CORSETTO (Corsetti), Antonio
Nacque a Noto (Siracusa) verso l'anno 1450 da Cola (Nicola) e da Giovannella, "de melioribus civibus Notensibus" (Processus, p. 403), la cui eredità patrimoniale nel 1500 si stimava fruttasse annualmente 600 once all'incirca: poco meno di 1.200 ducati. A Noto ricevette i primi insegnamenti (è testimoniata la sua frequenza alle scuole nel 1458 e nel 1459), prendendo molto presto l'abito ecclesiastico e la tonsura. Dedicatosi agli studi giuridici, il 7 ott. 1479 conseguì la laurea in utroque a Bologna, dove aveva raggiunto il celebre conterraneo e maestro Andrea Barbazza, con un esame che fece scalpore per la dottrina dimostrata e per il concorso di numerosi dottori.
Due anni prima aveva pubblicato nella stessa città, presso l'editore Baldassarre Azzoguidi, con una dedica al Barbazza, una raccolta di Singularia et notabilia nella quale aveva riunito soprattutto i "fiori" del "praeceptor et consiculus eximius", che ampliò poi a Padova nel 1490 e che gli assicurò subito una larga notorietà, benché Felino Sandeo la giudicasse non a torto una "cumulatio rerum tritarum".
Già prima della laurea il C. aveva tenuto lezioni a Bologna e risultava rettore degli oltramontani quando, nel novembre 1479, ottenne la cattedra canonistica per la lettura di decretali nei giorni festivi. L'anno successivo, chiamato a leggere il Liber Sextus e le Clementinae, gli vennero assegnate 100 lire di bolognini in aggiunta allo stipendio, poi raddoppiate nel 1481 con il passaggio all'insegnamento più prestigioso di decretali de sero, che tenne con grande autorità fino al 1486-87. Nei Rotuli dell'università di Bologna è registrato ancora per il 1487-88, tuttavia con l'annotazione: "Se absentavit et nunquam legit".
Nell'ottobre 1487, infatti, era giunto a Bologna, con l'incarico di condurlo a Padova a ricoprire la cattedra di diritto canonico ordinaria de mane, in luogo del defunto Giovanni Sacca, un inviato speciale del doge veneziano Agostino Barbarigo. Le trattative si protrassero alquanto, perché il C. era vincolato a Bologna da diversi impegni, dai tentativi di trattenerlo compiuti dal Senato bolognese, e da vari debiti che lo angustiavano.
Risolti con l'aiuto di alcuni banchieri i problemi finanziari, il C. si trasferì a Padova nel novembre 1487 con uno stipendio di 350 fiorini, elevati fino a 500 nel 1491, quando si temette che "eo discedente, plurimi scholares, praesertim nationis germanicae, discederent" (Verrua, p. 26).
Si apriva così per lui un lungo periodo d'intensa attività didattica, della quale è traccia nel profilo disegnato dal Diplovataccio, che fu suo allievo e ne ricordò, oltre al soprannome "Barbatinus", perché devoto al Barbazza, il "repertorium stupendum" ai Commentaria dei Panormita, le "repetitiones subtilissimae", e un incontro avuto a Pesaro nel 1500, quando il C., sulla strada di Roma, si fermò a visitarlo donandogli il suo trattato De potestate et excellentia regia.
Nel decennio padovano si concentrò quasi tutta la produzione scientifica del Corsetti. Infatti, se insegnando a Bologna aveva pubblicato un Repertorium in opera Nicolai de Tudeschis (Venetiis, A. Torresanus, 1486) che, ristampato ripetutamente, fu aggiunto di regola alle edizioni del Panormita, e determinò più di tutto la fama del C. tra i giuristi, egli compose a Padova invece gli altri suoi scritti. La maggior parte dipendeva direttamente dall'insegnamento, come dimostrano gli stessi generi letterari prescelti, tutti tipici del tardo Commento. Così la Repetitio in tit. de iureiurando, pubblicata a Venezia nel 1490 da A. Torresani, e la Repetitio cap. Grandi, stampata anch'essa a Venezia (Da Bernardino [Stagnino] da Trino) nel 1493 insieme con un trattato De bravio dedicato al patrizio veneziano Lodovico Bragadin. Così ancora una significativa lezione De authoritate glossae, stampata alla fine del Cinquecento nei Tractatus universi iuris (Venetiis 1584, XVIII, ff. 186vb-187ra), in cui si riunivano le "autorità" pronunciatesi per la preminenza della glossa nella formazione dei giudizi e delle opinioni scientifiche; infine alcuni trattati accolti nella stessa silloge, come il De verbis geminatis (ibid., ff. 266va-269ra), il De minimis (ibid., ff. 269ra-2-73ra), e il Tractatus fallentiorum ad regulam Spoliatus ante omnia restituendus (ibid., III, 2, ff. 325va-326vb). All'attività consulente, che fu comunque assai scarsa, risalgono invece due lavori, commissionati al C. nella duplice veste di ecclesiastico e di canonista insigne: il Consiliuni de Monte pietatis (Venetiis 1493), scritto a sostegno dell'iniziativa del vescovo Barozzi d'istituire a Padova un Monte di pietà secondo il progetto di Bernardino da Feltre, e un Tractatus ad status fratrum Thesuatorum (Venetiis, I. & G. de Gregoriis, 1495), volto a definire la condizione giuridica di quei religiosi attraverso l'esame di trenta quaestiones canonistiche e civilistiche.
Ricchi di dottrina, ma non di rado ridondanti per eccesso di citazioni, distinzioni e sottigliezze tecnico-dogmatiche, gli scritti indicati mostrano a sufficienza, oltre alle ragioni che ne fondarono la notorietà tra i contemporanei, la stanchezza creativa dei moduli tardo scolastici propri degli ultimi commentatori.
Un qualche spiraglio sugli orizzonti intellettuali e ideologici del C. aprono invece il De privilegiis pacis (in Tractatus universi iuris, XII, ff, 224ra-227va), risalente anch'esso al periodo padovano e non privo d'una sua spiritualità irenica, specie là dove accenna ai vantaggi di una pace religiosa universale sotto il primato romano, e soprattutto il De potestate ac excellentia regia (Venetiis 1499).
L'autore vi esaminava, "per quaestiones suo ordine sitas", accumulando ogni sorta di autorità giuridiche e scritturali, l'origine della potestà regia, l'estensione e i limiti dei poteri del sovrano, delle magistrature laiche ed ecclesiastiche, le prerogative e i simboli esterni che a ciascuno andavano attribuiti. La linea di fondo, a fatica riconoscibile in un'esposizione spesso intricata e confusa, non si discostava dalle dottrine più chiuse dell'ortodossia cattolica: si seguiva la teoria delle quattro monarchie del mondo e si ribadiva la validità della donazione di Costantino; si condannava ogni forma di ribellione anche contro il tiranno e si sanciva comunque il primato del potere ecclesiastico su quello laico. Tuttavia, attraverso una ricognizione abbastanza nuova delle prerogative rivendicate dai maggiori regni e principati europei, si prospettava anche un'immagine dell'autorità regia, in armonia col Papato, che dovette certamente piacere al re cattolico.Sorretto infatti dal favore del re di Spagna e da una solida fama di canonista, il C. fu nominato nel 1500 giudice della Rota romana da Alessandro VI. Nel gennaio lasciò Padova per recarsi a Roma, dove sostenne con particolare apprezzamento dei presenti le disputationes prescritte per l'ammissione in Rota il 12 marzo e il 4 aprile, subentrando nel tribunale a Egerdus Duerkop, suddito spagnolo. Dal marzo al novembre 1501 tuttavia risultava assente da Roma (si dové provvedere per supplenza al suo ruolo in Rota), verosimilmente in connessione con la nomina da parte di Ferdinando il Cattolico a vescovo di Malta il 26 luglio 1501.
La nomina fu poi sancita dal pontefice nel concistoro del 20 dic. 1501: da due giorni il C. era rientrato a Roma per ordine di Alessandro VI e la notizia gli fu recata durante una seduta rotale, sicché venne festeggiato dai colleghi ed accompagnato a casa da un corteggio a cavallo, che dette luogo a curiosi disguidi.
Probabilmente non raggiunse mai Malta: grazie a dispense pontificie, mantenne l'ufficio rotale e un beneficio nella parrocchia di Noto, di regio patronato. Il 15 genn. 1502 venne nominato abate dell'abbazia cisterciense di S. Maria dell'Arco presso Noto, anch'essa di regio patronato; fu dispensato, in aprile dal pagamento del commune servitium e dei minuta servitia, e il 1° ottobre dello stesso anno ottenne anche da Alessandro VI la facoltà d'incamerare i benefici resisi di recente vacanti nella sua diocesi. Si rafforzava così l'opinione diffusa, registrata già nel Processus informativus all'atto della nomina in Rota, che tra eredità, proventi dell'insegnamento e benefici ecclesiastici, egli fosse "dives et pecuniosus".
Da una lettera di Giulio II a Ferdinando il cattolico si deduce che il C. morì alla fine di ottobre 1503 (Hoberg, p. 401). Non ha perciò fondamento la leggenda della sua morte per avvelenamento, insieme col papa Alessandro VI, nell'agosto o nel settembre dello stesso anno.
Fonti e Bibl.: Le fonti più antiche e la letteratura sono citate ed utilizzate, con correzioni e precisazioni, da H. Hoberg, Der Informativprozess über die Qualifikation des Rotarichters A. C. (1500), in Mélanges E. Tisserant, Città del Vaticano 1964, IV, pp. 389-406, il quale pubblica (pp. 402-406) il Processus informativus per l'ammissione in Rota. Sono da aggiungere la testimonianza di Felino Sandeo, registrata da Io. A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae latinitatis, I, Hamburgi 1734, p. 123; T. Diplovatatii Liber de claris iuris consultis, II, a cura di F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), pp. 419 s.; M. Sanuto, I Diarii, II, Venezia 1880, col. 1318. E inoltre: U. Dallari, I Rotuli dei lettori, Bologna 1888-1924, ad Indicem; N. Rodolico, Siciliani allo Studio di Bologna nel Medio Evo, in Arch. stor. siciliano, XX (1895), pp. 115, 186; L. Sighinolfi, La condotta del canonista A. C. da Bologna a Padova (1487), in Studi e mem. per la storia dell'Univ. di Bologna, VII (1922), pp. 139-51; P. Verrua, Umanisti ed altri "studiosi viri" italiani e stranieri di qua e di là dalle Alpi e dal mare, Genève 1924, pp. 26 s.; V. Menghin, Bernardino da Feltre e i Monti di pietà, Vicenza 1975, p. 553; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VII, coll. 173-80.