CELEGA (Celica, Zelega), Antonio
Figlio di un maestro falegname Odorico e originario di Spilimbergo, il C., "Antonius... murarius", è documentato, per la prima volta, il 14 giugno 1446 abitante a Venezia in "confinio sancti Angeli": nella circostanza, provvede a stipulare la "cartam securitatis", per i 10 ducati d'oro della dote della moglie "Madalutia", figlia del "quondam domini Alexandri de Lischa Veronensis" (Paoletti, p. 116). Il legame coniugale, che lo imparenta con una famiglia importante del ceto aristocratico di Verona, e la somma impegnata provano una condizione sociale e professionale abbastanza prestigiosa, confermata da un successivo documento del 7 ottobre dell'anno 1461 (ibid.) nel quale si trova attestato "magister Antonius Celica quondam ser Oderici carpentarius" nel ruolo di "prothomagister procuratie sancti Marci"; ed è probabile che alla carica fosse stato chiamato all'indomani della morte del parente Iacopo Celega, che l'aveva in precedenza tenuta; e che aveva perso la vita intorno al 1451. Il 13 genn. 1463, un maestro Paolo "marangonus et carpentarius" elegge, tra i propri esecutori testamentari "magistrum Antonium prothomagistrum" (Arch. di Stato di Venezia, Notarile, not. Donato Natali, Testamenti, b. 725), che, poco più di tre anni appresso, il 22 nov. 1466, ormai insediatosi in "confinio sancti Ieminiani", continua a essere documentato proto di S. Marco. Doveva, tuttavia, avere una propria bottega se, il 2 dic. 1469, constatiamo la registrazione, in un rogito per questioni di liquidazione salariale, di un Luca de Signia fu Giovanni, suo garzone (Paoletti, 1891, p. 117).
Della sua attività, che pur dovette esser stata intensa e che certamente dovette improntare episodi non irrilevanti della produzione edilizia residenziale assai fervida a Venezia nella seconda metà del Quattrocento, non esiste traccia che sia, oggi, riconoscibile; v'è, comunque, ragione di credere che, sul piano del gusto e dello stile, essa si ispirasse a un universo culturale "conservatore" e di vocazione tardogotica, piuttosto che alle proposte innovatrici delle botteghe del Codussi o di Pietro Lombardo.
Del lungo impegno di salvaguardia e custodia della basilica marciana esplicato dal C. resta un solo documento del 19 luglio 1470; egli si presentava a deporre davanti ai procuratori insieme con altri cinque esperti, maestri murari e tagliapietra, due dei quali egli stesso, in quanto proto, aveva convocato; e il suo giudizio, pronunciato a sintesi dei precedenti, suona insieme drammatico e lucido per la valutazione del danno e del restauro contestuale alla realtà complessiva dello spazio del tempio: "Mi Antonio Zelega prothomaistro de la vostra chiexia. Digo el mio parer esser questo del volto della chiexia de missier San Marcho sopra la croxe: ha di bisogno di esser reparado al più presto che si puol, perché el minaza gran ruina in la chiexia per quello" (Documenti per la storia..., dell'augusta... Basilica di S. Marco..., VII,Venezia 1886, p. 214, doc. 849).
Nominato ancora nel 1475 nei documenti pubblicati dal Paoletti (p. 117), il C. morì in data da fissare poco prima del 24 genn. 1489, allorché il figlio Bernardino riscosse dai procuratori di S. Marco il resto del salario che il padre defunto aveva maturato, e che gli era dovuto (Paoletti, p. 118).
Fonti e Bibl.: P. Paoletti, L'archit. e la scultura del Rinascimento in Venezia, Venezia 1893, pp. 116 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 264.