CAPPELLO, Antonio
Primogenito di Alvise (1555-1592) di Giovan Battista e di Franceschina di Francesco da Mula, già vedova di Alvise Grimani di Girolamo, nacque a Venezia il 25 dic. 1587 e si sposò, il 4 febbr. 1624, con Laura di Andrea Dolfin di Francesco, dalla quale ebbe Antonio (I) (1626-1711), Antonio (II) o Antonio Marin (1629-1690) e Franceschina monaca, col nome di Laura, nel convento di S. Spirito.
Podestà di Chioggia dal 26 luglio 1617 al febbraio del 1619, dispone, avendo "riguardo dei presenti motti" - era in corso il conflitto cogli Arciducali -, una rigorosa sorveglianza della città sì da porre questa "et castello in stato di sicurezza da qualsivoglia incursione o sbarco che gli uscocchi o altri inimici tentassero fare".
Tutto si riduce però all'avvistamento di qualche imbarcazione sospetta; per sua fortuna, poiché, se gli uomini "descritti" erano 1.600, non aveva che duecento archibugi soltanto con cui armarli. Orgoglioso fu soprattutto il C. di aver individuato un grave e continuato "intacco" nella contabilità del Monte di Pietà: coadiuvato da Gaspare Bellinato, del "collegio del raggionati", che rilevò "nei libri... rivisti... viciature, rassamenti di partite et partite false", riportò l'amministrazione alla "buona regola della scrittura", fiducioso che in tal modo non si sarebbero più verificati "mancamenti" e "fraudi".
Il C. quindi giunge, il 29 nov. 1620, ad Alessandria, "scala ... principalissima di tutto il Levante", in qualità di console: si trattiene in Egitto, dimorando per lo più al Cairo, per quarantadue mesi proprio al tempo della "revolutione dell'impero turchesco". Difficile e rischioso per il C. svolgere le proprie funzioni nel rapido e brusco succedersi dei governatori, riflesso immediato degli avvicendamenti negli alti gradi alla Porta. "Qui tanta è la confusione ... che in tre mesi si sono muttati tre bascià" scrive, ad esempio, il 10 ag. 1622. E c'è chi "governa con molto rigore et opinione di se medesmo", intollerante di obiezioni e limitazioni all'esercizio del potere, chi addirittura "chiude le reche alla ragione".
Particolarmente aspri i rapporti con Cussain pascià che impose ai sudditi veneti un arbitrario versamento di 150.000 reali e un vessatorio dazio d'uscita. Contro il primo il C. ottenne che il bailo a Costantinopoli elevasse le più vibrate proteste, contro il secondo agì direttamente ordinando ai mercanti veneziani "che, nel cavar le robbe et mercantie di doana", badassero a "non pagar altro che l'ordinario datio d'entrata"; se "li daciari" avessero preteso di "più", dovevano "lasciar il tutto in doana". Nonostante lo sdegno e le minacce di Cussain il C. non revocò la disposizione e si giunse a un compromesso: il dazio d'uscita venne "levato", e il pascià si accontentò che quello d'entrata, "ch'era solito pagarsi in robba", fosse corrisposto in contanti "a giusto pretio della robba". Il C. non manca di sottolineare l'opportunità del suo operato: ché, se avesse acconsentito, "mai più si haverebbe potuto levare" simile "pregiuditio", dal quale sarebbe derivata la "total rovina di questo negotio".
Altra grossa benemerenza del C. l'esser riuscito a far partire per Candia venti "vascelli carichi di diverse sorte di grani et legumi", nonostante i severissimi divieti di esportazione essendo, allora, l'Egitto afflitto da grave carestia; naturalmente un invio così massiccio di derrate fu possibile grazie all'adozione di "diversi allettamenti et mezi". La relazione presentata al Senato dal C., al suo ritorno a Venezia, è interessante comunque più per la somma di notizie sul Cairo (il diffondersi di due pestilenze, le abitudini e i costumi degli abitanti, l'andamento dei commerci) che per quanto contiene circa la difesa e conservazione delle "cose della natione nello stato suo", la "protettione" accordata ai "padri di Monte Sion di Gierusalemme", l'amministrazione della "giustitia a' sudditi tanto civile quanto criminale", i buoni rapporti col console francese assai utili per "rispetto de' Turchi quali tanto più vedono le nationi unite tanto più le stimano".
Il Cairo è "città di grandissimo negotio tirando a sé da tutte le parti del mondo le più ricche et preciose cose"; fittamente popolata, gli abitanti vi si addensano molto strettamente, tanto che "una assai ristretta stantia serve per ogni numerosa famiglia"; molti addirittura dormono in istrada; "le case sono alte e le strade strette". Durante il suo soggiorno vi sono state "due peste", l'una ha mietuto 700.000 vittime, l'altra 300.000; eppure la città rimane quanto mai brulicante di folla, "aperte le botteghe, ripieni li bazar". Al pascià la lontananza da Costantinopoli attribuisce tanta potenza e autonomia da poter dire "che la volontà li serve per legge", il proprio personale tornaconto "per il giusto". Felicemente il C. sintetizza lo "stato politico" dell'Egitto: "il bassà non obbediva al re né alla Porta, né la soldatesca era obbediente al bassà se non in quanto torna loro conto". E ancora: "temono più tosto li esterni prencipi che il proprio re", specie "l'armi del Persiano". Diminuita vi è la presenza dei mercanti veneziani "per il mancamento delle specie dell'Indie, che per la nuova navigatione ritrovata da' fiamminghi hanno preso altro corso, né capitano più nel Cairo o in poca quantità; in particolare il garofolo prima tutto veniva da quelle parti et hora non se ne vede". Per rivitalizzare i traffici languenti il C. suggerisce di esportarvi "pannina di lana" desiderata dalle autorità "per vestir sé et la ... corte". Quanto ai greci sudditi veneti, vi vendono "vini et acquevite" e comprano "legumi e risi, zuccheri et pesci salati".
Il C. morì a Venezia il 3 luglio 1639.
Fonti e Bibl.: La relazione, non datata, sul consolato in Egitto e quella sul reggimento di Chioggia del 26 febbr. 1619, in Arch. di Stato di Venezia, Senato. Relazioni, buste 31, 39; le lettere da Chioggia, Ibid., Senato. Lettere rettori. Dogado, filze 4 e 5, e Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere direttori e altre cariche, busta 74, nn. 26-30; Ibid., Avogariadi Comun, 55, c. 61v; 91, c. 72r; per una lite del C., per divisione di beni, con un Cappello Antonio di Marino, Ibid., Avogaria di Comun. Civil, buste 170 n. 10 e 304 n. 6; il testamento, del 4 apr. 1638, dettato al notaio Pietro Perazzo, Ibid., Testamenti, busta 1221/8. Si veda, inoltre, Venezia, Civ. Museo Correr, cod. Cicogna 2656: Reg. di lett. di A. C., console al Cairo; G.Lumbroso, Descrittori italiani dell'Egitto e di Alessandria…, Roma 1879, p. 43; P. Donazzolo, Iviaggiatori veneti minori…, Roma1927, p. 208.