova riesce così a creare opere di scultura nello spirito dei maestri del passato, ma ne interpreta la lezione seguendo il gusto della sua epoca, e incontra così il favore del pubblico.
Canova ama leggere gli autori greci e latini, come Omero e Ovidio, perché attraverso le storie delle divinità dell'Olimpo intrecciate a quelle dei mortali si tramandano insegnamenti edificanti per l'uomo e ideali di bellezza e virtù. Tra le prime opere importanti del giovane Canova c'è proprio una scultura mitologica, Dedalo e Icaro. Canova rappresenta il momento in cui il padre lega le ali sulle spalle del figlio: sembra una scena malinconica, perché ne conosciamo il triste finale, la caduta di Icaro. Questo sentimento malinconico ha anche un altro significato, ricorda che, malgrado tutti gli sforzi degli artisti, la perfezione e la bellezza classica non sono più raggiungibili.
L'opera, esposta alla festa dell'Ascensione in piazza S. Marco a Venezia (oggi è conservata al Museo Correr della città), piace molto ai Veneziani per la posa vivace; inoltre il vecchio corpo di Dedalo è reso con realismo ‒ le pieghe della pelle del viso sembrano vere! ‒, mentre il corpo del giovane Icaro è bello come quelli che ha tramandato la scultura greca. Insomma, Canova riesce a fondere con armonia sia il realismo sia il classicismo, una prova di bravura che colpisce i suoi contemporanei e che ammiriamo ancora oggi nelle sue opere.
Canova inizia a lavorare a un'opera disegnando una prima idea su un foglio di carta; poi realizza vari modelli in terracotta e cera, di grandezza crescente. Il modello finale in gesso ha le misure definitive e su di esso vengono fissati chiodi, che servono come punti di riferimento per riportare le proporzioni esatte del modello sul blocco di marmo. Ancora oggi si può studiare questa tecnica di lavorazione esaminando i gessi conservati nel museo (o meglio nella gipsoteca, parola composta proveniente dal greco che vuol dire appunto "luogo di conservazione dei gessi") di Possagno.
Finita la scultura in marmo, Canova ne strofina la superficie con la pietra pomice e la ricopre di cere o tinture colorate; in questo modo il marmo acquista le sfumature di ambra della pelle naturale e l'effetto antico delle statue classiche. Lo scultore è quindi capace di trasmettere al marmo il colore della carnagione e di creare effetti di luce che ravvivano la statua. Questa qualità lo distingue dal suo rivale dell'epoca, il danese Bertel Thorvaldsen: le sculture di questi, infatti, sono ispirate all'antico come quelle di Canova, ma non sono animate da sentimenti come la malinconia, la pietà, la sensualità. Purtroppo, nei secoli successivi alcuni restauratori hanno ripulito le superfici delle statue di Canova, facendole diventare bianche come il latte ed eliminando ‒ pur involontariamente ‒ l'effetto del tempo voluto dallo scultore.
Nel 1779 viene il momento per Canova di recarsi a Roma per studiare dal vivo le tante sculture antiche di cui sono piene le case, le botteghe, le collezioni della città. Qui viene a conoscenza delle teorie dell'archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann, assai importanti per lo sviluppo del neoclassicismo. Winckelmann afferma che l'arte greca è l'unica via per raggiungere la bellezza, perché possiede quella qualità di nobile semplicità e quieta grandezza che anche gli scultori contemporanei devono cercare.
È in questo periodo che nascono dei capolavori come Amore e Psiche, del 1793, oggi conservato al Louvre di Parigi. La storia è tratta da un'opera dello scrittore latino del 2° secolo d.C. Apuleio: Psiche era una fanciulla la cui bellezza metteva in ombra quella di Venere; la dea inviò suo figlio Amore con il compito di far sposare Psiche con l'uomo più brutto e sfortunato del mondo, ma Amore si innamorò della ragazza e la rapì. La raggiungeva di notte al buio per nasconderle la sua vera natura divina, ma un giorno Psiche decise di vedere il volto del suo amato. Amore allora fuggì, e dopo varie vicissitudini i due amanti si riunirono nell'Olimpo. Per rappresentare i due amanti lo scultore si ispira alle antiche pitture romane di Ercolano e Pompei, da pochi anni riemerse nel corso degli scavi archeologici che avevano riportato alla luce le città sepolte nei pressi di Napoli. In questo bellissimo gruppo marmoreo colpisce la grazia con cui i due giovani si avvicinano per darsi un bacio, grazia che per Canova era il simbolo di una bellezza serena, non sconvolta dalle passioni.
Durante la sua vita Canova riesce a essere molto apprezzato anche perché è un bravo manager di sé stesso: ha importanti incarichi dai pontefici e intrattiene relazioni internazionali che gli assicurano una lunga e ricca carriera. Quando Napoleone diventa imperatore nel 1804, chiama artisti affermati come appunto Canova e il pittore francese Jacques-Louis David per farsi ritrarre in sculture e pitture come un eroe moderno, fiero e valoroso.
Ma l'opera più nota che lo scultore esegue per la famiglia Bonaparte è il ritratto della sorella dell'imperatore, Paolina, sposata al principe Camillo Borghese. In Paolina Borghese come Venere vincitrice (finita nel 1808, oggi alla Galleria Borghese di Roma) Canova rende omaggio alla bellezza della donna paragonandola alla dea Venere, che non conosceva rivali in tutto l'Olimpo (per questo ha in mano, come Venere, il pomo simbolo della vittoria). Guardando l'opera, viene spontaneo seguire la lieve e aggraziata torsione del busto di Paolina, che ai primi dell'Ottocento era considerata una donna dalla bellezza ideale, alla quale tutte le ragazze volevano assomigliare. Con quest'opera Canova dimostra il suo legame con Napoleone e con tutta la famiglia Bonaparte. Ma l'imperatore, di lì a pochi anni, sarà sconfitto nella battaglia di Waterloo.
Dopo la caduta di Napoleone, nel 1815 le potenze europee si riuniscono a Vienna. Il papa allora regnante, Pio VII, invia Canova con il compito di recuperare le tante opere d'arte che Napoleone aveva portato via dall'Italia durante l'occupazione. Grazie alla sua mediazione, rientrano a Roma sculture antiche, come il Laocoonte e l'Apollo del Belvedere, e alcune tele di Raffaello e Caravaggio. Canova si dimostra così un abile diplomatico oltre che un grande scultore. Al culmine della sua carriera internazionale si reca a Londra: lì vede per la prima volta i marmi originali del Partenone di Fidia, appena arrivati dalla Grecia, e può rendere omaggio all'artista a cui era stato paragonato per tutta la vita.
Il suo studio di Roma, un tempo pieno di opere greche e romane, oggi è una galleria d'arte e si trova vicino all'Accademia di belle arti, un luogo dove gli studenti, oggi come allora, imparano dalle sculture antiche i fondamenti della loro arte.