DAVID, Antonio
Scarse, allo stato attuale delle ricerche, le notizie in nostro possesso relative alla biografia di questo ecclesiastico, che fu vescovo di obbedienza romana a Fano in uno dei momenti più difficili del grande scisma. Tuttavia, indizi sufficienti non solo a intuire gli elementi che concorsero alla formazione del suo mondo culturale e spirituale, ma anche ad individuare persone ed ambienti, a contatto dei quali egli visse ed operò perfezionando la sua vocazione sacerdotale, ci forniscono proprio le scarse testimonianze documentarie che di lui ci sono rimaste: il testamento; l'inventario dei beni, che da Venezia aveva portato con sé a Fano; l'elenco dei libri già appartenuti alla sua biblioteca personale e pervenuti, insieme con altre sue cose, per via di eredità, al monastero della certosa del Montello presso Treviso, elenco che Antonio "de Macis", inserì nella sua Cronica domus scu monasterii huius Montelli Cartusiensis ordinis sotto l'anno 1416.
Il D. nacque a Venezia, nella contrada di S. Maria Zobenigo, probabilmente intomo alla metà del sec. XIV, da famiglia agiata. Poco sappiamo dei suoi studi, che comunque dovettero essere accurati. Abbracciata la vita ecclesiastica, nel clero veneziano percorse la sua carriera, raggiungendo gli ordini maggiori, che ricévette ignoriamo in quale anno, ma in ogni caso prima del 1375, quando, già sacerdote, insieme con la madre Caterina fece donazione al monastero femminile della certosa dei Montello di una cospicua somma di danaro, 100 ducati, con cui fu costruita una cella. L'aspirazione suprema del D. fu senza dubbio quella di una vita di preghiera e di contemplazione, di povertà e di solitudine, di penitenza. D'altro canto, suo cruccio costante dovettero essere le condizioni in cui versava allora la Chiesa, spossata dalla stessa crisi politica ed istituzionale che travagliava allora l'Italia, e minacciata nella sua stessa esistenza e credibilità dallo scisma apertosi il 20 sett. 1378 con l'elezione dell'antipapa Clemente VII. Consapevole dell'urgenza di una riforma che preparasse ed accompagnasse la fine di ogni divisione tra i cristiani, si volse ben presto a quelle forme di spiritualità indicate e vissute dalle comunità eremitiche camaldolesi ed agostiniane, facendo inoltre proprie le idealità delle correnti francescane spiritualiste, non senza subire nel contempo le suggestioni dell'esempio dei gesuati e dei circoli riformatori dei domenicani. Fedele alla Chiesa di Roma - e dunque a Urbano VI e ai suoi successori -, appare infatti intimamente legato a personaggi e ad ambienti che si opponevano polemicamente, realizzando una vita di rinunzia e di pietà, alla decadenza dell'ambiente clericale e monastico: a Bartolomeo Michiel, gesuato di santa vita; a Giovanni del Pozzo, il sacerdote veneziano devoto di s. Caterina da Siena ed amico di Ludovico Barbo; a Giovanni Contarini, il pio ecclesiastico che dedicò la sua vita alla comunità delle agostiniane del monastero di S. Gerolamo a Venezia, e all'ospedale e all'oratorio di S. Giobbe in quella stessa città; agli eremitani di S. Agostino della chiesa veneziana di S. Stefano; alle eremitane di S. Agostino del monastero e dell'ospedale di S. Andrea della Zirada, che furono espressamente esentate dalle costituzioni di riforma decretate nel 1383 da Angelo Correr, allora vescovo di Castello, in quanto - riconosceva lo stesso presule - già vivevano "in perpetua clausura et observantia"; al monastero della certosa del Montello; al monastero camaldolese di S. Michele a Murano, di cui era allora abate Paolo Venier, il riformatore amico di Ludovico Barbo che patrocinò l'introduzione degli olivetani a Venezia e che era in relazione coi domenicani del circolo di Giovanni Dominici. In particolare il D. fu legato ad Angelo Correr, prima vescovo di Castello (1380-1390) e poi patriarca di Costantinopoli (1390-1405), ed al cenacolo - in seguito congregazione - dei canonici secolari di S. Giorgio in Alga, che, per impulso di Antonio Correr e di Gabriele Condulmer, e sotto la vigilanza dello stesso patriarca di Costantinopoli - il quale preparò il terreno per l'approvazione pontificia - impostò in termini nuovi il problema della riforma clericale e monastica.
Insieme con altri prelati, nel 1396 il D. assistette Angelo Correr nella solenne funzione nel corso della quale il patriarca di Costantinopoli consacrò la chiesa, quattro cappelle ed il cimitero del monastero della certosa del Montello. Maestro di camera di Angelo Correr, da questo, eletto papa dai cardinali di obbedienza romana il 30 nov. 1406 e consacrato il 19 novembre di quello stesso anno col nome di Gregorio XII, nella primavera del 1407 fu scelto per succedere sulla cattedra di Fano al vescovo Giovanni (II). Il D. - probabilmente per umiltà, forse perché non riteneva di essere all'altezza del compito in un momento così difficile per la Chiesa - rifiutò in un primo momento l'incarico: "cui primum renitenti in virtute sancte obedientie precipit [Gregorius papa XII], quatenus absque dilatione assentiret et regimen animarum sibi celeriter commissum susciperet", annota infatti Antonio "de Macis" nella sua Chronica della certosa del Montello. In seguito alle pressioni del pontefice, finì con l'accettare per obbedienza la nomina: "Qui, mox ut iussa recepit summi pontificis, caput humiliter inclinavit et dignitatem suscepit presulis", prosegue infatti Antonio "de Macis". L'11 maggio, ad ogni modo, aveva già dato il suo consenso, dato che in quel giorno dettò in Venezia il suo testamento: infatti, a compiere un atto così importante, egli dovette essere indotto - come ragionevolmente argomenta il Sambin - dalla convinzione che, una volta lasciata la sua terra natale, difficilmente avrebbe potuto tornare a stabilirvisi da vivo.
Consuetudine di vita, affinità di esperienze ascetiche, comunione di ideali spirituali, aspirazioni ad una riforma disciplinare e morale del clero e degli organi religiosi coerente con quell'esperienze e con quegli ideali furono senza dubbio alla base della scelta del D. come vescovo di Fano, compiuta da Gregorio XII: scelta che, d'altro canto, ci illumina sugli orientamenti che il nuovo pontefice intendeva dare alla sua azione circa i problemi della unità e del rinnovamento della Chiesa.Il 13 maggio 1407 il D. ottenne da Gregorio XII la facoltà di ricevere la consacrazione episcopale da un vescovo di sua scelta. Il 19 luglio tale privilegio gli fu prorogato di un anno: segno, questo, che non era stato ancora consacrato. Certo è che due mesi più tardi si trovava già a Fano e che nella pienezza dell'ordine episcopale aveva già preso possesso della sua sede: in quella città, infatti, il 22 settembre, "cum non sufficiat ad bene hominum vivere preterita reformare, presentia dumtaxat disponere, nisi futura prospiciantur", come egli stesso afferma nel documento, fece redigere in forma pubblica ed autentica da un notaio l'inventario di quelli, tra i beni portati da Venezia, che erano sottoposti alle disposizioni testamentarie ed immuni dallo "lus spolii" in quanto di sua personale proprietà.
Poco sappiamo dell'attività pastorale e di governo svolta dal D. quando era vescovo di Fano. Nel 1400 consacrò la chiesa degli agostiniani, S. Lucia, e nel 1410, quella di S. Silvestro de Saltaria. Nel 1411 ricopriva la carica di collettore apostolico nella sua diocesi. Il 22 dicembre dell'anno successivo accolse con ogni onore e degnamente ospitò in Fano Gregorio XII che, venuto via da Gaeta dopo l'accordo stretto fra il re di Napoli Ladislao e l'antipapa Giovanni XXIII (3 luglio 1412), era allora giunto in terra di Romagna a porsi sotto la protezione dei Malatesta. Il pontefice sostò a Fano il 23; il 24, accompagnato dalle massime gerarchie laiche ed ecclesiastiche, si recò a Rimini dove si trattenne sino alla conclusione dello scisma avvenuta, come è noto, nel corso del concilio di Costanza. Il gesto di devozione filiale, compiuto dal vescovo di Fano nei confronti dell'anziano pontefice, provocò il risentimento di Giovanni XXIII che, dichiarato deposto il D., nominò a succedergli un Antonio Carbone. Quest'ultimo, tuttavia, scomparve nel 1411, senza mai aver potuto prendere possesso della sede episcopale a causa dell'opposizione delle autorità cittadine e del popolo di Fano, rimasti fedeli al loro legittimo presule e al papa Gregorio XII.
Il D. morì con ogni probabilità a Fano, nel luglio del 1416, ignoriamo'esattamente in quale giorno. Non sappiamo se il suo corpo venne effettivamente sepolto, come il D. aveva disposto per testamento, a Venezia, "in sepultura mea ante altare S. Catherine cum uno ex meis paramentis sacerdotalibus vilioris pretii et vilioris conditionis" nella chiesa degli eremitani di S. Agostino, S. Stefano.
Che il D. - a differenza di quanto affermano il Cappelletti e ripetono ancora il Gams e l'Eubel - abbia continuato a governare la diocesi sino al termine della sua vita, è fatto provato senza possibilità di dubbio dalla testimonianza di Antonio "de Macis" e dalla documentazione relativa alla nomina del suo successore in quella sede, il francescano Giovanni Bertoldi da Serravalle.
Nel testamento del 1407 il D. aveva scelto come fedecommissari il pievano di S. Donato, sacerdote a noi altrimenti ignoto, Giovanni del Pozzo, Bartolomeo Michiel e Giovanni Contarini. Aveva lasciato legati in danaro per la congregazione dei canonici secolari di S. Giorgio in Alga - che, quando il testamento fu scritto, aveva ottenuto il riconoscimento ufficiale della Chiesa da poco più di due anni -, per il monastero camaldolese di S. Michele di Murano, per il domenicano Antonio Varotari, "ut accipiat indulgentiam S. Francisci de Asisio", disponendo che, ove questi gli fosse premorto, la somma stabilita (6 ducati) venisse assegnata t uni bono sacerdoti, qui vadat". Danaro e paramenti sacri aveva legato al monastero e all'ospedale di Sant'Andrea della Zirada, a Venezia; ancora danaro e paramenti sacri, e inoltre tutti i suoi libri esclusi quelli liturgici e i breviari, al monastero della certosa del Montello. Agli agostiniani della chiesa di S. Stefano destinava il proprio calice grande, i suoi breviari ed i suoi libri liturgici, ed una parte delle rendite delle case di sua proprietà in S. Maria Zobenigo, precisando che un'elemosina di 8 ducati dovesse essere elargita ogni anno ai poveri di quella parrocchia nella settimana precedente la festa dell'Assunzione. Al papa Gregorio XII donava - pegno significativo di devozione filiale e di comunità di ideali - un suo scritto: uno Speculum horarum canonicarum "compositum per ipsumet episcopum Fanensem in papiro".
La biblioteca del D., di cui grazie al testamento ed agli elenchi del notaio fanense e di Antonio "de Macis" conosciamo la composizione, rispecchia la personalità e gli interessi del vescovo di Fano. Testimoniano la sua buona preparazione culturale le Summulae logicales - ilcompendio di logica formale composto da Pietro Ispano, poi papa col nome di Giovanni XXI (1276-1277) -, un codice contenente parte dell'opera di s. Tommaso d'Aquino, il liber parvulus contenente "certa documenta utilia in iure canonico", il "libellus copertus de silico" con le "conclusiones omnium quatuor librorum Magistri sententiarum", i due codici con il "textum Sententiarum"; dalla biblioteca di S. Andrea della Zirada aveva in prestito due codici, contenente l'uno il Decretum con la Glossa ordinaria di Bartolomeo da Brescia, le Decretali l'altro. Il D. dovette vivere profondamente la sua vocazione sacerdotale e avvertire il peso della sua responsabilità nei confronti dei fedeli: nessun testo della letteratura profana classica o medievale compare infatti nella sua libreria; la maggior parte delle opere in essa contenute è connessa con il suo ministero pastorale e sacramentale. Oltre a due Breviaria secundum Curiam Romanam, ad un "volumen, in quo est pars nova Biblie", a codici contenenti, rispettivamente, il Salterio, i Quattro Evangeli, l'Uffizio della Beata Vergine "secundum curiam Romanam", ad un liber "in quo sunt orationes Misse", il D. possedeva infatti la Summa de casibus conscientiae, il manuale per confessori composto da Bartolomeo da San Concordio, e la Summa confessorum di Riccardo di Pennafort, un Liber de sacramentis, biografie di santi - come la Passio, translatio et inventio beati Marci apostoli, gli Originales omnium sanctorum -, ed opere di studio e di meditazione, come i Sermones de epistolis dominicalibus del domenicano Guillaume Pérault ed il Transitum beati Ieronimi. Della tensione spirituale del D. rende esplicita e significativa testimonianza l'assai consistente fondo di opere di meditazione e di ascetica che si trovava nella sua biblioteca: le Confessiones di s. Agostino; la Scala Paradisi, versione latina della celebre opera di Giovanni Climaco, il mistico del Sinai (579-circa 649); il De sacramentis christianae fidei ed il De meditando seu meditandi artificio, gli scritti in cui Ugo di San Vittore (m. 1141) sviluppa con intenti sistematici la dogmatica cattolica in una prospettiva del divenire storico che ha il suo centro nell'azione mediatrice e redentrice del Cristo; la Regola di s. Francesco; una Expositio super Apocalypsim, che forse è da identificare negli In Apocalypsim Ioannis libri septem di Riccardo di San Vittore (m. 1173) 0, Più probabilmente - come ritiene il Sambin - con l'Expositio in Apocalypsim di Alessandro Minorita; e infine, soprattutto significativi, il De praeparatione animi ad contemplandum seu Beniamin minor di Riccardo di San Vittore, e l'Arbor vitae crucifixae Iesu dello spiritualista francescano Ubertino da Casale (m. post1329).Appunto queste due ultime opere - la prima delle quali è una sistemazione organica della teoria della mistica che media tra mistica speculativa e mistica affettiva, mentre la seconda rappresenta uno dei momenti più alti della riflessione cristologica e mariologica, e dell'escatologismo medioevale - il D. ebbe tanto care, da portarle con sé a Fano, quando divenne vescovo di quella città.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, S. Maria Maddalena di Padova, b. 1, pergamena senza numero (inventario del 1407); Ibid., S. Andrea della Zirada, b. 14, n. 300 (testam. del D.); Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Cicogna 2001: Antonii de Macis Chronica domus seu monasterii huius Montelli Cartusiensis Ordinis, f. 24;F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra sive de episcopis Italiae..., I,Venetiis 1717, col. 667; P. M. Amiani, Memorie istor. della città di Fano, I, Fano 1751, pp. 329, 336, 345 s.; M. Cicogna, Delle Inscriz. Veneziane..., VI,Venezia 1853, pp. 12 ss.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia..., VII,Venezia 1848, p. 596 s.; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi.... I, Monasterii 1913, p. 245. P. B. Gams, Series episcoporum..., Leipzig 1931, p. 690; P. Sambin, Libri di Bonincontro de' Boattieri, canonista bolognese (✝ 1380) e di A. D., vescovo di Fano (✝1416), in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XV (1971), pp. 205-15.