CASARIO, Antonio
Nacque a Cesena in un anno imprecisato della prima metà del sec. XVI, da una famiglia oriunda fiorentina. Non sappiamo nulla della giovinezza, dei suoi studi e dell'ambiente culturale in cui si formò. Tra il 1550 e il 1554 era a Cesena, donde indirizzava una lettera, non datata, a "Mons. Giampietro Ferretto vescovo di Lavello" (gli estremi cronologici dell'episcopato del Ferretti ci inducono ad attribuire l'epistola al quadriennio in questione): con essa il C. inviava al destinatario copia della Tragedia de casu Cesene di Ludovico di ser Romano da Fabriano, narrante il sacco della città - che si era ribellata al dominio pontificio - avvenuto nel 1377 ad opera dei Brettoni guidati dal card. Roberto di Ginevra, ma, ignorandone l'autore, l'attribuiva a Coluccio Salutati (la lettera, in Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini et eccellentissimi ingegni..., Libro terzo, Venezia 1564, cc. 39v-40r, è reperibile anche in altre edizioni della medesima opera).
Il 23 ott. 1551 il C. inviava "di casa nostra" una lettera a don Giacomo Passamonti nella quale, dopo essersi compiaciuto col corrispondente che si era dedicato alla poesia volgare, gli mandava un suo sonetto richiedendone il giudizio ("Tu, ch'al superbo e glorioso monte", conservato anche nel ms. 88 della Biblioteca Carducciana di Bologna; cfr. G. Mazzatinti: Inventario dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, LXII, p. 109; la lettera col sonetto è stampata in Lettere volgari di diversi, cit., c. 39rv).
Il C. dovette lasciare Cesena almeno verso il 1566, quando lo troviamo a Roma, in rapporto con i Manuzio, per conto dei quali vendeva le edizioni, rivedeva alcuni testi classici destinati alla stampa, ricercava materiale letterario ed epigrafico, collaborando in qualche misura al successo commerciale e scientifico degli editori.
Nel maggio del 1567 il C. entrava nella Compagnia di Gesù: per quanto il suo addio al secolo fosse sottolineato dal rogo in cui bruciarono "tutte le sue compositioni e scritti profani", egli non cessò di tenere amichevoli rapporti culturali con Aldo il Giovane, come è sufficientemente documentato dall'epistolario di quest'ultimo. Nel 1572 lo troviamo, gesuita, a Forlì; se si eccettua questa data, ignoriamo i suoi probabili soggiorni e residenze in altri luoghi d'Italia e l'anno della sua morte.
È da escludere che al C. si riferisca la menzione che Massimo Zabrera in una lettera da Roma (24 nov. 1565) ad Aldo il Giovane fa di un Caesarius professore di diritto civile al gymnasium romano (cfr. E. Pastorello, L'epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico 1483-1597, Firenze 1957, p. 229, s.v.; e Id., Inedita Manutiana 1502-1597. App. all'Inventario, Firenze 1960, pp. 252 s., n. 1239). Per tacere che di nessun Casario si trova documentazione nella bibliografia relativa alla Sapienza romana, si osserverà che il vecchio professore di diritto civile non è assolutamente identificabile col C., il quale nel 1566, quando Aldo il Giovane pubblicava l'ampio rifacimento della sua Orthographiae ratio, era da lui chiamato (p. 129)"iuvenis omnis antiquitatis peritissimus". Aldo riconosceva al C. buona cultura e acume critico, dandogli atto di aver rettamente inteso il passo del quinto libro di Strabone dove, per un'erronea separazione di parole, alcuni traducevano "Et Sina" invece di "Caesena"; il C. era pure lodato più avanti (p. 133) da Aldo, il quale emendava (malamente) "Cesanam" nel luogo controverso di Cicerone (Ad fam., XVI, ep. 27, 2)sull'autorità del C. "cuius diligentiam plurimi facio"; al dire del C., citato da Aldo, la lezione accolta si trovava anche nell'incunabolo di Cicerone stampato a Venezia da N. Jenson nel 1475.
Numerosi sono i richiami al C. da parte di Paolo Manuzio nelle lettere al figlio Aldo da Roma (cfr. Lettere di Paolo Manuzio copiate sugli autografi esistenti nella Biblioteca Ambrosiana, a cura di A.-A. Renouard, Parigi 1834, pp. 77 s., 79, 81, 87, 89, 92, 104, 115, 122, 125, 203, 210). Paolo, tra l'altro, gli consegnava un'Orthographia di Aldo, e confessava la difficoltà di vendere le edizioni manuziane, riferiva dell'entrata del C. nell'Ordine dei gesuiti e il proposito di far pervenire ad Aldo alcune sue composizioni, da Paolo giudicate "tutte fatiche puerili et imperfette, da non perderci tempo dentro" (lettera del 3 giugno 1570).
Le cinque lettere che il C. scrisse ad Aldo dal 1556 al 1572(Pastorello, Inedita..., cit., pp. 262 ss., 270 ss., 355-357, 362), in uno stile un po' pedantesco e misto di citazioni latine, ma pur vivo nella serena espressione di stima e di amicizia per il corrispondente, sono le sole composizioni che, oltre alle due lettere al Ferretti e al Passamonti, e al sonetto in lode di Castore Durante, il C. ci ha lasciato.
Informava il suo corrispondente di aver riveduto alcuni autori antichi (Tacito, Apuleio, Velleio Patercolo); gli inviava qualche carme latino (un epigramma dell'Amalteo su Carlo V e un tetrastico in morte di Pier Luigi Farnese); lo ragguagliava sull'attività editoriale a Roma (traduzione in ottava rima dell'Eneide, edizionedall'Iliade: per l'Eneide si veda la traduzione di Castore Durante da Gualdo del sesto libro, pubblicata a Roma da Giulio Bolano degli Accolti nel 1566:cfr. G. Mambelli, Gliannali delle edizioni virgiliane, Firenze 1954, p. 190 n. 783;D. E. Rhodes, La vita e le opere di Castore Durante e della sua famiglia, Viterbo 1968, pp. 17e 59, dove si riferisce che al testo della traduzione in ottava rima segue un sonetto composto in lode del Durante dal C. "Academico Romito", membro cioè dell'accademia fondata a Gualdo Tadino dal Durante); gli riferiva il perdono di Pio V per Giuseppe dal Formaglio, reo di calunnie contro il pontefice; chiedeva notizie sull'ultima edizione della Somma del Navarro in latino o in italiano; lo ringraziava per il dono del Patercolo, del Giornale delle historie del mondo di Ludovico Dolce, uscito postumo a cura di G. Rinaldi, e dell'Esichio, del quale correggeva gli errori di stampa; gli trascriveva un'epigrafe romana collocata "nel muro d'una chiesa detta di San Lorenzo" (San Lorenzo in Noceto) "nel contà di Forlì", "per la quale congietturai che facilmente la tribù Sappinia s'estendesse per questi contorni"; lo pregava di fargli avere una copia "di quell'epitaffio d'un Verardo da Cesena, ch'è nella chiesa delli Cruciferi" (si tratterà di Carlo Verardi cesenate, autore dell'HistoriaBaetica, sepoltonella chiesa di S. Agostino a Roma); lo esortava a dare alla luce "quei Gramatici antichi che havete" e a ripubblicare il Carisio, "che haverebbe spazzo, sì perché non se ne ritrova, sì perché sarebbe delli più emendati".
Tutto questo conferma il vivo interesse del C., anche quando entrò nella Compagnia di Gesù, per l'attività editoriale e la cultura letteraria antica e recente, con importanti presenze romagnole.
Secondo la testimonianza di B. Manzoni, ripresa da D. Vincenzi, il C. "patriae suae Caesenae fragmenta hinc inde excerpta in unum reduxit volumen"; ma nulla sembra sia rimasto di tale opera, risparmiata evidentemente dal rogo cui il C. condannò le sue cose al momento di farsi gesuita. A questa fatica letteraria si riferiva anche Simone Chiaramonti, Cesena trionfante (Cesena 1661, p. 108), là dove riportava il vanto del C. di essere stato "inventore delle prime antichità di Cesena e delle sue più nobili e mirabili prerogative", e aggiungeva che delle ricerche del C. il Brissio si era costantemente servito come di un filo di Arianna per definire intricate questioni storiche relative alla città romagnola (il brano si può leggere anche nella traduzione latina della Cesena trionfante nel Thesaurus del Graevius, VII, 2, Lugduni Batavorum 1722, coll. 62 s.).
Se Paolo Manuzio giudicava limitati e dilettanteschi gli interessi archeologici e letterari del C., è vero d'altra parte che Aldo il Giovane ne apprezzava l'entusiasmo e il fervore culturale che lo portava a trascrivere e a ricercare opere letterarie classiche e moderne, epigrafi, documenti municipali ecc., sì che sfortunati possiamo considerare il rogo delle sue cose e la perdita, forse non definitiva, del volume di argomento cesenate.
Fonti e Bibl.: Cesena, Bibl. Malatest., ms. 164, 36: D. Vincenzi (De Vincentiis), Bibl. Caesenatensis ill. script. sive elogia vir. illorum qui Caesenam eorum patriam doctrina, consilio et scriptis illustrarunt (1785), s. v. Antonius; Ibid., ms. 164, 34: A. Andreini, Notizie delle fam. illustri di Cesena, II, pp. 319-320, s.v. Casarii; C. Brissio, Relat. dell'antica e nobile città di Cesena... alla Santità di N.S. Clemente VIII, Ferrara 1598, pp. 23, 36 (l'opera del Brissio, nella trad. latina di F. M. Faccini e con note di E. Dandini, fu pubblicata in I. G. Graevius, Thes. antiq. et histor. Italiae, IX, 8, Lugduni Batavorum 1723); B. Manzoni, Caesenae chronologia, Pisa 1643, pp. 124 s., 214; G. Schizzerotto, Teatro e cultura in Romagna dal Medioevo al Rinascimento, Ravenna 1969, p. 24.