ANTONIO da Budrio (Antonius de Butrio)
Figlio di Bartolino Biagi (o di Biagio) da Budrio, località presso Bologna, nacque in questa città circa il 1338. Quivi compì gli studi civilistici, addottorandosi in età matura il 5 ott. 1384 e indirizzandosi subito dopo, dietro incoraggiamento e con la sovvenzione dei reformatores dell'università bolognese, agli studi canonistici, nei quali conseguì il dottorato il 12 luglio 1387, divenendo anche nello stesso anno membro del Consiglio della città. Sposato con Margherita di Lambertino Balduini, ne ebbe due figlie e, forse, un figlio premortogli. Gli fu maestro il canonista Pietro d'Ancarano, che egli chiama, nelle sue opere, "pater meus" e "dominus meus", pur essendone poi divenuto collega nello stesso Studio bolognese.
Entrò a far parte di quel Collegio dei dottori di diritto canonico come soprannumerario il 17 giugno 1391, e come membro ordinario il 29 nov. 1399, prendendo il posto resosi vacante per la morte di Gaspare Calderini, che era stato a sua volta maestro di Pietro d'Ancarano. Ma già prima aveva avuto allettanti chiamate ad insegnare altrove. Così nel 1390 insegnò a Perugia, ove coadiuvò nell'amministrazione della diocesi il vescovo cardinale Andrea Bontempi. Ritornato nel 1391 a Bologna vi insegnò fino al 1393, anno in cui fu chiamato come professore ordinario di Decretali a Firenze con uno stipendio che nel 1398-99 era di 400 fiorini d'oro. A Firenze fece anche parte in questi anni del Collegio dei giudici e degli avvocati. Rientrato alla fine del 1399 a Bologna e divenuto, come si disse, membro ordinario del Collegio dei canonisti, vi tenne cattedra con uno stipendio di 400 lire, ma di nuovo, tra il 1402 e il 1403, lasciò la sua città, chiamato da Niccolò III d'Este ad insegnare, insieme a Pietro d'Ancarano e al discepolo Giovanni da Imola, nello Studio di Ferrara, di recente istituito. A Bologna era di nuovo, se non già prima, nel 1406, e vi rimase fino al 1407, anno in cui il papa Gregorio XII lo inviò in missione a Marsiglia insieme ad Antonio Correr e a Guglielmo della Vigna (Dallavigna), vescovo di Todi, presso l'antipapa Benedetto XIII, lo spagnolo Pedro de Luna, per vedere di addivenire, secondo gli impegni assunti al momento della elezione, alla risoluzione dello scisma per mezzo della rinuncia, da parte di entrambi, al pontificato. Nell'accordo ivi concluso il 21apr. 1407, cui seguì anche una visita degli inviati alla corte di Carlo VI di Francia, era previsto un incontro dei due pontefici in Savona, ma le esitazioni prima, e l'irrigidimento, poi, di Gregorio XII, che già si era mosso da Roma giungendo fino a Lucca, resero vane tutte queste trattative che avrebbero potuto condurre al ristabilimento dell'unità e della pace nella Chiesa. Comunque lo zelo e l'impegno posti in questa missione da A., di cui sono note la profonda pietà e la condotta integerrima, influirono in senso positivo nella conclusione della convenzione di Marsiglia, sventando intrighi e manovre alle quali non era estraneo lo stesso Antonio Correr, nipote di Gregorio XII.
Il ritorno di A. a Bologna precedette di non molto tempo la sua morte, avvenuta il 4 ottobre 1408.
Fu sepolto nella chiesa di S. Michele in Bosco, appartenente agli olivetani, e nell'epitaffio venne esaltato come "nuovo Scevola", per la padronanza nel diritto, e detto pari a Traiano nell'integrità e a Catone nell'assennatezza e nella gravità del carattere. Come dimostrano le frequenti e molteplici chiamate d'insegnamento, con ottime retribuzioni, A. fu certamente maestro estremamente dotato; le sue lezioni furono molto frequentate da allievi, tra cui si possono annoverare il già citato Giovanni da Imola, Francesco Zabarella e Domenico da S. Gimignano. Fu anche consulente di grande scrupolosità professionale, i cui pareri vennero ricercati da ogni dove, spesso insieme a quelli del suo maestro, l'Ancarano. Del cospicuo patrimonio così accumulato egli si servì per compiere, sia in vita sia all'atto della morte, pie donazioni e lasciti a favore di istituzioni ecclesiastiche, e particolarmente di nuove correnti di vita religiosa, quali i gesuati e i minori osservanti.
Critiche e perplessità sollevarono invece le sue opere, se si sta al giudizio formulato, sulla traccia di Alessandro Tartagni, dal Panciroli, il quale ci dice che A. "saepissime adeo perplexe ac inordinate scripsit, ut vix eius mens quandoque percipi possit". Anche Baldo degli Ubaldi diede di lui un sommario apprezzamento negativo, ma il suo ci appare un giudizio interessato, avendo A. avuto l'ardire di contrapporre a un parere di Baldo uno proprio e contrario. Ma non mancano neppure i giudizi favorevoli sui suoi scritti, come quelli di Andrea Barbazza e di Paolo di Castro, o addirittura l'ammirazione e le lodi di un Bartolomeo Socini che lo chiama "patrem canonum et summum legistam", e di altri ancora. Un giudizio definitivo su di lui va equilibratamente ricercato fra i due estremi.
La sua maggiore opera è la Lectura o Commentaria in quinque libros Decretalium, che la dottrina precedente, ampiamente riportata e rielaborata, e la moltitudine dei casi che vi venivano configurati, rendevano utilissima nella pratica forense del tempo (edizioni parziali o complete, in più volumi: Roma 1473-74; Milano 1488-89; Venezia 1501, 1532, 1575, 1578, 1582; Lione 1532, 1556; ecc.). Seguito e integrazione della "lettura" alle Decretali gregoriane sono i Commentaria in Sextum, che hanno gli stessi caratteri essendo anch'essi frutto dell'attività d'insegnamento (Venezia 1499, 1575). Della sua importante attività di consulente abbiamo a stampa un'ampia raccolta di Consilia (Roma 1472, 1474; Pavia 492; Lione 1541; Venezia 1493, 1575, 1582); ma altri suoi consilia ci restano tuttora solo manoscritti. Alcuni pareri A. li diede in collaborazione col maestro Pietro d'Ancarano (cfr. il cons. 64 per il re di Cipro), altri in sua vece (cons. 60). Alla sua attività di consulente in senso lato appartengono anche due notevoli sue trattazioni sui mezzi per por fine allo scisma e sulla legittimità di un concilio d'iniziativa cardinalizia, come fu quello che si adunò a Pisa alcuni mesi dopo la sua morte, nel maggio-luglio 1409. Si tratta di un De schismate tollendo (cfr. cons. 419), che il Bzovius pubblicò nei suoi Annales ecclesiastici, XV, Coloniae Agrippinae 1622, pp. 268-270, sotto l'anno 1407; e di un Tractatus ad cardinales Pisanum concilium habentes pubblicato, da un ms. mutilo della Bibl. Capit. della cattedrale di Lucca, ad opera del Mansi nella S. Conciliorum amplissima collectio, XXVII,Venetiis 1784, coll. 313-330. Ci restano ancora, attribuiti ad A. da B.: un Tractatus de iure patronatus (Francoforte 1581, 1609); uno Speculum de confessione (Vicenza 1476; Venezia 1586, ecc.); un Tractatus de notorio (nei Tractatus universi iuris, al t. IV, ff. 50-57 ove non figura invece un Tractatus de emptionibus et venditionibus che tutti i biografi indistintamente gli attribuiscono, indicandolo appunto come edito nel t. IV, dei Tractatus); un Tractatus de simonia (indicato come esistente in un ms. del Collegio Albornoz di Bologna); delle Repetitiones e Lecturae a vari testi canonistici (Bologna 1474; Pavia 1493, e forse Norimberga 1486; o anche tuttora solo manoscritte); due Repertoria, uno di diritto canonico, e l'altro, assai ampio, di diritto civile (tuttora mss.).
Bibl.: Fondandosi sui dati forniti dai documenti del tempo e sugli spunti biografici contenuti nelle opere dello stesso A. o di giuristi contemporanei, scrissero di lui gli autori che si occuparono della storia della giurisprudenza; in modo tutto particolare si occupò di A. da Budrio G. Fantuzzi, il quale nelle sue Notizie degli scrittori bolognesi, II, Bologna 1782, pp. 353-367, ci dà un'ampia biografia minuziosamente documentata e con intenti critici. Su questa si basano fondamentalmente, ma con utili integrazioni, J. F. Schulte, Die Gesch. d. Quellen u. Liter. des can. Rechts, II, Stuttgart 1877, pp. 289-294; R. von Scherer, in Kirchenlexikon, coll. 1619 s. sub voce Butrio, A.; H. Hurter, Nomenclator literarius Theologiae cath., II, Innsbruck 19o6, coll. 771 s.; A. Amanieu, in Dict. de droit canonique, coll. 630 s., sub voce Antoine de Butrio; cfr. anche Encicl. Ital., III, p. 565; Encicl. Cattolica, I, col. 1542.