CIPOLLA, Antonio
Nacque in Napoli il 4 febbr. 1820, figlio di Nicola e di Maria Sorgente. Dopo aver atteso ai primi studi nella città natale discepolo di E. Alvino completò la sua formazione di architetto a Roma, dove giunse intorno al 1845 come pensionato dell'Accademia di Belle Arti di Napoli (C. Lorenzetti, L'Accademia di Belle Arti di Napoli, Firenze 1952, pp. 332, 324).
Nel 1848 partecipò alla prima guerra d'indipendenza combattendo con le truppe napoletane nel Veneto.
Agli anni 1852-54 risale la sua prima opera di una certa importanza: il rifacimento - per incarico del re di Napoli Ferdinando II e per sollecitudine di mons. L. Lancellotti - della chiesa di S. Spirito dei Napoletani nel tratto centrale della romana via Giulia.
Il C. trasformò l'interno, arretrando di sei metri il muro di fondo ed eliminando la tribuna eretta da C. Fontana nel primi anni del sec. XVIII; realizzò anche la nuova facciata su schema compositivo a due ordini riecheggiante esitanti stilemi del protorinascimento romano, volutamente scelti come espressioni architettoniche arcaizzanti (L. Lancellotti, La regia chiesa dello Spirito Santo..., Napoli 1868, pp. 44 s.;F. Gasparoni, Lettere romane..., Roma 1854, pp. 1-22; P. Pecchiai, La chiesa..., Roma 1951, pp. 72, 97 s., 116 s.; Via Giulia, Roma 1971, adIndicem).
Quando palazzo Famese fu destinato ad accogliere l'esule re Francesco II, al C. furono affidati dei rapidi restauri (1860-1863). Una firma e la data agli affreschi del primo piano indicano che il C. ne fu l'ideatore (Ecole française de Rome, Le palais Farnèse..., II, Planches, Rome 1980, tav. 265, fot. 264, p. 265).
I restauri del C. interessarono parti dell'interno e la loggia con balaustra in manno sopra il portone principale. L'onnipresente osservatore della Roma di Pio IX F. Gasparoni (Di tre architetti ristauratori, in Arti e lettere, scritti raccolti da..., I, Roma 1863, I, pp. 380s.), lodando l'intervento, sottolineava "il bello e onesto operare del Cipolla".
Più o meno dello stesso, periodo sono alcuni interventi minori in due chiese romane: intorno al 1857 il C. disegnò il Monumento funebre al medico e filosofo Francesco Orioli (morto nel 1856) posto sul lato sinistro della porta della sagrestia di S. Rocco all'Augusteo (L. Salerno-G. Spagnesi, S. Rocco..., Roma 1962, p. 58) e nella chiesa della Maddalena progettò il rifacimento della cappella di S. Francesco di Paola, con i due Monumenti fugebri parietali di Agostino e Antonia Reth Picci, ambedue con ritratti a medaglioni su fondo musivo. L'intervento del C. venne compiuto dal 1867 al 1870 (il disegno n. 3022 del Fondo Cipolla all'Accademia di S. Luca è da identificarsi col monumento di Agostino Rem Picci: si veda anche Il Buonarroti, III[1868], pp. 192 s.; G. Galassi Paluzzi, in Roma, IV[1926], p. 181). Nell'opera il C. fu affiancato dallo "scultore d'ornato" G. Palombini.
Il tema del monumento funebre o commemorativo ricorre spesso in disegni appartenenti al Fondo Cipolla di S. Luca; fra gli altri, un apparato funebre per Ferdinando II delle Due Sicilie (morto nel 1859), disegno n. 3019, e un monumento ai fratelli Bandiera, p. 3015 e n. 3016. Inoltre, sempre per rimanere nel tema, nel cimitero della certosa a Bologna il C. realizzò il monumento Mazzacurati e quello del principe T. Galitzin (1853) e la cella Silvani, nell'aula del Colombario, con il bel busto di Antonio Silvani scolpito da P. Tenerani. Per la stessa famiglia e sempre a Bologna, il C. costruì i palazzi Silvani fra piazza Cavour e piazza S. Domenico; accanto a questi eresse anche la sua maggior opera bolognese, il maestoso palazzo della Banca nazionale, poi Banca d'Italia, in uno stile ispirato al primo Rinascimento (1862-65). Inoltre il C. redasse per conto della Banca nazionale e del conte E. Grabinski un piano stradale per via S. Domenico.
Sempre nel campo dell'edilizia per i grandi istituti bancari ed in pieno clima architettonico del primo decennio dell'Unità, il C. proiettò due opere fra le sue maggiori: la Banca nazionale, poi Banca d'Italia a Firenze e il palazzo della Cassa di risparmio in Roma.
La Banca d'Italia era terminata nell'autunno del 1869, almeno in gran parte (una descrizione contemporanea in L'Italia alla Esp. univ. ..., 1867, pp.. 229 s.). Il palazzo, che fu detto il "più cospicuo eretto in Firenze nel nostro secolo" (P. Franceschini, Il palazzo della Banca nazionale italiana in Firenze, in Il Nuovo Osservatore fiorentino, 14 marzo 1886, pp. 255 s.), sorse in un'area già occupata dal palazzo e dal giardino dei Pazzi. Per il principale istituto di emissione della seconda capitale dei Regno d'Italia, il C. scelse un linguaggio aulico, frutto della manipolazione di motivi raffaelleschi del fiorentino palazzo Pandolfini, che è particolarmente evidente nella base con rivestimento in macigno a bozze a baule che si innalza fino al primo piano. Le porte della facciata principale furono arricchite nelle lunette e nei frontespizi orizzontali da bassorilievi con stemmi e putti, eseguiti dal rinomato scultore fiesolano G. Bastianini. Più riuscite dell'esterno, che non supera un mediocre livello di gusto corrente, sono alcune parti interne, quali il vestibolo, il salone del pubblico con copertura a cristalli, la sala del Consiglio e la scala "girata a pozzo", quest'ultima sovrastata da una cupola vetrata (per una critica molto negativa sull'edificio, vedi A. Cecioni, Esser celebri vuol dir esser mediocri, in Il Giornale artistico 6 ott. 1871, p. 115).
La vicenda dell'edificazione della Cassa di risparmio di Roma, che può dirsi l'uffinio edificio della Roma pontificia e il primo della Roma italiana, ebbe inizio nel 1862, allorché fu acquistato il palazzo Jacovacci in piazza Sciarra allo scopo di demolirlo per creare l'area destinata alla sede dell'istituto di credito. Nel 1864 il C. risultò vincitore del concorso indetto all'uopo e si ebbe il premio di. 1.000 scudi; nove furono i progetti presentati e fra gli altri concorrenti figura:no i nomi degli architetti Luigi Gabet, Giulio Podesti ed Agostino Mercandetti. La liberazione dell'area fu però iniziata solamente nel 1868 e la prima pietra fu posta nel 1869, L'edificio fu inaugurato il 29 nov. 1874, più di quattro mesi dopo la morte del Cipolla. Già nell'ottobre del 1872 il prospetto sulla via del Corso, di fronte al palazzo Sciarra, appariva compiuto. P. Bonelli (Il nuovo palazzo della Cassa di risparmio di Roma, in Il Buonarroti, VII [1872] pp. 378-381) descrive dettagliatamente l'opera del C. rilevandone la "soverchia ripetizione degli archi in pressoché tutti i vani delle finestre, abuso che rende un po' monotono l'edificio..." e l'imbasamento a bozze troppo risentite in netta disarmonia col resto della facciata, "laonde è forza conchiudere che il nuovo palazzo in Piazza Sciarra non si deve ritenere per la migliore delle sue opere. s.
Nell'edificio del C. il modello del palazzo gentilizio appare ormai mercificato nell'indifferenza della città ottocentesca e si presenta valido per tanti usi. Stilemi fiorentini, sangalleschi e perfino sarimicheliani vengono assemblati dopo manipolazioni più o meno pesanti.
Più riusciti gli interni: la sala del consiglio e la sala dei marmi, con decorazioni di C. Barilli, D. Bruschi e D. Natali e dello scultore O. Garofoli. Restauri del 1933 hanno portato a rimaneggiare profondamente gli interni, distruggendo fra l'altro lo scalone (vedi anche U. Barberini, in Via del Corso, Roma 1901, pp. 213-218).
Sempre negli anni del settimo decennio del secolo, il C. prese parte al più controverso concorso di architettura dell'Italia unita: quello per la nuova facciata della cattedrale fiorentina di S. Maria del Fiore.
Nel concorso di secondo grado del 1865 ad inviti, oltre che ai tre prescelti nella competizione del 1862, C. Ceppi, M. Falcini, e il danese W. Petersen, la partecipazione fu estesa al C., ad E. De Fabris e ai sei membri della prima commissione giudicatrice A. Antonelli, E. Alvino, G. Baccani, C. Boito, F. Lodi e A. Scala. Il C. fu strenuo sostenitore delle proposte di soluzione "basilicale", ché la divisione fra partigiani del sistema tricuspidale e del sistema basilicale per il coronamento della chiesa aveva ormai assunto i toni di una controversia molto aspra e apparentemente non risolvibile.
Il progetto del C. del 1865 fu caldeggiato da G. Semper (1867) che lo disse "in complesso un gran bel lavoro... raffinato, ed elegante".
In Intorno alla facciata di S. Maria del Fiore. Lettera... al chiarissimo signor P. Donna, Firenze, 12 luglio 1867 (in precedenza pubblicata sul n. 200 della Nazione dello stesso anno), il C. stesso, narrando alcune significative vicende in margine alla sua partecipazione al concorso, esprimeva anche le sue concezioni in merito a temi più generali. "Il bello in arte vuolsi considerare non in forma assoluta e quasi astratta, ma in una situazione pratica e perfettamente relativa. È sempre quella benedetta armonia di tutte le parti fra loro, è quella corrispondenza delle parti al tutto che opera la magia. Se ciò non fosse, l'accozzo il più inintelligente, e la ripetizione la più inconsulta dei grandi esemplari porterebbe per caso frutti, da risultare quasi uguali a quelli dell'arte più sapientemente coltivata. Nella stazionarietà di forme sempre applicabili si renderebbe possibile anche al manovalismo di accampare titoli e pretensioni, e di partire la gloria coi primi maestri".
"La ricchezza dei partiti è ciò che ha dato la corona ai nostri padri, ed è ciò appunto che all'architettura italiana ha fatto vincere la prova sulla greca e sulla teutonica, le quali hanno grido molto chiaro e famoso, ma pur sono più strettamente obbligate a ripetersi (pp. 6 s.).
E ancora: "Il legamento del vecchio col nuovo, avvertenza principale degli artisti che in questo tempio faticarono, arduo scopo al quale essi costantemente ed abitualmente attesero, non potrà essere trascurato da chi avrà l'onore di compier l'opera. È daltissima importanza, che quel che oggi si crea, anziché accrescersi ad armonia, non s'aggiunga a discordia, quasiché il nuovo col vecchio, piuttosto che seguitare a conciliarsi fra loro, abbiano d'ora innanzi ad azzuffarsi insieme, e a vituperarsi a vicenda" (pp. 7 s.).
Negli anni di attività in Firenze capitale il C. ebbe occasione di muoversi in ambienti molto vicini alla corte sabauda (aveva fra l'altro eretto un ponte sull'Amo in ocoasione dei festeggiamenti per le nozze di Umberto e Margherita di Savoia nel 1868), tanto da godere "la stima e raffetto del Re" (De Cesare, necr., 1874). Dopo il trasporto della capitale a Roma, per soddisfare le istanze private e "borghesi" del re Vittorio Emanuele II, il C. realizzò il "villino del re" al Castro Pretorio, dove poi abitò Ismail Pascià e che in seguito fu occupato dalla legazione di Turchia. Il C., nel quadro generale degli interventi di ammodernamento e di adattamento del palazzo del Quirinale a residenza reale diretti dal 1871 al 1874-1875 dall'architetto G. Petagna dell'ufficio tecnico della Real Casa, curò, da propri disegni, i lavori di adattamento della palazzina del segretario della Cifra, detta anche del Fuga, ad abitazione privata di Vittorio Emanuele II (che non vi abitò mai).
I lavori diretti dal C. interessarono l'interno; essi consistettero nel rifacimento di uno scalone marmoreo, nella creazione dell'appartamento reale, al primo piano, con una suite di stanze decorate con pitture di C. Barilli, D. Bruschi e D. Natali e completate da soffitti neocinquecenteschi disegnati dal C. ed intagliati a cassettoni da L. Seri, "La palazzina così rifatta... aveva aspetto comodo e gaio" (U. Pesci, I primi anni di Roma capitale [1907], Roma 1971, p. 68). Il C. intervenne anche nell'adiacente "manica lunga".
Sempre per la reggia sabauda, il C. suggerì di costruire "nel giardino dalla parte opposta alla facciata del palazzo, una grande sala da ballo" (Pesci, cit.), proposta che fortunatamente non ebbe seguito. Decisamente più felici il progetto e la realizzazione delle reali scuderie da tiro, forse la sua opera migliore., risolte orlando con un edificio a mo' di muraglione continuo su scarpa il perimetro nordoccidentale del giardino del Quirinale alla quota del cortile della Panetteria. È chiaro che il C. in temi non direttamente rappresentativi si muoveva con maggiore scioltezza.
Il clima dei primissimi anni di Roma capitale, che furono altresì gli ultimi quattro della sua esistenza, coinvolse il C. in numerose presenze politiche, culturali e tecniche: fu presente, infatti, nel primo Consiglio comunale capitolino assieme agli architetti P. Camporese il giovane, G. Angelini e A. Mercandetti; fu inoltre insegnante "agli architetti i e "prof. reggente di geometria prospettiva e architettura" all'istituto di belle arti a Ripetta, dove alla sua morte lasciò strascichi di polemiche. Fece anche parte del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica.
Il C. partecipò attivamente ai dibattiti sullo scottante'problema dell'espansione urbana della nuova capitale dal 1870 al 1874, Fin dal 30sett. 1870, all'indomani della presa di Roma, il C. faceva parte della commissione di undici membri, presieduta da P. Camporese, per "studiare l'ingrandimento e abbellimento di Roma, e specialmente il progetto di costruzione di nuovi quartieri in quella parte che maggiormente si presta alle nuove edificazioni" (Roma, Archivio Capitolino, Giunta di governo, fasc. 7, Progetti di ingrandimento)nel periodo della Giunta di governo insediata dal Cadoma il 23 settembre 1870 e presieduta da M. Caetani. Nell'aprile del 1871, alla fine dei lavori della commissione degli undici, nella relazione Camporese si affermò la necessità dell'espansione nella direttrice dei quartieri alti Viminale, Esquilino, Macao.
Interessante a questo proposito la Pianta altimetrica indicante il progetto per l'apertura e sistemazione delle vie e piazze d'accesso alla Stazione Centrale di Roma (Roma, Acc. di S. Luca Fondo Cipolla, planimetria, dis, n. 3034), redatta dal C. quasi in alternativa al contemporaneo disegno del Camporese per l'Esquilino.
Il disegno del C. interessava ún'ampia area che travalicava di molto i confini déll'Esquilino e organizzava in primo luogo tutta la zona dove si stava terminando la nuova stazione Termini su progetto di S. Bianchi.
Un grande asse viario con alberature avrebbe dovuto congiungere porta Pia con la stazione, dove si interrompeva per poi continuare con lo stesso allineamento e raggiungere una piazza da crearsi in prossimità della chiesa di S. Clemente sull'odierna via Labicana; tale idea raccoglieva una proposta del ministero dei Lavori Pubblici pontificiò per una strada da porta Pia alla piazza di S. Maria Maggiore.
Una grande piazza rettangolare allungata doveva poi occupare l'area di quella che, sarebbe divenuta la piazza delle Terme o dell'Esedra (ora piazza della Repubblica).
In breve volgerdi tempo però il C. fu conquistato dalle istanze di gruppi privati, costituitisi in consorzio; di tali istanze egli divenne portavoce redigendo il progetto per l'urbanizzazione dei Prati di Castello, sulla riva destra del Tevere, che fu presentato al Consiglio comunale il 26 giugno 1872.
Il piano del C. fu discusso nel Consiglio comunale il 13luglio dello stesso anno. Il disegno Progetto di un nuovo quartiere da costruirsi nei prati detti di Castello (Roma, Arch. Capit., Fondo Tit. 54, a. 1872, b. 45.001/50.000) interessava 46 ettari e avrebbe Ospitato 30.000 abitanti. I proprietari di aree in Prati, fautori dell'iniziativa, si erano oculatamente indirizzati al C., che assicurava una forte copertura; egli era membro del Consiglio comunale e persona molto vicina ad A. Viviani, capo dell'ufficio tecnico dei comune e autore del primo schema di piano regolatore per la capitale. Il disegno del C. per i Prati era basato su un grande asse viario da piazza del Popolo a S. Pietro sul quale si attestava un tessuto urbano con piazze circolari o di varia forma; il tutto arieggiava sistemazioni parigine che il C. poté conoscere direttamente in occasione dell'Esposizione universale del 1867, La proposta C. non ebbe seguito, giacché l'espansione in Prati fu stralciata dal piano del 1873.Negli ultimi mesi di attività il C. stava lavorando inoltre al progetto di un teatro ai Prati di Castello sulle dimensioni dell'Opera di Parigi.
La costruzione della chiesa anglicana della Trinità fu l'ultima opera quasi per intero condotta a termine dal C.; essa sorgeva sulla piazza S. Silvestro in Roma e fu demolita nel 1941 per lavori di allargamento della piazza stessa.
Il C. progettò (1872) una chiesa a navata unica con arco e abside, e tribuna sull'ingresso; un soffitto cassettonato e un rivestimento parietale ad imitazione di tappezzerie a cuoio impresso completavano l'interno. Lo stile adottato arieggiava stancamente suggestioni bramantesche (G. B. C. [Comencini], La nuova chiesa evangelica anglicana in Roma, in L'Illustrazione universale, 21 marzo 1875, pp. 207 s.).
In due occasioni poi il C. dimostrò notevoli capacità di organizzatore, allorché con molto impegno sostenne il ruolo di ordinatore e progettista della sezione italiana all'Esposizione universale di Parigi del 1867 e di "commissario ordinatore" e membro della giuria italiana in quella di Vienna nel giugno del 1873 nel parco del Prater.
Nell'esposizione parigina al Campo di Marte, il C., "incaricato di foggiare ed ornare la parete principale del settore italiano, si attenne acconciamente alle forme ed allo stile che dicono bramantesco" (F. Dall'Ongaro, L'arte italiana a Parigi nell'Esposizione universale del 1867, Ricordi, Firenze 1869, p. 13: il modello è conservato a Roma in casa D'Amico). Per questa debolissima prestazione il C. si avvalse dell'opera dei decoratori fiorentini fratelli Grassi. Comunque la partecipazione all'esposizione del '67 fu molto importante per il C., giacché egli venne a contatto col clima stimolante delle grandi trasformazioni urbanistiche della papitale francese durante il secondo Impero sotto le direttive del prefetto G. E. Haussmann. In quella occasione i due si dovettero conoscere; non è forse un caso che il barone Haussmann sostenesse, con articoli del 1871 l'urbanizzazione della zona dei Prati di Castello, per la quale il C. aveva steso il progetto del 1872. "A Vienna egli si moltiplicò; fece tutto, non ebbe un istante di quiete, e allora fu contento quando a lui le cose parvero ordinate bene" (De Cesare, necr., 1874). All'esposizione viennese del '73 (sulla quale si veda L'Esposizione universale, Milano 1873; Album dell'Esposiz. univ. ..., ibid. 1874; L. Bizzarri-M. Petrilli, Relaz. sull'Esposiz. univ. di Vienna, Roma 1875), consegui una "medaglia per l'arte". I comportamenti e l'operato del C. a Vienna sollevarono però anche dissensi: fu infatti duramente e ripetutamente attaccato sulle pagine de Il Giornale artistico, ilpolemico foglio fiorentino dei macchiaiuoli. Nel giugno del 1813 come giurato per l'architettura al C. subentrò C. Boito.
Il C., accademico di merito, dal 24 maggio 1867, lasciò all'Accademia di S. Luca di Roma un cospicuo numero dei suoi progetti e disegni: il Fondo Cipolla (P. Marconi-A. Cipriani-E. Valeriani, I disegni di architettura dell'Archivio storico dell'Accademia di San Luca, Roma 1974, II, figg. 2978-3077) testimonia, insieme con un'altra serie di disegni, progetti e documenti nella collezione D'Amico di Roma, della varia e ampia attività dell'architetto.
A S. Luca, particolarmente numerosa è la serie di disegni per progetti di stazioni e manufatzi ferroviari, sia per la Société générale des chemins de fer romains, sia per altri tronchi delle ferrovie pontificie e per altre reti nell'Italia settentrionale. In questi disegni del C. ben poco o quasi nulla è colto dei motivi stimolanti e innovatori contenuti nel tema dell'edilizia ferroviaria; stazioni e opere d'arte vengono stancamente rivestite con un linguaggio anonimo e imprecisato, quando altrove e per altri i medesimi temi erano occasione per cimentarsi con i requisiti di nuove funzioni e tecnologie. Il progetto del C. per la stazione Termini di Roma, fiacco e convenzionale, indica la refrattarietà dell'architetto napoletano alle innovazioni. Degli altri progetti per stazioni ferroviarie si ricordano quelli per Albano, Alessandria, Bologna, Macerata, Perugia e Velletri.
Numerosi progetti del fondo citato sono su temi vari: tra l'altro, casino York a Frascati, n. 2978-82; "projet pour une maison de campagne pour Mr. Heredia", n. 2994-3000; villino Scaramanga-Rodocanachi a Livorno, n. 2994-3001; "pubblica Pescheria in Imola", n. 3002-3006 (per la stessa città romagnola il C. aveva costruito il manicomio e secondo il Lavagnino [1956, p. 510] anche il municipio); vari monumenti funebri oltre a quelli citati.
"Uomo giusto, di svelto e arguto ingegno, egli aveva tutte le buone qualità del meridionale, senza averne i difetti" (De Cesare, necr., 1874). Straordinariamente attivo. la sua casa romana era aperta a tutti. Egli scoprì il pittore Bernardo Celentano che morì proprio in casa sua nel 1863. Nello stesso anno il C. aveva fatto un progetto per il monumento a.Cavour a Torino: i disegni per le statue erano stati curati dal Celentano. In un primo momento fu prescelto il bozzetto del C., ma poi gli fu preferito quello dei Duprè (Boito). Anche il pittore Michele Cammarano godette la sua stima.
Il C. "era una delle illustrazioni del nostro paese. Lavorava per conto d'italiani e stranieri. Dalla Spagna e dall'America, gli erano commessi lavori di architettura" (De Cesare, cit.: allo stato attuale non risultano questi lavori oltre oceano). L'elenco dei volumi della biblioteca del C., tra le carte D'Amico, testimonia della informazione aggiornata del suo possessore.
Morì a Roma in via Quattro Fontane, n. 66, la mattina del 15 luglio 1874 e fu sepolto poi nella cella Cipolla del cimitero nuovo di Napoli il 10 genn. 1875 (M. Piccolo, Cenni sul cimitero..., Napoli 1881, pp. 18, 54).
Fonti E Bibl.: Roma, Arch. stor. dell'Acc. di S. Luca, Fondo Cipolla;Ibid., vol. 127, nn. 53, 57; 136, n. 142; 146, n. 41; 178, n. 191; necrologi, in Nuova Illustrazione univ., I(1874), nn. 37-38, p. 77 (con citazioni di R. De Cesare), e di B. Magni, Prose d'arte, Roma 1875, pp. 163 s.; G. Semper, Zur florentiner Domfaçade..., in Zeitschrift fürbildende Kunst, II(1867), suppl., 19, pp. 166-168; 21, pp. 173 s.; Korrespondenz, ibid., V(1870), suppl., 17, pp. 144-146; L'Italia all'Esposiz. univ. di Parigi..., s. I. 1867, pp. 19-23, 229 s.; L. Setticelli, Sguardo stor. sulla facciata del duomo di Firenze..., Firenze 1872, pp. 67 s. e passim; Il Giornale artistico, Firenze 1873-74, (v. Indice nella ristampa anastatica, Firenze s. d.); C. Boito, Rass. art. Due archit. milanesi morti e il C., in Nuova Antologia, agosto 1874, pp. 1029 s.; B. Capogrossi Guarna, I prati di Castel S. Angelo, in Il Buonarroti, XIII(1879), pp. 261-270; L. Setticelli, Le facciate di S. Maria del Fiore..., Firenze 18 83, pp. 32 s. e passim; Giovanni Semper, La facciata del duomo di Firenze, in Arte e storia, III(1884), pp. 82 s.; P. Franceschini, Il fastigio della facciata, in Il Nuovo Osservatore fiorentino, 6 dic. 1885, p. 195; C. Ricci, Bologna e i bolognesi, Bologna 1889, p. 30; E. Perodi, Roma italiana 1870-1895 [1896], Roma 1980, pp. 197, 198; E. Lavagnino, L'arte moderna dai neoclassici..., Torino 1956, ad Indicem; C. L. V. Meeks, Italian Architect. 1750-1914, New Haven-London 1966, pp. 225, 227; A. M. Fortuna, Il Gazzettino delle arti del disegno di D. Martelli, Firenze 1968, ad Ind.; La terza Roma, Roma 1971, pp. 18, 151, 220, 312, 332 s.; F. Borsi, Il pal. del Quirinale, Roma 1973, pp. 173-183 passim; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 1974, pp. 80, 91 s., 98 n. 102; G. Spagnesi, in L'Esquilino e la piazza Vittorio..., Roma 1974, pp. 32 s.; 48; Id., Edilizia romana nella seconda metà del XIX secolo, Roma 1974, ad Indicem;Id., L'architettura a Roma al tempo di Pio IX (1830-1870), Pomezia 1976, ad Ind.;S. Kostof, The drafting of a master plan for Roma capitale: an exordium, in Journal of the Soc. of Archit. Historians, XXV(1976), pp. 14, 16; G. Spagnesi, L'archit. a Roma al tempo di Pio IX (catalogo), Roma 1978, pp. 20 s., 61 s., 70 s.; E. Gottarelli, Urbanistica e architettura a Bologna agli esordi dell'Unità, Bologna 1978, ad Indicem; A. M. Racheli, Sintesi delle vicende urbanistiche di Roma dal 1870 al 1911, Roma 1979, pp. 12, 14; V. Vannelli, Econ. dell'archit. in Roma liberale, Roma 1979, pp. 30, 39, 41, 90; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 6; Diz. delRisorg. naz., II, p. 698; Encicl. Ital., X, p. 386; Dizion. encicl. di archit. e urbanistica, II, Roma 1968, p. 5.