Cesari, Antonio
, L'esegesi dantesca del C. (Verona 1760 - Ravenna 1828) s'inserisce in quel più vasto disegno di restauro linguistico cui mirava il suo programma purista. Pubblicata infatti l'edizione veronese della Crusca (1806), il C. sentì il bisogno di illustrare e documentare sui testi quel concetto di eccellenza, di grazia, di armonia che nulla più che la " pratica e scienza del bello scrivere " in uso nel nostro Trecento poteva suggerire, contro le corruzioni e le goffaggini settecentesche. Il Vocabolario aveva, per dir così, offerto un inventario o un riassunto: occorreva adesso venire alla prassi della " lingua elegante ", coglierne i segreti nei nessi che nei grandi scrittori, a cominciare da D., legavano fiore con fiore di lingua. Nacque così nel C. l'idea di una vasta enciclopedia estetizzante, che ebbe forma concreta in due dialoghi, Le Grazie (1813) e le Bellezze della D. C. (1824-26), pubblicati a Verona.
Nel primo dialogo, che prende l'allusivo titolo da una cappella roveretana presso cui si ritrovano a pacato colloquio cinque letterati, il fatto linguistico viene presentato come oggetto di puro edonismo, elemento di natura da assaporare per gli stimoli squisiti che produce: non per nulla il luogo dantesco più celebrato dal primo degl'interlocutori (l'abate Giuseppe Pederzani) è la descrizione della valletta fiorita di Pg VII. Nel secondo, cui partecipano Giuseppe Torelli, Agostino Zeviani e Filippo Rosa Morando, la poesia della Commedia è sottoposta a una minuziosa analisi formalistica che ne distilla squisitezze e peregrine eleganze, in ideale contrapposizione alle postille limitative del Venturi e alla nota svalutazione del Bettinelli. Pertanto le Bellezze si giustificano storicamente in un clima ancora settecentesco, e la lode del frammento si contrappone a chi aveva altezzosamente frantumato il poema.
Per la scelta del testo, il C. si attiene all'edizione padovana del 1822, integrandola con il codice Bartoliniano pubblicato dal Viviani a Udine (1823), con un codice mantovano prestatogli dal Marchese Capilupi, e con il " Dante di Roveta ", tratto dal Fantoni da una copia a mano del Boccaccio: " Dietro il lume di tali scorte ho creduto di andare sicuramente, eleggendo tuttavia fra le migliori lezioni quella che l'ottima m'era sembrata ". Criterio, dunque, di mero gusto, rispondente alla forma mentale del C. estranea a qualunque problematica storica; e ovviamente di gusto, benché raffinatissimo e talora scaltramente selettivo, sono le postille al testo. Si tratta di una perpetua didascalia, dilungata per oltre mille pagine, in cui a ogni passo vengono messi in rilievo il " colore ", la " forza ", il " pennelleggiar risentito ", il " vivo acume ", la " proprietà ed evidenza ", il " nerbo e le delizie " dell'espressione dantesca. Doti che non vennero a D. da studio di rettorica, ma da quella " divina naturalezza " che gli era dettata dalla lingua del tempo (l'aureo Trecento) e dalla forza dell'ingegno.
Una critica così palesemente classicheggiante e bembesca in piena età romantica non poteva non suscitare opposizioni, che cominciarono nello stesso ambito puristico e si dilungarono fino alla stroncatura del De Sanctis. Oggi siamo assai più disposti a valutare, con i limiti evidentissimi, la positiva funzione storica del commento cesariano. Prima di tutto, le bellezze non sono in esso fiori sparsi da cogliere, ma segni di una forza fantastica e morale sparsa e come liquefatta per tutto il poema, di cui viene implicitamente rivendicata l'unità; in secondo luogo, l'entusiasmo per tanta grandezza ritrovata comportava un appello alla nobiltà di una tradizione nazionale, da ricomporsi nel culto della lingua. La grandezza morale del poeta e il prestigio della lingua, appassionatamente rivendicati dal C., aprono la via all'ipostasi risorgimentale di D., da cui i suoi criteri edificanti e apologetici sono in apparenza tanto remoti.
Bibl. - Per il testo delle Bellezze, si può confrontare l'edizione veronese del 1824-26 in 3 voll. con quella milanese del 1845, in 4 voll.; ma sarà istruttivo un esame del volume di G. Guidetti, Scritti danteschi bibliografici e filologici, Reggio Emilia 1917, che raccoglie i contributi danteschi del C. anteriori alle Bellezze, nonché i suoi giudizi su commentatori sette-ottocenteschi: Lombardi, Viviani, Biagioli, Foscolo, Troya. Vedi ancora: C. Bresciani, Elogio di A.C., Verona 1828; B. Sorio, Bibliografia cesariana, ibid. 1857; F. Bonci, A.C. precursore degli irredentisti, Pesaro 1893; G. Boine, Il purismo, in " La Voce " 8 agosto 1912; E. Pecciarini, A.C. autore delle " Giunte veronesi " e delle " Bellezze della D.C. ", Firenze 1912; G. Mazzoni, Sopra le " Bellezze della D.C. ", in D. e Verona, Verona 1921; A. Baccelli, Il padre C. e la lingua italiana, in " Rivista d'Italia " agosto 1928; L. Falchi, A.C. cent'anni dopo la sua morte, in " Giorn. stor. " XCIV (1929) 105 ss.; F. Flora, Storia della letteratura italiana, Milano-Verona 1941, II 110-115; A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, 51-63.