DA LEZZE, Antonio
Nacque a Venezia il 29 genn. 1425, terzo dei quattro figli maschi di Benedetto di Donato e di Franceschina Contarini di Pietro.
La madre del D. dovette morire presto, giacché nel 1434 Benedetto di Donato si risposò con una Barbarigo. Il padre del D. doveva rimanere spesso assente da Venezia, probabilmente per motivi di commercio, dal momento che non risulta aver ricoperto incarichi politici fuori della città: non vi si trovava, ad esempio, il 2 dic. 1443, quando il D. fu presentato dallo zio Luca agli Avogadori per l'estrazione della balla d'oro. Nulla sappiamo, peraltro, delle condizioni economiche della famiglia che, almeno nella prima metà del secolo, dovevano essere alquanto modeste, poiché, dei quattro figli di Benedetto, Priamo fu sopracomito di galera, Girolamo podestà a Piove di Sacco, e lo stesso Antonio non andò oltre la carica di rettore a Scutari: solo il più giovane, Andrea, giunse ad essere capitano a Verona e senatore, e diede origine al ramo più ricco della famiglia, che già nella persona del figlio Priamo avrebbe visto la prima di quattro successive generazioni di procuratori di S. Marco.
Scarne anche le notizie sulla giovinezza del D.: il 24 sett. 1447 fu eletto avvocato di Petizion; nel 1465sposò Maria Correr di Lorenzo di Francesco, che gli diede Angelo, morto nel 1510senza figli, e Lorenzo, che fu protonotaro apostolico e con il quale, nel 1527, si estinse questo ramo della famiglia. Quanto alla carriera politica, nulla risulta dal Segretario alle Voci per il periodo compreso tra lo stesso 1447 ed il 7 ott. 1475, allorché il D. rifiutò la nomina a provveditore per il disarmo delle galere a Zara. Sappiamo, tuttavia, che accettò invece, il 12sett. 1476, quella, ben altrimenti remunerativa e prestigiosa, di conte a Scutari e di provveditore d'Albania.
La regione era da anni sottoposta alle devastazioni dei Turchi, con i quali la Repubblica era in guerra sin dal 1459: tra il marzo ed il luglio 1474. Scutari, principale avamposto nell'entroterra balcanico, aveva subito un feroce assedio ad opera del pascià Solimano, i cui sforzi risultarono però vani di fronte all'energia del provveditore Antonio Loredan ed al coraggio dei Suoi 2.500 uomini. Quando il D. fu eletto, lo stesso sultano, Maometto II, si preparava a dirigere di persona le operazioni contro le piazzeforti veneziane della regione, mentre un'altra armata ottomana esercitava una pressione sempre più massiccia sul fronte dell'Isonzo. A partire dal gennaio del 1476, d'altro canto, i registri delle deliberazioni senatorie riportano con inusitata frequenza annotazioni relative all'invio di armi. di munizioni e di viveri a Scutari.
Appunto con 4.000 stari di frumento, uomini e molto denaro il D. partì per assumere il suo rettorato, nel dicembre del 1476. Quando i Turchi posero l'assedio a Croia, egli vide automaticamente rafforzata la propria autorità su tutta la regione; alle sue incessanti richieste di rinforzi, il Senato rispondeva il 15 giugno 1477 ordinando a tutti i rettori dell'Albania che "sub pena indignationis nostri dominii obedire debeant quibuscumque requisitionibus et preceptis eius nostri provisoris"; e il 6 marzo dell'anno seguente imponeva inoltre agli stessi di consegnare al D. tutti i proventi delle pene pecuniarie inflitte ai sudditi, purché queste singolarmente non superassero 1100 ducati. Qualche giorno più tardi, il 17 marzo, deliberava l'invio di un ulteriore contingente di 500 soldati "perché li luogi nostri de Albania sono in grandissimo pericolo per le manaze fa el turcho de mandar el Bassà, et venir lui contra Scusari". Caduta Croia il 17 giugno 1478, dopo un anno di assedio e la disperata difesa del figlio di Scanderbeg, Giovanni, conquistata dai Turchi anche Drivasto, lo sforzo del sultano, ormai libero ad Est per la morte di Uzū'n Ḥāsan, si orientò infatti verso Scutari, che venne cinta d'assedio. Alle operazioni partecipò lo stesso Maometto II; nel lago di Boiana furono poste due galere, per impedire ai Veneziani di rifornire via acqua la città, mentre - riferisce il Romanin - 10.000 cammelli portavano le munizioni e le grossissime artiglierie. Queste ultime sulle mura di Scutari ebbero effetti devastanti, temperati però, per buona sorte dei difensori, dalla lentezza delle operazioni di ricarica. I Turchi sferrarono l'assalto generale il 22 luglio: e lo continuarono per tutto quel giorno e per il successivo. Venne tuttavia respinto grazie alla coraggiosa difesa organizzata e diretta dal D., alle esortazioni del frate domenicano Bartolomeo d'Epiro e alla convinzione degli assediati che i Turchi non avrebbero risparmiato la vita a nessuno, analogamente a quanto era avvenuto, nonostante le promesse, per gli infelici difensori di Croia.
Constatata l'impossibilità di ottenere la vittoria con un rapido assalto, il sultano lasciò il campo dinnanzi a Scutari, portando con sé metà dell'esercito, e lasciando l'altra metà a proseguire il blocco della fortezza. Come riferisce il Malipiero, "in questo assedio è stà tirà tante frezze in la terra, che dopo che Turchi s'ha partio, no s'ha adoperà ne i forni, per scaldarli, altre legne per molti mesi continui". L'assedio durò infatti tutta la rimanente estate e l'autunno, ed ebbe termine solo dopo il trattato del 25 gennaio 1479 una pace umiliante, con cui Venezia si impegnava a versare al Turco un grosso tributo e a cedere la maggior parte dei suoi possedimenti nell'Egeo e nell'Albania, tra i quali la stessa Scutari.
Il D. uscì allora da Scutari, che consegnò al pascià Aḥmed. Con lui partirono poche centinaia di superstiti, ai quali il Senato accordò pensioni e impieghi; per i reduci appartenenti a famiglie nobili vi furono invece notevoli proprietà fondiarie in Friuli e nel contado di Gradisca. Quanto agli avvenimenti che seguirono il ritorno in patria dell'ex provveditore, così si esprime il più autorevole testimone, il Malipiero: "A' primo di Avril [1479] Antonio da Leze è stà fatto cavalier per le so bone operazion fatte a Scuthari, dove è stà conte. Costù, a primo de maggio, ha accusà alcuni cittadini de Scuthari e de mala volontà e de poca fede; e loro se ha giustificà, e ha fatto constar che i ha perso la so terra e i so beni, perché el scriveva a la Signoria che la no se podeva mantegnir: niente de manco i ha provà che ghe era munizion e vittuaria per 4 mesi. Tal che è stà chiamà Consegio di X, e preso la so retenzion; poi firmado el processo e fatta la zonta secondo i solito, è stà confinà un anno in Camera dell'armamento, e poi 10 anni in Cao d'Istria, e privo in perpetuo de consegi". In effetti, i capi del Consiglio dei dieci istruirono il processo il 5 maggio 1479; il giorno seguente una giunta formata da due di essi, da altrettanti consiglieri ducali, avogadori e inquisitori di Stato, iniziò gli interrogatori, e già il 26 dello stesso mese si ebbe la sentenza, che condannava il D. ad un esilio decennale, respingendo la proposta di Lorenzo Mocenigo, capo del Consiglio dei dieci, che lo avrebbe voluto bandito per sempre dalla patria.
Da allora, sul D. e sulle sue vicende le fonti a noi note mantengono il silenzio più alto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. Codici I, Storia veneta 20; M. Barbaro-A. M. Tasca Arbori de' patritii..., IV, p. 237; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 163 c. 226v. Per la carriera politica del D., Ibid.: Segretario alle Voci. Misti, reg. 4, c. 14r; reg. 5, c. 28r; Senato Mar., reg. 10, cc. 58r, 95rv, 99r, 101r, 103rv, 113r, 128r, 139v, 153r, 155rv, 158v, 193v; reg. 11, c. 3r. Per il processo, Ibid., Consiglio dei dieci, Misti, reg. 19, cc. 128r-129v, 130v-131r; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3274: Mem. stor. del Consiglio dei dieci, p. 177. Si veda inoltre: D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo-A. Sagredo, in Arch. stor. ital., VII (1843), 1, p. 122; M. A. Sabellico, Historiae Rerum Venetarum..., in Degl'istorici delle cose veneziane..., I, 2, Venezia 1718, p. 799; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 381 ss.; C. Cipolla, Storia delle signorie ital. dal 1313 al 1530, Milano 1881, p. 588; G. Magnante, L'acquisto dell'isola di Cipro da Parte della Repubblica di Venezia, in Archivio veneto, s. 5, VI (1929), p. 46.