CURRI, Antonio
Nacque ad Alberobello (prov. di Bari) il 9 ott. 1848 da Tommaso e Porzia Greco.
Giovanissimo seguì Garibaldi a Napoli da dove fece presto ritorno, ma a Napoli si stabilì poi per frequentare dal 1865 al 1869 la scuola di pittura dell'istituto di belle arti con Alceste Canipriani, Giuseppe De Sanctis, Vincenzo Volpe, Gaetano Esposito, Vincenzo Caprile. Dopo un peripdo passato ad Alberobello dove, sembra, progettò il palazzo. Perta (A. Spada, in Notarnicola, 1927, p. 28), nel 1871 si stabilì definitivamente a Napoli dove operò ed ebbe riconoscimenti accademici. Nel 1901 fu supplente di ornato nell'istituto di belle arti ed in seguito professore onorario dello stesso; libero docente di architettura e ornato nell'università, gli fu assegnata una cattedra di architettura decorativa al Museo industriale solo nel 1916, poco prima della morte.
Tra le prime opere del C. è la decorazione della facciata del duomo napoletano (1874) e un progetto di restauro della stessa, presentato e premiato all'Esposizione nazionale di belle arti a Napoli nel 1877 e così giudicato da un contemporaneo: "il bravo Curri si è fatto trasportare, nel fare quel disegno, dai voli di fantasia e non ha posto mente che l'esecuzione di quel progetto sarebbe impossibile poiché il finestrone su la porta, porzione riuscirebbe nella chiesa, ed altra porzione nella soffitta" (C. Abbatecola, Guida e critica dalla grande Esposizione nazionale di belle arti, Napoli 1877, p. 289). La decorazione della chiesa di S. Giovanni a Mare del 1877 che gli viene attribuita (Giannelli, 1916, p. 712) è, in realtà, di Rinaldo Casanova e il restauro architettonico di Stanislao Lista (G. Aspreno Galante, Relazione sul restauro della chiesa di S. - Giovanni a Mare in Napoli., in Riv. religiosa La Scienza e la Fede, s. 4, X [1878], pp. 1-15).
Del C. è il restauro della cupola e dell'interno di S. Domenico Soriano a Napoli (1878-86) e nella IV Esposizione nazionale di belle arti a Torino (1880) vennero esposti suoi disegni per una palazzina con facciata policroma e per la chiesa di S. Domenico (Joseph, 1907). Partecipò nel 1892 al concorso. conclusosi senza vincitori, per il monumento napoletano a Giuseppe Garibaldi con un bozzetto giudicato poco felice da Gabriele D'Annunzio (G. D'Annunzio, Pagine disperse, a cura di A. Castelli, Roma 1913, p. 334; secondo F. Verdinois, in Notarnicola, 1927, p. 34, il C. vinse ed il monumento stava per essere realizzato ma non se ne fece nulla). In collaborazione con Ernesto Di Mauro elaborò le decorazioni della galleria Umberto I costruita tra il 1887 e il 1891 su progetto di Emmanuele Rocco e Paolo Boubée: su questo tema sembra che anche il C. abbia presentato un progetto. in cui, distruggendo la chiesa di S. Ferdinando, ampliava la piazza antistante dove poneva la facciata della grande galleria (F. Verdinois, ibid., p. 38). Con Eduardo Dalbono sovrintese al restauro delle decorazióni del teatro S. Carlo, per il quale avrebbe anche fatto un progetto di facciata (A. Spada, ibid., p. 28).
Dell'attività di pittore e decoratore dette le prime prove nel 1869 col disegno della culla offerta dal municipio di Napoli al principe ereditario Vittorio Emanuele (1869) e di un carro allegorico, in collaborazione con Vincenzo Gemito; disegnò un ciborio in argento per la chiesa matrice di Torre Annunziata; dipinse numerosi quadri ed acquerelli (alcuni esposti all'Esposizione di belle arti a Napoli nel 1877, tra cui un grande dipinto (1887-88), in occasione del giubileo papale, raffigurante lo svolgimento dell'arte cristiana dalle catacombe a S. Pietro. Ma l'opera più famosa in quest'ambito resta la decorazione delle sale del caffè Gambrinus (1890).
Gli ambienti (dal 1938 sede di un'agenzia bancaria) ebbero orriati sul soffitto e sulle pareti suddivise da lesene e da. colonnine in legno, pitture a tempera ed a pastello, statue, fregi, mensole, specchi, arcate e volte decorate con medaglioni di maschere e ghirlande: il tutto formava un complesso ricco e fastoso. Il C., artista di gusto raffinato nelle decorazioni policrome, guidando l'opera di pittori e scultori, "seppe conciliare le necessità decorative e spaziali con quelle strettamente pittoriche, lasciando agli artisti ampia libertà di sviluppare le loro fantasie coloristiche o di comporre, secondo la moda, quadri veristici o di genere purché la pittura fosse in armonia col carattere e con la destinazione dell'ambiente" (De Filippis, 1939, p. 9) L'insieme venne giudicato in quel tempo degno più di una galleria di pittura e di scultura che di un caffè o di una birreria.
Ancora a Napoli, tra le altre opere del C.., vanno ricordati alcuni monumenti funebri nel cimitero di Poggioreale: la cappella per i fratelli Palizzi nella Congregazione dei professori di belle arti, le cappelle e monumenti sepolcrali, per Filippo Bouchy e per Andrea de Pilla, monumenti funerari nel camposanto inglese.
Costruì anche il villino Crispi e la villa per Eduardo Scarpetta, sviluppò progetti di "abbellimento" per via Caracciolo, Posillipo, Ponte di Chiaia, per un ospizio marino ed uno stabilimento balneare, infine per l'ampliamento del palazzo del Museo archeologico riprendendo idee di Pompeo Schiantarelli e Francesco Maresca (Ceci, 1906). Disegnò una lapide che ricorda la dimora di Goethe a Napoli (1787) nel pal. Filangieri (Napoli nobilissima, s. 1, XII [1903], p. 94). Opere del C. sono anche nella provincia campana: a Sarno decorò il prospetio di pal. Bouchy, rifece la decorazione del palazzo municipale (1888), disegnò il monumento a Mariano Abignente (la statua è di G. B. Amendola), un edificio scolastico. Lo stabilimento di filatura e tessitura di Sarno, attribuitogli da Giannelli (1916, p. 713) sembra invero di G. Verdinois (R. Pane, La filanda di Sarno. in Napoli nobilissima, s. 3, XVII [1978], p. 205). A Santa Maria Capua Vetere si trova il teatro Garibaldi costruito nel 1888-95 dopo apposito concorso: la facciata è una "lettura" in dimensioni ridotte e con povertà di mezzi e materiali, dell'Opéra di Parigi di Garnier; tutto è appiattito e scolorito, mentre i prospetti laterali, non ponendosi a modello architetture prestigiose, da imitare, risultano più convincenti nella loro semplice scansione a lesene e bugnato liscio. La sala interna è stata purtroppo molto alterata.
Altre opere del C. sono ad Alberobello, dove progettò l'ampliamento della chiesa dei SS. Cosma e Damiano con cupola, in parte realizzato (1882-85), ed il cimitero: qui l'ingresso è caratterizzato da un pronao a dodici colonne fiancheggiato da torri egizie a piramidi tronche, mentre al centro dell'area su una scalinata si eleva un tempio a croce con otto cappelle. Sempre per , Alberobello disegnò inoltre un obelisco, realizzato con alterazioni. soltanto nel 1919, dopo la morte del C., e dedicato ai caduti, della prima guerra mondiale; un edificio scolastico (non eseguito) ed un piano di ampliamento urbano.
Sulle opere ad Alberobello un severo giudizio è stato dato da Costanza Lorenzetti (1952), che ritiene "spaesata" accanto ai trulli "l'architettura fiorentineggiante del duomo che decorò con motivi rinascimentali. Fuori ambiente sono anche gli altri edifici da lui ivi costruiti con ogni regola accademica, incompatibili con la tradizione della primordiale architettura locale".
Il C. partecipò anche ad importanti concorsi nazionali, come per il monumento a Vittorio Emanuele II in Roma e per l'aula di, Montecitorio.
Nel concorso per il monumento, del 1883, presentò un progetto, premiato con medaglia d'argento, dove su un basamento semicircolare a bugnato e colonne poggiava una cupola ribassata, solcata da una fascia diagonale in granito con stemmi di città italiane; nella calotta la statua equestre del re. Arretrato si elevava un colonnato corinzio con arco trionfale al centro sormontato da un alto attico a bassorilievi. Anche questo progetto partecipa dello stesso gusto tardo neoclassico di quello vincente, ma con la caratteristica introduzione della cupola ribassata.
Nel concorso bandito per sostituire l'aula Comotto nel palazzo di Montecitorio a Roma (1897) il C. concepì il nuovo edificio come un grande nicchione a volta semicircolare, una sorta di semicalotta rialzata che si richiamava in qualche modo al Pantheon e, nella definizione delle facciate, all'architettura berniniana; il cortile profondo tre campate del portico costituiva l'elemento di filtro tra l'atrio barocco e la nuova aula: La commissione giudicatrice, dopo avergli tributato un encomio, rilevava "abbastanza vasta la corte, conservati e resi più chiari gli, attuali scaloni, ben provveduto agli uffici e alla biblioteca; buona anche la forma dell'Aula, e ben illuminata ed aerata, ma eccessivamente alta in via assoluta e in proporzione alle dimensioni della pianta. P anche discutibile la convenienza del collocamento dell'Aula al 1° piano" (Attiparlamentari, Camera, legislatura XX, 1ª sessione 1897-98, Documenti. Relazione della Commissione incaricata dall'Ufficio di Presidenza di riferire sui progetti presentati al concorso per la costruzione della nuova Aula, Roma 1898, p. 6).
Una ripresa di modelli gotici è nella chiesa dell'Immacolata a Roma in via Conte Verde.
La facciata, a cuspide fiancheggiata da due corti campanili laterali, intonacata e priva di decorazioni, presenta scarso interesse mentre l'interno è più decisamente caratterizzato dalle volte a crociera e dai pilastri polistili. La pianta si articolla su tre campate e tre navate, di cui le laterali molto ridotte, coro rettilineo e semitransetto a terminazione poligonale.
Tra le numerose opere del C. va citato anche un progetto di piano regolatorie per Roma del 1903 e, tra le ultime, il padiglione della Campania, Basilicata e Calabria per l'Esposizione del 1911 a Roma, commissionato al C., ormai famoso ed anziano, che diresse un'équipe comprendente gli architetti Alfonso Guerra e Roberto Stampa, i pittori Paolo Vetri, Vincenzo Volpe e Giuseppe De Sanctis, lo scultore Francesco Jerace.
L'edificio presentava in pianta un salone centrale esagonale su cui si innestavano a raggio tre ambienti ottagonali destinati alle tre regioni: il richiamo ad un'opera del Settecento, considerato il periodo più significativo dell'arte napoletana, era stato voluto da un'apposita commissione. In un primo progetto le cupole, che sovrastavano l'ambiente centrale e i tre secondari conferendo úna certa maestosità all'insieme, vennero giudicate poco rispondenti al carattere dell'architettura "civile" settecentesca "e troppo ritraenti le fogge dei consueti edifizi delle moderne esposizioni" (Tesorone, 1913, p. 58), per cui l'edificio costruito presenta solo cupole ribassate. Nel progetto iniziale era previsto anche un giardino circostante organizzato a zone esagonali concentriche con tre viali principali ed altri secondari, ma non venne eseguito poiché i padiglioni vennero costruiti in linea continua l'uno vicino all'altro. All'interno, nella sala centrale scandita da paraste di marmo e decorata da dipinti a tempera e ad affresco, erano statue di personalità campane famose nel Sei e Settecento, mentre sulle lunette degli archi erano raffigurazioni delle arti e scienze e nella volta un'allegoria dell'arte settecentesca. All'esterno l'ambiente centrale sovrastava gli altri e tutto l'insieme mostrava una chiara derivazione vanvitelliana. I materiali usati per il basamento, il basalto vesuviano ed il tufo intonacato di giallo (colore consueto nelle ville settecentesche napoletane), granito nelle colonne, il marmo negli elementi decorativi, davano un aspetto singolare all'edificio in contrasto con i padiglioni regionali vicini d'ispirazione neomedievale.
JI C. morì a Napoli il 16 nov. 1916.
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