DA PONTE, Antonio
Primo dei figli maschi di Pietro di Alvise - fratello, quest'ultimo, del doge Nicolò - e di Soretta, o Fiordamor, Da Mosto di Gian Alvise di Domenico, nacque a Venezia il 7 sett. 1564. Con ogni probabilità la sua famiglia si trasferì nello splendido palazzo di S. Maurizio dopo il 1590, anno in cui morì il procuratore Nicolò, ultimo rappresentante della linea che discendeva dal doge omonimo; la cospicua eredità ottenuta nella circostanza permise inoltre al D. di aspirare ad una prestigiosa carriera politica. In precedenza, infatti, aveva esordito ricoprendo incarichi di natura giudiziaria, o comunque riservati ai patrizi meno abbienti: dopo essere stato camerlengo a Verona, il 29 sett. 1589 fu eletto alla Quarantia civil nuova, divenne quindi auditore nuovissimo e poi fece parte ancora della Quarantia (26 apr. 1592); un significativo cambiamento si ebbe invece il 27 nov. 1594, allorché il D. fu nominato console dei Mercanti. Divenne poi membro del Collegio dei venti savi (18 ott. 1598), quindi delle Cazude (13 giugno 1599), e poi savio alle Pompe (16 febbr. 1603) e provveditore sopra Banchi (13 nov. 1605).
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1607, fu avogador di Comun (1609) ed esecutore delle deliberazioni del Senato per le città e lo Stato di Terraferma (19 febbr. 1617); in seguito ricoprì il suo primo rettorato in qualità di podestà e capitano a Crema, e al ritorno in patria divenne procuratore sopra gli atti dei Sopragastaldi (22 nov. 1620), carica dalla quale si dimise il 30 marzo 1621 per assumere quella, assai più autorevole, di savio del Consiglio. Era l'apprezzamento del suo operato e del Prestigio di cui godeva la famiglia, destinata, però, anche in questo ramo, all'estinzione: il D., infatti, non era sposato, ed i fratelli Alvise (membro del Consiglio dei dieci nel 1618-19) e Nicolò (eletto duca di Candia il 9 marzo 1621) non avevano figli maschi.
Come savio del Consiglio, agli inizi di maggio, il D. si fece autore in Senato di una proposta di accomodamento tra le pretese spagnole di far passare truppe per la strada detta dello Steccato, o imperiale, nel territorio della Repubblica presso Crema, e l'intransigente posizione del provveditore oltre il Mincio, Nicolò Contarini, che riteneva tale concessione lesiva della giurisdizione veneziana. L'emendamento del D. alle proposte dei colleghi, volto, a far conoscere al "mondo tutto il nostro buon affetto sincerissimo et prontissimo a fecondare i semi della buona et reciproca intelligenza", fu avvertito quale atto di eccessiva condiscendenza all'influenza spagnola, e come tale non venne accettato, ma in tale circostanza anche il Sarpi suggerì prudenza e la questione finì con una soluzione di compromesso.
Nominato esecutore delle deliberazioni del Senato per le isole e luoghi del Levante e del Golfo (4 ott. 1621), il D. ricoprì successivamente l'incarico di savio di Terraferma per il primo semestre del 1622 e poi quello di provveditore generale e inquisitore nelle isole del Levante, magistratura straordinaria che si inviava ogni quattro o cinque anni nei luoghi più lontani dello Stato, col duplice compito di controllare l'efficienza del dispositivo militare e di accelerare l'espletamento dei procedimenti giudiziari: problemi di per sé delicati, ma che il frequente alternarsi dei rettori acuiva cronicamente.
Eletto il 17 marzo 1622, il D. partì dal Lido l'11 agosto. La missione, che si sarebbe protratta per un anno e mezzo, sulle prime non presentò particolari difficoltà: il provveditore visitò Corfù (11 sett. 1622 - 19 genn. 1623), Cefalonia (20 genn. - 27 apr. 1623), Zante (28 apr. - 16 ott. 1623), inviando al Senato due soddisfacenti rapporti da Corfù (dispacci nn. 18-19, entrambi del 4 nov. 1622, con un dettagliato elenco di tutto il sale prodotto nell'isola tra il 1589 ed il 1622, la descrizione delle artiglierie e munizioni esistenti nel forte di Sant'Angelo) e una allarmata descrizione del dissesto in cui versava la Camera fiscale della Cefalonia (dispaccio n. 71, del 20 maggio 1623). Quando però, nel giugno 1623, ottenne la licenza di rimpatriare, la permanenza della flotta turca a Navarino impedì al nuovo provveditore generale, Antonio Pisani, di mettergli a disposizione le galere per il ritorno; inoltre la forzata sosta a Zante gli venne resa più irritante dalla delicata situazione in cui proprio allora era venuto a trovarsi suo fratello Nicolò, duca a Candia, posto sotto accusa dal provveditore Girolamo Trevisan.
Va letto dunque alla luce di questa realtà il dispaccio inviato al Senato il 30 giugno, ad un tempo ostentata autocelebrazione e laboriosa perorazione dell'onor familiare: "Ovunque mi son ritrovato in queste Isole di Vostra Serenità, ho impiegato tutto quel talento, che mi ha dato il Sig. Dio nel ben servire alla giustizia per l'inquisitione con perpetue audienze, et ho espedite cause in questo poco tempo summariamente, che non si sariano espedite in dieci anni sicuramente, havendo in una sol mattina suffragati cento e vinti miserabili ... ; ho scosso, e fatto riscuoter 60.000 ducati et più, ho fatto disciplinar queste militie, rivedute queste fortezze, et monitioni, peso insopportabile ad una testa sola ... . La mia casa attende a solo fine di ben servire, et di honore; li profitti di utilità non hanno radice alcuna in essa, et per così fatte cause al presente si trova con molti archi tesi, ma l'integrità è come l'elemento dell'aria, che se ben percossa con potente et violento braccio da arma tagliente, non riceve alcuna offesa, che il sibilo, restando l'elemento unito, illeso et senza cicatrice...".
Tornato finalmente in patria nel febbraio 1624, fusubito nominato savio del Consiglio, e quindi divenne podestà a Brescia (7 luglio 1624-6 nov. 1625). Portato a termine il mandato senza eccessive angustie, nonostante la vicina guerra della Valtellina, venne eletto consigliere ducale (1º febbr. 1626-31 genn. 1627),quindi esecutore delle deliberazioni del Senato (13 febbr. 1627) e, nell'agosto 1628, futra i correttori del Consiglio dei dieci, in occasione della crisi provocata dai seguaci di Ranieri Zeno. In tale veste si pose in luce come esponente della fazione oligarchica, che individuava nei Dieci i più efficaci difensori del "pacifico vivere dei sudditi" e i più temuti nemici della "facilità del perdono", troppo spesso concesso a chi offendeva la legge.
Gli ultimi anni della sua vita furono segnati da un intenso succedersi di incarichi: fu eletto savio all'Eresia (4 ott. 1628),sopravveditore alle Biave (6 apr. 1629 ed 11 ott. 1630),savio alle Acque (6 genn. 1629 e 25 febbr. 1631), provveditore alle Artiglierie (31 marzo 1629),capo della Sanità (10 ott. 1630),correttore della Promissione ducale (6 apr. 1631), provveditore agli Ori e Argenti in Zecca (31 maggio 1631),provveditore all'Arsenale (5 luglio 1631). Il 14 apr. 1631 funominato procuratore di S. Marco de ultra.
Morì a Venezia il 30 apr. 1632.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, MiscCodd. I, St. veneta 22: M. Barbaro-A. Tasca, Arbori de' patritii…, VI, pp. 191, 204; Vene zia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 17 (= 8306): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, III,cc. 237v-238r; Ibid., Consegli: Mss. It., cl. VII, 831 (= 8910), cc. 99r, 283r, 458r; 832 (= 8911), cc. 119r, 161r; 833 (= 8912), cc.127r, 287r; 837 (= 8916), cc. 139r, 162rv, 264r; 839 (= 8918), cc.8r, 13v, 23v, 30v, 88v; Arch. di Stato di Venezia, Segret. alle Voci. Elez. del Maggior Cons., reg. 14, cc- 1v, 165v-166r; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. 10, cc. 1v,12v, 115v-116r, 124r; reg. 11, cc. 1v,115v, 116v; reg. 12, cc.27v, 79v, 83v, 86v, 99v, 104v, 115v, 165r, 177r; reg. 13, cc. 10, 166; Ibid., Senato. Mar, reg. 80, cc. 47v, 66r-67r, 87r, 126r, 131v, 150r, 156v; reg. 81, cc. 37r, 42v-45r, 46r, 48r-49r, 55r-57r, 118rv, 132r, 133rv, 135r; Ibid., Provveditori da Terra e da Mar, f.1157: Provveditor general Inquisitor delle tre isole di Levante s. Antonio da Ponte (1622-23): la filza comprende centotrenta dispacci, con regesto dei più importanti. Cfr. inoltre: Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 1495: Relatione delli moti interni della Republica dal 1616 sino il 1630, pp. 121 s., 124 ss.; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato venez. agli inizi del Seicento, Firenze 1958, pp. 180, 182, 184, 260, 270.