D'ARDUINO (Arduino, Darduin, Darduino), Antonio
Figlio di Antonino e Fantina, abitante nella parrocchia di S. Pietro di Castello, nacque in data a noi sconosciuta a Venezia. La prima notizia certa sul D. risale al 1344, quando compare citato nel testamento del padre: questi, nel nominare eredi i figli Nicolò e Giovanni, citava il D. solo per ricordare che aveva già ricevuto la sua parte di eredità e per additarlo alla benevolenza dei fratelli qualora ritenessero di corrispondergli ancora qualcosa.
Nel 1357 il D. ottenne il primo incarico di un certo rilievo. A seguito della cattura, da parte dei Turchi, della galea deputata alla custodia di Negroponte, il 28 dicembre il Senato decise di affidare il comando di quella destinata a rimpiazzarla al D. che era già "admiratus Nigropontis". Fu ancora in questa veste che il 27 febbr. 1359 egli presentò una supplica, che il Senato accolse, di poter abbandonare la carica di ammiraglio per il periodo di due anni e di essere sostituito dal fratello Nicolò, per adempiere ad una grazia concessagli dal pontefice ed armare una o più galee con cui combattere gl'infedeli.
Trascorrono circa tre lustri in cui non abbiamo notizie di lui fatta eccezione per il testamento del fratello Nicolò del 1363, che lo nominava suo esecutore. Il silenzio delle fonti è forse da ricondurre al fatto che gli interessi prevalenti e la vita del D. in questo periodo si concentrarono e svolsero soprattutto in Levante, a Negroponte. Agli inizi del 1376 notevole era la preoccupazione in Senato per il suo rifiuto a reggere ancora il carico di sopracomito di galea, ed il consesso si risolse a scrivere a bailo e consiglieri di Negroponte affinché si prodigassero con i mezzi ritenuti opportuni, non trascurando il denaro, a dissuaderlo e a trattenerlo in tale incarico, riconoscendone la provata fedeltà e coraggio "pro bono et securitate insule Nigropontis et terrore Turcorum".
Durante la guerra di Chioggia il valoroso comportamento e le generose offerte allo Stato in denaro e derrate, attestatici dalle cronache, assicurarono al D. la cooptazione tra la nobiltà veneziana, insieme al fratello Giovanni, il 4 sett. 1381. Sempre durante tale conflitto il D. si rese protagonista, insieme con Michele Giustinian e Maffeo Muazzo, della cattura e depredazione di una nave spagnuola bloccata nelle acque dell'Egeo e condotta a Tenedo. L'episodio, il 14 nov. 1383, a guerra conclusa, trovò composizione con la corresponsione ai danneggiati di 4.200 ducati d'oro, a titolo di risarcimento da parte di Venezia.
Il D. svolse un ruolo di rilievo negli strascichi seguiti alla pace di Torino riguardo all'abbandono da parte della Repubblica dell'isola di Tenedo e alla sua conseguente neutralizzazione. Agli inizi del gennaio 1382 era nell'isola e partecipò, in qualità di sopracomito, insieme con altri ufficiali, presente anche l'ambasciatore a Costantinopoli Pantaleone Barbo, ad una riunione promossa dal bailo e capitano di Tenedo Giovanni Muazzo, per decidere l'evacuazione ed il trasferimento della popolazione in ottemperanza alle clausole del trattato di Torino, all'indomani dei disordini scoppiati sull'isola. Il 30 marzo 1383 venne eletto provveditore di Tenedo, con Andrea Loredan, ma il successivo 16 maggio il Senato accolse la richiesta dei due eletti, che dapprima avevano accettato l'incarico di venirne dispensati, essendo nel frattempo mutata la situazione politico-militare, complicatasi a seguito della sollevazione degli abitanti e del controverso ammutinamento del Muazzo. Il 1º sett. 1383 il Senato decretò i provvedimenti per il rilascio di Tenedo ed elesse provveditore dell'isola il solo D'Arduino. L'accettazione di questo incarico rese inoperante la nomina a senatore, di poco antecedente, che avrebbe dovuto decorrere dal giorno 29. Il compito del D., secondo le istruzioni impartitegli con la commissione del 15 settembre, consisteva nell'evacuazione degli abitanti di Tenedo a Creta, Negroponte e Cerigo, e nel successivo smantellamento degli edifici civili e militari, da condurre a termine di concerto con il capitano in Golfo Filippo Pisani e con Giovanni Memmo, capitano dell'isola.
Conclusa positivamente la sua missione, dopo la dichiarazione 12 febbr. 1384 del sindico di Genova attestante la conclusione delle operazioni di neutralizzazione di Tenedo, conforme alle clausole del trattato di pace, il D. era di nuovo a Venezia e nell'ottobre del 1384 figura tra gli undici nobili che designavano i quarantuno elettori del doge. Il 20 marzo dell'anno successivo, il Senato, cui il D., ormai "nobilis vir", era ben noto perché distintosi nel conflitto appena concluso per "magnos ictus et feritas quas habuit in personam suam in honorem et statum nostri dominii", ne decretò la nomina a rettore di Ptèleo, accettandone la disponibilità a ricoprire l'incarico senza corresponsione di stipendio, ma conferendogli tuttavia la facoltà di avvalersi del gettito dei locali tributi a titolo di compenso, senza per questo accrescere il carico fiscale degli abitanti. Il 20 luglio 1385 sempre il Senato concesse al D., sul punto di partire per Negroponte e Ptèleo, e purché ciò avvenisse con il consenso delle altre autorità del luogo, di rendere visita al sultano Murād, di cui era amico, a spese dello Stato, lasciando un proprio sostituto a Negroponte. Più che di un'ambasceria si trattò di una sorta di visita di cortesia a titolo personale del D. al sultano, dal momento che non risulta gli sia stato affidato un preciso mandato politico (commissione), né la rappresentanza dello Stato (sindicato), né delle credenziali. Indubbiamente la Repubblica si riprometteva di trarre dalla visita un qualche vantaggio politico, sondando per il tramite del D. le intenzioni del sultano e perciò si offrì di sostenere le spese del viaggio.
Il 12 febbr. 1389 la prima moglie di Antonio, Caterina, fece testamento a Ptèleo in cui nominò unico suo esecutore il marito con facoltà di disporre a proprio piacimento di tutti i beni e della dote di lei, di amministrarli e di provvedere alla loro suddivisione tra la figlia ed i nipoti, alla sua morte. Caterina morì quello stesso anno tant'è che il D. nel suo primo testamento, redatto in Negroponte il 13 novembre del medesimo 1389, dispose che il proprio corpo venisse sepolto nel locale cimitero di S. Domenico accanto a quello della moglie, qualora fosse impossibile trasportarlo a Venezia per darne sepoltura nell'arca di famiglia posta nella chiesa di S. Pietro di Castello. Il D. fece rilevare in forma pubblica il testamento della moglie il 5 marzo 1391 dopo il suo definitivo rientro a Venezia.
Dal matrimonio con Caterina il D. ebbe una figlia, Magdaluzza, andata sposa a Filippo Sanuto. I rapporti con la figlia ed il genero non dovettero essere dei migliori; il D. nella prima stesura del testamento giunse a diseredarli "propter malum portamentum quod ipsa filia et vir suus fecerunt contra me et matrem suam". Il testamento fissava altresì delle condizioni assai pesanti da ottemperare qualora i due avessero inteso rivendicare i beni, siti in Murano, appartenuti a Caterina. Questi propositi risultano mitigati nella stesura del secondo testamento, redatta a Venezia il 25 apr. 1391, che contemplava invece la trasmissione di tali beni alla figlia e al genero con la clausola della riserva di un terzo a favore del nipote Antonello, loro figlio. A questa data risulta che il D. aveva trasferito il proprio domicilio dalla parrocchia di S. Pietro di Castello a quella di S. Maria del Giglio e si era sposato in seconde nozze con la nobildonna Andreola Contarini da cui non ebbe prole.
Il D. ebbe anche un figlio naturale, Andrea (Andreolo), al quale in entrambi i testamenti legò 100 ducati d'oro; al tempo del secondo affidò la somma alla moglie perché gliela corrispondesse al compimento dei venti anni.
Con ogni probabilità il D. morì nel 1391 a giudicare dalle espressioni e riferimenti che compaiono a più riprese nel secondo testamento, a differenza che nel primo, da cui traspare la coscienza dell'imminente pericolo di vita in cui egli versava.
Soprattutto dall'ultimo testamento, più dettagliato, emerge lo spessore della fortuna economica accumulata dal D. in tanti anni di traffici in Levante svolti parallelamente all'attività politico-militare. Tralasciando i lasciti pii, pure cospicui, ne dispose vari altri a diverso titolo per complessivi 230 ducati d'oro. Ordinò la manomissione di quattro schiavi a condizione che prestassero servizio ancora per qualche tempo presso le persone cui li destinava. Si preoccupò che gli esecutori riscuotessero il ricavato della vendita di un'imbarcazione "de banchis sexdecim", come pure procurassero di vendere una casa, entrambe possedute in Negroponte e pagassero il nolo di una cocca impiegata nel trasporto di un suo carico di pelli ed altre merci ed arnesi, non meglio specificati, imbarcati con destinazione Venezia. Lasciò alla seconda moglie un immobile con terreno sito in Murano e le suppellettili delle case di Negroponte, Ptèleo, Venezia. Confermò, infine, all'abate di S. Maria di Sistena di Ptèleo l'affitto per i tre anni successivi dell'isola Larizieri, presso Ptèleo (nel primo testamento l'aveva legata al nipote Antonello), da lui acquistata a prezzo di grandi fatiche, eccettuata la vigna che vi aveva fatto piantare e coltivare, che lasciò alla moglie Andreola.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Arch. notarile, Testamenti, b. 730 (notaio Giovanni Trevisan), protocollo, c. 27v (testamento del padre); b. 859 (notaio Egidio Ravignan), test. n. 226 (testamento della seconda moglie); b. 922 (notaio Andrea Scapuzzi), test. n. 116 (primo testamento del D.); b. 1000 (notaio Marco de Raffanelli), test. n. 451 (ultimo testamento del fratello Giovanni); Ibid., Cancelleria Inferior, b. 184 (notaio Francesco Spalatino), test. n. 41 (primo testamento del fratello Giovanni); b. 186 (notaio Simeone prete), protocollo A, c. 4 (testamento del fratello Nicolò); Ibid., Collegio, Secreti. reg. aa. 1382-1385, cc. 21-23; Ibid., Commemoriali, reg. VIII, cc. 42v, 56v-57, 88v-90; Ibid., Miscell. Codici, I, Storia veneta, 52: Historia di Venetia di Giovanni Giacomo Caroldo, parte II, cc. 436-436v; 56: Cronaca di Daniele Barbaro, parte II, c. 158v; 59: Cronaca veneta, c. 3; 62: Notizie diverse dalle cronache, c. 32; 66: Cronaca Savina, c.129v; Ibid., Miscell. Codici, III, Codici Soranzo 32: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio Veneto..., I, pp. 140 s.;Ibid., Procuratori di S. Marco, Citra, b. 277A, Commissaria Antonio Darduino (con anche l'ultimo testamento del D.); Ibid., Segret. alle Voci, Misti, reg. 3, cc. 35v, 38 (a cc. 37v, 44v indicazioni di altrettante elezioni a senatore del fratello Giovanni, solo la seconda divenuta operativa); Ibid., Senato, Deliberazioni miste, reg. 28, cc. 24, 92; reg. 35, c. 81; reg. 38 cc. 16v, 29v, 66-67v, 74v-76; reg. 39, cc. 9v. 56, 112v; reg. 40, c. 53v; M. Sanuto, Vitae ducumVenetorum..., in L. A. Muratori, Rerum Italic. Scriptores, XXII,Mediolani 1733, coll. 419, 739, 749; G. Müller, Documenti sulle relaz. delle città toscane coll'Oriente cristiano e coi Turchi fino all'anno MDXXXI, Firenze 1879, p. 133; I Libri commem. della Repubbl. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, III, Venezia 194, pp. 156 s., 165 s.; F. Thiriet, Régestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Romanie, Paris 1958, I, pp. 90 s., 160 s., 167, 170; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, VI,Venezia, 1853, p. 492; F. Thiriet, Venise et l'occupation de Ténédos au XIVe siècle, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, LXV (1953), p. 235; Id., La Romanie vénitienne au Moyen Age. Le développement et l'exploitation du domaine colonial vénitien (XIIe-XVe siècles), Paris 1959, p. 356; Arch. di Stato di Venezia, Dalla guerra di Chioggia alla pace di Torino 1377-1381, catal. della mostra docum., Venezia 1981, pp. 81 s.