Antonio d'Arezzo
Fra tre candidature omonime provenienti da scarsi ed estemporanei dati annalistici (i più recenti si debbono a Francesco Arturo Massetani, il quale nel 1940 allestiva un copioso regesto di cose aretine, da lui stesso diviso in cinque torni dattiloscritti) intercorrono evidenti scambi di connotazioni, che però ben persuadono a ridurre a due i personaggi di cui sopra: il primo da identificare con un predicatore francescano, il secondo con un magister dell'ordine di s. Domenico (precettore di E. S. Piccolomini), entrambi nati nell'ultimo scorcio del sec. XIV. Quello che a noi qui interessa è il primo, frate minore, letterato e teologo.
Del suo soggiorno a Parigi riferisce indirettamente il Possevino, accompagnando la notizia con qualche accenno bibliografico: " Antonius aretinus, doctor parisiensis ordinis Minorum, scripsit commentaria in quatuor libros sententiarum et sermones varios ad populum. Quo tempore autem vixerit non scribit Henricus Veuillot neque Franciscus Gonzaga, episcopus Mantuanus, qui tamen eius meminerunt ". Quest'assoluta carenza di termini cronologici sarà causa delle gravi sfasature e contaminazioni, per cui qualcuno attribuisce ad altro A. d'Arezzo (indicato tuttavia come francescano e maestro in teologia) una solenne arringa in Firenze, tenuta nel 1431, in occasione dell'elezione a papa di Eugenio IV (3 marzo). In effetti non si potrà trattare che del nostro A. d'Arezzo, le cui prediche - alle quali il Possevino allude - riscuotevano già da tempo l'entusiastica ammirazione del popolo fiorentino, come anche attesta nei suoi Annales Arcangelo Giano a proposito di una concione celebrativa della SS. Annunziata, tenuta nella cattedrale di Firenze.
Il plauso così tributato alla vis eloquentiae di A. spiega quanto di buon grado le autorità accademiche fiorentine abbiano a lui affidato nel 1432 - l'anno successivo alla trionfante orazione in onore di papa Eugenio - l'onorifico incarico di leggere pubblicamente la Commedia. L'adesione anche sentimentale dei frati minori al poema di D. - della quale ampiamente fanno fede codici miscellanei e raccolte francescane di laude (sia per ritagli dalle tre cantiche sia per usufruizione di inconfondibili sigle) - trova dunque conferma in un episodio che, per essere ambientato nella raffinata Firenze quattrocentesca (dove, per un'ormai ben solida tradizione, letture e ‛ sposizioni ' del capolavoro dantesco tornavano in genere molto gradite, sì da esser frequentate - come asserisce la Chronica di s. Antonino, arcivescovo di Firenze - " et a vulgaribus... et a idiotis propter dulcedinem rythmorum et verborum elegantiam "), assume, fra l'altro, il significato di un assenso popolare e insieme culturalmente autorevole.
Bibl. - A. Possevino, Apparatus sacer, Venezia 1606, t. I, 111; L. Wadding, Scriptores ordinum minorum, Roma 1650, 101; A. Giani, Annales ordinis fratrum Servorum B. Mariae Virginis a suae institutionis exordio (ab anno 1233 usque ad 1609) [poi continuati da A. M. Garbi fino al 1705], Lucca 1719-25, 3 voll. (il nome di A. d'Arezzo ricorre nel vol. I, 415, col. 1a); G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia..., Brescia 1753-63, I II 1021; G. Mazzatinti, Inventari, XXX, 36. Il dattiloscritto di F.A. Massetani (Dizionario bibliografico degli aretini ricordevoli nelle lettere. scienze, arti, ecc.) si conserva nella Bibl. civica di Arezzo (colloc, n. 45).