CONDULMER, Antonio
Nacque a Venezia nel 1452 da Bernardo e da Maria di Artale Contarini.
La famiglia Condulmer era di nobiltà recente: un ramo era entrato a far parte del patriziato veneziano in occasione della guerra di Chioggia nel 1381; un secondo ramo in occasione dell'elezione al pontificato di Gabriele, papa Eugenio IV; un terzo sarebbe entrato più tardi a far parte del patriziato in occasione della guerra di Candia. Il ramo del C. era stato illustrato dallo zio Giovan Francesco, provveditore a Negroponte nel 1469 ed eroico combattente decapitato dai Turchi. Dei fratelli del C., Eugenio fu sacerdote; Alvise ricoprì varie magistrature; sul nome del quarto fratello le fonti non concordano: Bernardo, Pietro, Giovan Francesco.
Sin dalla fine del sec. XV il C. ottenne varie cariche minori dell'amministrazione veneziana: fu provveditore a Peschiera; ufficiale alle Razon vecchie; nel 1499 provveditore sopra i conti dei provveditori, ambasciatori, sindaci; nel 1500 revisore dei conti dei governatori di galea: in questi due ultimi uffici mostrò uno zelo ed un rigore che più tardi, in occasione di magistrature di maggiore spicco politico, lo avrebbero danneggiato non poco. Nel 1481 si era sposato con una figlia di Guido Baseggio. Negli anni 1501-1502 il nome del C. compare spessissimo nei ballottaggi per i massimi incarichi diplomatici della Repubblica, sintomo del prestigio raggiunto. Nel 1503 fu eletto sindaco a Cipro.
Il C. partì con un lungo elenco di commissioni da parte della Signoria e dalle sue lettere emerge il complesso dei problemi che i rettori dell'isola dovevano affrontare: l'organizzazione amministrativa, i rapporti sempre difficili con i Turchi, l'approvvigionamento di grano alla madrepatria reso problematico dalla grave carestia di quell'anno, su cui mandavano allarmati rapporti i rettori di Candia in quegli stessi mesi. Il C., che aveva avuto speciale commissione dal Consiglio dei dieci "per le cosse di formenti", si recò anche a Candia a "syndichar" su tale materia.
Nel novembre 1504 fu di nuovo a Venezia dove riferì in Collegio ed in Senato, che decise di ammetterlo a partecipare alle sue riunioni senza voto ma con il diritto di "metter parte" sulle cose di Levante. Subito dopo si segnalò ancora come implacabile censore di amministratori iniziando un procedimento contro Nicolò Priuli, che era stato luogotenente a Cipro con lui, procedimento che si concluse con la condanna del Priuli.
Nel 1505 fu in Senato; nello stesso anno il suo nome appare tra i sovvenzionatori della chiesa di S. Sebastiano; nel 1506 fu nominato dal Consiglio dei dieci tra i "Tre, sopra la alivelation et confiscation dil dogado"; sempre nel 1506 era promotore del procedimento e della condanna di Alessandro Semitecolo, ex provveditore a Retimo ed in questi mesi è dato cogliere nelle fonti un certo risentimento diffuso nei confronti di lui: sicché, quando nell'ottobre 1506 venne eletto oratore in Francia, Marin Sanuto commentò "ch'è stato molto a proposito per lui".
Nell'aprile 1507 partì per la Francia ed iniziò a spedire a Venezia una fitta corrispondenza che scandisce un periodo cruciale dei rapporti veneto-francesi, periodo che vedrà le ultime velleità espansionistiche della Repubblica, i suoi contrasti con il papa e con Massimiliano d'Asburgo e che si concluderà con la rottura dell'alleanza tra Venezia e la Francia ed il disastro di Agnadello. Dalle lettere del C. è possibile seguire i suoi spostamenti continui al seguito di Luigi XII ed il progressivo deteriorarsi dei rapporti franco-veneti.
Il primo incontro con il re di Francia avvenne ad Alessandria e fu cordiale; il C. riferì su tutta l'azione francese nell'Italia settentrionale. Nel maggio 1507 era a Genova a congratularsi con Luigi XII per aver domato la ribellione della città: l'alleanza tra Venezia e la Francia appariva ancora solida ed ai colloqui con il re si alternavano quelli con il cardinale di Rouen. Le successive tappe dell'ambasciatore sono Pavia, Milano, Asti, Lione, Charenton, Chantelle, Roanne, ancora Lione.
Era un momento positivo per Venezia e ciò si riflette sull'ambasceria del Condulmer. C'era contentezza in Francia per la vittoria veneziana in Cadore contro Massimiliano e la Signoria premeva perché si stringesse "in Dei nomine" una lega tra Venezia, Francia e Spagna. Ma segni positivi dalla Spagna si fecero attendere; nel marzo 1508 nelle parole del re di Francia il C. coglieva un leggero mutamento di tono: stesse attenta la Repubblica nella sua espansione poiché aveva molti nemici in Italia ed in Francia.
Nel maggio 1508 il C., assente, fu eletto avogador di Comun e gli venne riservato il posto per quando fosse ritornato; poco dopo venne eletto anche savio di Terraferma e parimenti gli si riservò il posto. In Francia il C. proseguì i suoi spostamenti, ma ormai l'alleanza franco-veneta si era incrinata: il re di Francia si sdegnò vivamente per la tregua conclusa improvvisamente da Venezia con Massimiliano, nemico comune; da Avignone a Blois, a Rouen, a Parigi, a Orléans il C. seguì con apprensione il riavvicinarsi di Luigi XII a Massimiliano per le questioni dell'Europa settentrionale.
Il cardinale di Rouen si recò a Cambrai per trattare con Margherita d'Asburgo e quantunque il re assicurasse all'ambasciatore veneziano che nulla si sarebbe fatto "senza la nomination di la Signoria", il C. colse il deteriorarsi della situazione, la inspiegabile segretezza delle trattative di Cambrai ed il mutato atteggiamento del re, il quale "sta muto" in attesa del ritorno del cardinale. Alla fine il C. vide confermati i sospetti suoi e del Senato veneziano: "li capituli è contro di nui". La Signoria gli scrisse di ricordare al re "la observantia nostra verso soa majestà"; Luigi XII si rifiutò però di riceverlo ed il 28 genn. 1509 il C. chiese di licenziarsi. Per alcuni giorni a Venezia non si ebbero sue notizie, sicché si credette che fosse stato trattenuto in Francia e, conseguentemente, corse la voce, falsa, che l'oratore francese venisse a sua volta trattenuto a Padova. Il 7 febbraio si ebbero le prime notizie del C.; il 14 febbraio giunse un corriere con sue lettere. Si venne così a conoscenza del fatto che il re di Francia, al momento della sua partenza, gli aveva offerto una preziosissima collana in dono, accompagnata da 100 ducati per il segretario; il C. aveva rifiutato tale dono e dalle sue lettere appare che egli si era scusato con il re con diplomatica cortesia, adducendo la tradizione veneziana che impediva agli ambasciatori di accettare doni. Diverso è invece il tono con cui l'episodio appare nella storiografia e nelle genealogie venete nel corso del secolo; esso, infatti, è dipinto con colori eroici e chiaramente riecheggianti gli episodi dell'antica Repubblica romana: il C., la cui successiva notorietà è dovuta in massima parte a tale episodio, ci appare sdegnato contro il re quando austeramente afferma di non aver bisogno di regali dai nemici della Repubblica. Il 3 apr. 1509 giunse finalmente a Venezia, "molto desiderato".
Subito dopo entrò nella carica di savio di Terraferma e in quei momenti così importanti per la Repubblica appare estremamente attivo e deciso. Nelle cerimonie pubbliche o nel ricevimento di ospiti stranieri era ormai nel numero dei patrizi di maggior prestigio. Entrò nella zonta del Consiglio dei dieci e fu incaricato di tenere i rapporti con alcuni illustri prigionieri francesi, da usarsi quale canale diplomatico ufficioso nella ricerca di un accordo con Luigi XII.
Nel drammatico dibattito successivo ad Agnadello, in cui il Senato veneto cerca di correre ai ripari tentando di dividere il fronte dei nemici con particolari concessioni, il C. sembrò accostarsi al filone di comportamento più accentuatamente moralistico: egli era favorevole a ogni concessione pur di riappacificarsi con il papa, molto più cauto sulla ricerca di accordo con i Francesi e, soprattutto, era per una vigorosa moralizzazione della vita veneziana, perché Dio "è sdegnà con questa terra". Favorevole ad una linea dura è anche nei confronti del duca di Ferrara.
All'incirca da questo momento il prestigio e, di conseguenza, la carriera politica del C. cominciano ad appannarsi; ciò fu dovuto certamente al travaglio interno del patriziato veneziano e alle sue più o meno latenti spaccature, ma certamente anche al carattere dell'uomo, che ci appare sempre più duro e tradizionalista fino all'inintelligenza. Dopo essersi visto preferire altri per ulteriori importanti incarichi diplomatici, nel settembre 1509 non riesce a entrare, lui "solito a intrar", nella zonta del Senato e venne bocciato, il che si ripeterà costantemente negli anni successivi, nell'elezione a savio grande. Nel novembre 1509 fu incaricato, con Giovanni Corner, della confisca dei beni dei ribelli alla Repubblica nel Padovano, Vicentino e Trevigiano, con un utile del due per cento su quanto avessero confiscato, incarico importante e delicato; nello stesso tempo fu eletto avogador straordinario a disposizione della Signoria, con il diritto di entrare avogador ordinario al termine dello straordinariato, ma dopo pochi mesi il C. si dimise. Nel febbraio 1511 venne eletto, per due anni, provveditore sopra le Acque, carica nella quale mostrò ancora una volta il suo attivismo. Nell'ottobre 1511 lo si dette per sicuro oratore a Roma, ma anche questa volta non venneeletto; nel gennaio 1512 rientrò in Senato e Marin Sanuto commentò che il C. "è savio uomo e stà ben in Pregadi". Nel settembre 1512 fu deputato al Collegio sopra le acque, di cui poi venne eletto presidente; ma nei mesi successivi si moltiplicano per lui le delusioni nelle elezioni a cariche politiche e diplomatiche della massima importanza. Nell'ottobre 1513 fu in grado di offrire due uomini o cinque ducati per la difesa di Padova e Treviso e un mese dopo apparve nella lista di coloro che avevano soddisfatto a quanto avevano promesso di dare; nel dicembre è nella zonta del Consiglio dei dieci e poi venne eletto tra i "Dieci savi a tansar di là da canal"; nel gennaio 1514 venne nuovamente eletto savio di Terraferma e riapparve come uno dei maggiori protagonisti dei dibattiti politici in Collegio ed in Senato.
Nello stesso anno il C. si sposò per la seconda volta, con Maria Zarla figlia di Zuane Perez conte di Carpasso nobile cipriota (ma sul nome del padre il Sanuto non concorda con i documenti dell'Avogaria di Comun, che qui seguiamo); anche la moglie era alle sue seconde nozze, essendo vedova di Girolamo Giustinian, da cui aveva avuto Matteo.
Nell'agosto 1515 il C. appare in una lista di prestatori alla Signoria con trenta ducati, cifra bassa se paragonata a quelle degli altri sottoscrittori compresi nella stessa lista. Nel gennaio 1516 era in lite con il figliastro Matteo Giustinian, al quale nonvoleva assolutamente far sposare una Barbaro, del comportamento del figliastro si dolse in Collegio, ma finì per essere rimproverato dal doge per il suo contegno sconveniente di fronte all'alto Consiglio della Repubblica. Nel settembre non riuscì ad entrare nella zonta del Senato; poco dopo prestò nuovamente cinquanta ducati alla Signoria. Nel settembre 1517 entrò nella zonta del Consiglio dei dieci, ma ormai era considerato, a differenza di qualche anno prima, tra gli "insoliti a entrar"; nell'ottobre successivo fu nuovamente savio di Terraferma. Nello stesso mese era promotore di una proposta volta ad estendere il potere dei censori, allargandone il controllo dal Senato al Maggior Consiglio in modo che avessero autorità e modi degli avogadori di Comun. Successivamente fu eletto altre tre volte savio di Terraferma e nel settembre 1518 rientrò nella zonta del Senato. Nell'aprile 1519 era di nuovo nella zonta del Consiglio dei dieci; nel settembre per la seconda volta provveditore sopra le Acque e fece votare dal Senato una "parte" volta a far mutare molte delle pene di bando in pene pecuniarie, i cui introiti sarebbero stati destinati al Magistrato alle acque per i lavori ai canali della città.
Nel novembre 1519 ci fu in Senato un grande dibattito sul rinnovo dei capitoli stipulati con gli ebrei nel 1508; il C. era contrario a tale rinnovo adducendo gli argomenti più vieti contro gli ebrei, la loro presenza ed il loro diritto a prestare; la sua posizione prevalse contro quella più realistica ed anche umana rappresentata dal procuratore Antonio Grimani, ma il problema si pose di nuovo nel 11520 ed ebbe soluzione opposta; sulla stessa linea di comportamento troviamo il C. nell'aprile 1520, quando difese un frate Albertino che predicava a Padova contro gli ebrei, spingendo la popolazione, a "metterli a sacho" ed al quale i rettori avevano ingiunto di smettere tale predicazione.
Nel settembre 1520 rientrò nella zonta dei Pregadi e nel giugno 1521 fu eletto tra i tre inquisitori sopra il doge defunto. L'energia implacabile, quasi persecutoria nei confronti della famiglia Loredan, che il C. mostrò nell'esercizio di tale carica, gli costò probabilmente il coronamento della sua carriera politica negli ultimi anni di vita.
Il C. iniziò contestando l'elezione a procuratore di S. Marco di Lorenzo Loredan, figlio del doge defunto Leonardo; la cosa si trascinò a lungo con aspri contrasti, finché venne rimessa al Maggior Consiglio dove il Loredan aveva più appoggi, sicché la sua procuratia venne confermata e fu anche eletto savio del Consiglio. Nell'ottobre 1521 il C. non venne rieletto provveditore sopra le Acque (a differenza del suo collega Marino Morosini) "per aversi tolto a pecti i Loredani" ed il Sanuto ora commenta che è "homo che non merita alcun grado". Nel dicembre 1521 non fu rieletto savio di Terraferma. Nell'aprile 1522 il C. ed il suo collega inquisitore Alvise Priuli chiesero al Consiglio dei dieci che venissero abbattute le insegne dogali del Loredan a Venezia e a Padova; nel giugno volevano multare gli eredi Loredan per il numero troppo esiguo di scudieri tenuto dal doge Leonardo, per pagare i quali il doge disponeva di denaro pubblico. L'azione del C. fu contrastata al vertice dello Stato veneziano; il Collegio accusò lui ed il Priuli di "vexar sti Loredani". Il clamoroso processo ebbe la sua conclusione in Maggior Consiglio, dove i Loredan furono battuti e condannati a pagare.
Nell'aprile 1523 fu eletto al Senato; il mese successivo rifiutò una nuova elezione ad inquisitore del doge defunto. Ma la delusione finale della sua vita, durante la quale si era fatto più nemici che amici, fu la sua mancata elezione a procuratore di S. Marco de ultra nell'ottobre 1524 a partire da quella data si ritirò praticamente dalla vita pubblica. Nel giugno 1526 ci è descritto come "vecchio, mal condizionato e poco esce di casa".Morì con grande probabilità il 1° luglio 1528; nel settembre dello stesso anno era in una lista di nobili defunti debitori della Signoria e della cosa erano interessati gli eredi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, reg. 163/11 (Balla d'oro), c.181 r; Ibid., Cronaca matrimoni, reg. 107/11, c.96r.; Ibid., Necrologi, b. 159, reg. 1, c. 4v (ma non num.); Ibid., Testamenti, Atti Loris Marin, b. 923, c. 104 (testamento del padre del C.); Ibid., Capi Consiglio dei dieci, Lettere rettori, b. 291, c. 31; Ibid., Lettere ambasciatori, b. 9, cc.39-51; Ibid., M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, c. 413r; Venezia, CivicoMuseo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 155r; Ibid., Mss. P.D. 676e/1 (16); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl.VII, 925 (= 8594), c. 264r; 15 (= 8304), c. 282v; 205 (= 7463), c. 95r; 313 (= 8809), c. 267r; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1902, II-XXXIV, XXXVI-XXXVIII, XLI, XLV, XLVIII, XLIX, LII, ad Ind.;N. Machiavelli, Legaz. e commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, p. 1113; P. Bembo, Historiae Venetae, Venezia 1718, pp. 253 s., 262, 340; G. N. Doglioni, Historia Venetiana, Venezia 1598, pp. 545 s., 548 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., II, Venezia 1827, p. 154; IV, ibid. 1834, p. 134; I. Cervelli, Machiavelli e la crisi dello Stato venez., Napoli 1974, pp. 417, 521; P. Litta, Le fam. celebri italiane, sub voce Condulmer, tav. II.