COLOMBELLA, Antonio (Antonio da Recanati)
Nacque a Recanati, probabilmente nell'ultimo decennio del sec. XIV.
Il C., che fu teologo agostiniano e vescovo di Senigallia, è chiamato concordemente dalle fonti Antonio da Recanati; non deve essere confuso con l'omonimo agostiniano Antonio da Recanati, vissuto circa quarant'anni prima.
Prese l'abito degli agostiniani probabilmente nel convento della città natale. Dopo aver studiato in alcuni conventi italiani - sappiamo che abitò per un certo tempo in quello fiorentino di S. Spirito -, nel 1419 fu mandato come lettore presso lo Studio generale agostiniano di Parigi per laurearsi in teologia. La sua carriera universitaria fu messa in forse dalla sua attivissima partecipazione alla ribellione del convento contro il vicario inviato dal priore generale, cosa che gli valse una durissima reprimenda da parte di quest'ultimo (1422); ma nel 1423 il C. fu perdonato e gli fu concesso di proseguire gli studi. Nel 1424, alla Sorbona, ottenne la licenza, e nel 1425 il suo nome compare nella lista dei maestri reggenti di quell'università.
Nel 1429 alcuni suoi concittadini posero la candidatura del C. a vescovo di Recanati; ma, considerando che non tutti erano concordi sull'elezione - altri preferivano il vescovo di Ancona e futuro cardinale Astorgio Agnesi -, Martino V preferì respingere entrambe le candidature e nominare un amministratore apostolico della diocesi.
Il 18 sett. 1432 il rettore generale Gerardo da Rimini nominò il C. suo vicario e visitatore del convento agostiniano di Tournai, con facoltà valide per due mesi; lo convocò poi a Basilea per il giugno del 1433 di modo che, insieme con altri teologi e canonisti dell'Ordine, partecipasse al concilio. Il C. vi prese parte ufficialmente dal 31 agosto; il 14 ottobre, quando il rettore generale e il procuratore generale di Basilea dovettero assentarsi, fu nominato viceprocuratore generale davanti al concilio. Ma a Basilea restò poco: l'università di Lovanio gli offrì una cattedra di teologia, che il C. accettò e tenne ininterrottamente per sette anni e mezzo. A partire dal 31 maggio 1434 - data della nomina - la sua presenza ininterrotta a Lovanio è esaurientemente documentata nei registri amministrativi e nella serie dei verbali delle sessioni del consiglio accademico.
Con ritmo costante, quattro volte all'anno, compaiono le note relative ai pagamenti dei suoi servizi di professore: le prime volte ricevette 15 peters, poi per quattro volte 25 gulden, e in seguito, sino al termine della sua attività didattica, sempre 30 gulden. Dagli atti delle sessioni del consiglio accademico risulta che partecipò più volte all'elezione di nuovi rettori, che fece parte della commissione dei revisori dei conti e del gruppo dei giudici delle cause, e che intervenne in varie questioni, tra cui alcune di una certa importanza, riguardanti la vita universitaria.
Implicato con altri agostiniani del convento di Bruges, che avevano influsso alla corte dei duca di Brabante, in maneggi rivolti a ottenere dal duca il trasferimento a Bruges della giovane università lovaniense, o almeno l'istituzione di una nuova università in quella città, il C. non poté mantenere una cattedra che era diventata probabilmente pericolosa per lui: alla fine del 1441, non sappiamo quanto spontaneamente, diede le dimissioni e fu sostituito da due nuovi professori, formatisi a Colonia.
Non sappiamo dove egli risiedesse e quali fossero le sue attività nell'arco di tempo che va dagli inizi del 1442 alla metà del 1445. A partire da questa seconda data risulta risiedere a Roma, da dove tiene rapporti epistolari con suoi concittadini di Recanati per questioni attinenti alla nuova situazione politica creatasi nella città dopo l'instaurarsi nelle Marche della signoria di Francesco Sforza.
A Roma il C. abitò probabilmente nel convento di S. Agostino; in Curia dovette conquistarsi una posizione di rilievo se è vero, come affermano alcuni storici, che egli fu designato dai Recanatesi per presentare, in qualità di loro ambasciatore, le felicitazioni della città natale al nuovo papa Niccolò V. La notizia, così come ci è stata trasmessa, contiene qualche inesattezza, in quanto al C. viene prematuramente attribuito il titolo di vescovo di Senigallia; è però molto probabile che essa rifletta il prestigio che il maestro agostiniano si era guadagnato nell'ambiente curiale.
In effetti Niccolò V, nove mesi dopo l'elezione, nominò il C. vescovo di Senigallia, dignità che comportava anche quella di conte. Come vescovo di Senigallia il C. partecipò al Parlamento generale della Marca di Ancona, tenutosi il 14 settembre 1448 a Macerata sotto la presidenza di Filippo Calandrini, fratello uterino di Niccolò V, allora vescovo di Bologna e poco dopo anche cardinale. La bolla con cui il papa confermò gli accordi presi dalla Dieta ci rivela che il C. celebrò la messa solenne o de Spiritu Sancto" e che, come vari altri prelati partecipanti, prese la parola.
Nel 1449 il C. concesse la contea di Porcozzon e a Giovanni Rainaldo, figlio del capitano di ventura Mostrada della Strada; il 12 luglio dello stesso anno consacrò la chiesa del convento agostiniano di Fabriano, poche settimane prima dell'arrivo di Niccolò V in quella città, dove si trattenne alcuni mesi. In seguito lo troviamo in lite con la città di Iesi a causa di alcuni territori ai confini tra la città e la diocesi di Senigallia; il 7 dic. 1454 si giunse, grazie alla mediazione del vicelegato delle Marche, il vescovo di Teramo, a una pacificazione; l'atto pubblico redatto in quest'occasione fu approvato e ratificato da Callisto III con bolla del 20 maggio 1455. Lo stesso Callisto III concesse al C. per mezzo del vescovo di Iesi - incaricato di esaminare la veridicità dei motivi addotti - di vendere un territorio della diocesi di Senigallia, chiamato "Orgiolum", a condizione di impiegare il ricavato nell'acquisto di rendite più redditizie per la diocesi.
Non sappiamo quali siano state, nei primi tempi, le relazioni tra il C. e Sigismondo Pandolfo Malatesta, che estese il suo dominio su buona parte delle Marche e che poi ottenne in vicariato da Niccolò V - con bolla del 29 ag. 1450 - le città conquistate, tra cui Senigallia; comunque, a partire dal 1453, scoppiò tra i due un grave dissidio, originato dai progetti di fortificazioni di Sigismondo e dalle difficoltà frapposte a essi dal vescovo. Secondo una cronaca contemporanea, il C. si rifiutò di cedere alcune case, appartenenti al vescovado, che impedivano di realizzare le mura secondo i progetti elaborati. In questa occasione Sigismondo fece modificare il progetto; ma nel 1456 (nel 1458 secondo altri), accortosi che la cattedrale e il palazzo vescovile si innalzavano al di sopra delle mura compromettendo la strategia difensiva della città, fece demolire in un solo giorno entrambi gli edifici: insieme con essi furono abbattute anche sette torri e trenta case contigue alla cattedrale e al palazzo vescovile.
Secondo i cronisti, particolarmente quelli agostiniani, il C., contrariato dall'ordine di Sigismondo, si sarebbe ritirato con il suo clero in Ancona, prendendo alloggio nel convento degli agostiniani.
Nel maggio del 1459 si recò a Tolentino, dove si celebrava il capitolo generale dell'Ordine, in cui ebbe cura di raccomandare un agostiniano belga, che probabilmente aveva conosciuto ai tempi dell'insegnamento lovaniense: della raccomandazione si tenne conto. Alcuni giorni più tardi il nuovo priore generale, il futuro cardinale Alessandro Oliva da Sassoferrato, concedeva al C. due religiosi agostiniani per il suo servizio personale.
Sembra che negli anni dell'esilio dalla sua diocesi il C. si facesse costruire a Recanati un'abitazione, attigua al convento e alla chiesa degli agostiniani, in cui nel 1465 fu redatto un documento notarile. Si può presumere che lì abbia trascorso almeno alcuni periodi dei suoi ultimi anni.
Morì, secondo le fonti, ad Ancona nel 1466, Non è nota la data; ma è certo che già nel marzo di quell'anno la diocesi di Senigallia aveva un nuovo vescovo "per morte di Antonio".
Al C. è attribuita la traduzione in italiano di alcuni trattati di Aristotele, conservati nel cod. 279 della Bibl. Estense di Modena. In una delle prime pagine - sebbene sia mutilo - ci resta una miniatura che rappresenta il maestro Antonio da Recanati con il discepolo e proprietario del manoscritto, messer Pancrazio Giustiniani da Venezia.
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