DE GIULIANI, Antonio
Nacque a Trieste il 27 luglio 1755. Il padre Francesco e la madre Teresa Bonomo appartenevano al più alto patriziato locale: un corpo ormai in rapidissima decadenza, dopo l'inserimento di Trieste nel quadro della politica di razionalizzazione e accentramento operata da Maria Teresa nell'Impero. Coinvolto in un processo per ammanchi al Monte di Pietà e condannato a risarcire una somma per lui enorme, il padre con difficoltà poté far compiere al D. gli studi, secondo la tradizione: prima il collegio dei gesuiti (nella veneta Capodistria e gestito dagli scolopi, dopo la soppressione dell'Ordine), e poi la facoltà giuridica (a Vienna, anche per apprendere la lingua tedesca "ormai necessaria"). Persino di "miseria" dei genitori parlava il D., in una "supplica" che inutilmente rivolgeva nel '75 all'imperatore, per ottenere un sussidio di studio.
Già dunque nella prima giovinezza il D. visse profondamente l'esperienza del mutamento repentino di un'intera civiltà: il chiuso mondo del municipalismo patrizio crollava ed il moderno spirito alacre, spregiudicato della nascente borghesia plurinazionale dei commerci si sostituiva all'esile e stanca tradizione umanistica. Non gli sfuggiva la complessa natura di quel fenomeno, la logica spietata di un modello di sviluppo che schiacciava i deboli e rafforzava i forti nella lotta della concorrenza, che bruciava nello sfrenato attivismo l'inerzia impotente della vecchia cultura. Il D. portava già entro di sé questa visione drammatica della storia e della caducità delle istituzioni umane, quando - anche senza il sussidio governativo - si recò a Vienna per compiere gli studi giuridici nell'università di C. A. Martini e di J. Sonnenfels, i maestri dell'illuminismo austriaco. E vi portava pure alcune letture che si staccavano nettamente dalla tradizione locale: Pope, e perciò Newton, e soprattutto Locke. Ma è a Vienna che il D. compì la sua formazione culturale, in un'università che solo da poco si era aperta alla nuova cultura e rincorreva perciò i miti dell'ottimismo, del secolo con l'impazienza del neofita; che riassumeva in un vivace eclettismo le ispirazioni delle diverse correnti della cultura europea; che elaborava a sistema l'ansia riformatrice di Giuseppe II nel concetto di Wohlfartsstaat: di uno Stato, cioè, che si poneva il fine di una generalizzata facilità e sicurezza di risorse, della rapida realizzazione del pubblico benessere e della sua massimizzazione. Herder e Wieland contendevano ormai a Seneca e Tacito il primato dell'influenza nell'animo del D., che si apriva ad altre esperienze culturali: alla tradizione sensista, alla dottrina fisiocratica, a Montesquieu soprattutto ed infine a Rousseau, che esercitò un'impressione indelebile sulla sua formazione.
Dopo la laurea, nel 1780, il D. ritornò a Trieste. Entrò nella massoneria, venne aggregato al Consiglio dei patrizi, si avviò alla pratica legale presso il locale tribunale, venne assunto dal Giudizio civico provinciale; rinunciò a tale impiego nel maggio '84, dopo aver probabilmente fatto parte di una commissione insediata dalla Suprema Intendenza per il Litorale allo scopo di proporre un piano di potenziamento del porto di Trieste. Decise infatti di esprimere direttamente le proprie opinioni a tale proposito, con uno scritto in cui la lezione di Sonnenfels non era supinamente assorbita ma interamente rivissuta, e l'ossequio formale all'autorità cedeva il posto all'osservazione critica e spregiudicata. Per svincolarsi dalla censura, si rivolse all'imperatore, e Giuseppe II apprezzò lo scritto e il suo autore: uscirono così a Vienna nel 1785 le Riflessioni politiche sopra il prospetto attuale della città di Trieste, che ebbero buon successo (e furono subito sequestrate a Venezia, sospettosa della giovane fortuna della rivale adriatica); il D. stesso, poi, venne invitato dall'imperatore a compiere, a spese dell'Erario, un viaggio attraverso il Mediterraneo per studiare l'organizzazione dei porti stranieri.
Iniziò il viaggio nel settembre '85, ma due anni dopo - non ancora conclusa la missione - ritornò a Trieste dalla Francia per una lite col Fisco: si trattava di un esproprio (per la costruzione di una caserma) che egli aveva avversato ma non potuto impedire, ed ora ricorreva contro la troppo bassa valutazione del terreno. Il D. aveva intuito la necessità di sviluppo della città, aveva meditato interramenti, bonifiche; un nuovo borgo sarebbe dovuto nascere là: da ciò l'energia della sua protesta. Del progetto del borgo parlò con Giuseppe II, ne ebbe l'approvazione, ma la morte di questo ne arrestò l'esecuzione; si rivolse al successore, Leopoldo II. Ma non se ne fece più nulla: la città in effetti si allargò, ma - per allora - verso un'altra direzione. Riprese frattanto i viaggi, non più sul Mediterraneo, ma nell'interno della monarchia: i memoriali indirizzati all'imperatore (non relazioni tecniche, bensì quadri generali) e gli scritti a stampa che seguirono e che risentirono pure dei grandi avvenimenti europei (La vertigine attuale dell'Europa, 1790; Saggio politico sopra le vicissitudini inevitabili delle società civili, 1791; Riflessioni politiche sopra i debiti e i crediti, considerati in rapporto alla legislazione ealle rivoluzioni civili, 1792; A la Convention nationale de Paris, 1793;stampati tutti a Vienna, dove il D. aveva trasferito la residenza) sono testimonianza di una concezione filosofica maturata anche sulla base dell'esperienza empirica dei viaggi. Ed, in realtà, il D. si sarebbe spesso vantato di aver passato gran parte della vita "a cielo scoperto", in avventurosi viaggi attraverso l'Europa.
Da tali esperienze, egli traeva conferma della natura ciclica dei corpi politici e delle loro fortune economiche: sottolineava allora il carattere di "paese nascente" dell'Austria, ancora lontana da quella "prosperità" che era preludio alla decadenza, e la invitava a rivolgere le sue energie verso uno sviluppo che fosse attento più al mantenimento dell'"ordine" che alla massimizzazione del "benessere". Spinto dalla stessa motivazione, compì poi ricerche sulla navigazione fluviale contro corrente: mirava alla utilizzazione del Danubio per un più ordinato sviluppo della monarchia. Al medesimo fine, proponeva progetti di politica generale e riforme istituzionali (come l'abbandono della corona imperiale e il trasferimento della capitale a Pest per uno spostamento verso Oriente degli interessi e dell'influenza austriaca).
Tra il 1793 e il 1798 il D., che aveva già compiuto esperimenti solitari di navigazione contro corrente, ebbe modo di perfezionare un suo sistema e di presentarlo pubblicamente, sembra con successo: ottenne un privilegio di 25 anni sui progetti in materia. Tra il 1801 e il 1803 se ne andò solo sull'Elba, per verificarne la navigabilità in relazione ai commerci del legname boemo, studiò l'organizzazione dei grandi porti del Nord, sostò a Parigi e a Londra. Era sempre in contatto con grossi industriali e commercianti dell'Impero, che ne finanziavano i viaggi. Espose le sue idee al sovrano, mirò alla carica di capitano della città di Trieste: ma non godeva più i favori della corte. Restò però collegato alla Borsa mercantile della sua città che, dal 1804 al 1809, gli affidò il compito di rappresentare i suoi interessi presso il governo di Vienna. Per conto di questa, cercò anche di ottenere nel 1809 la franchigia del porto da parte del nuovo governo napoleonico; e, alla fine dell'occupazione, era ancora lui a rivolgersi a Metternich quale "incaricato degli affari commerciali" della città. Affari che, peraltro, aveva sempre continuato ad appoggiare presso i governi di Vienna e di Pest, quando con il blocco continentale sembravano tornare di attualità i progetti di navigazione lungo il Danubio. Ma l'"agente della Borsa mercantile" non soffocò il "filosofo", che incontrava in quella attività il suo completamento: ricercava le leggi del divenire storico, e voleva con quelle conciliata l'azione politica del governo. Cercò testardamente di far valere il suo punto di vista, e finì per perdere l'appoggio anche dell'ambiente commerciale triestino quando, nel 1817, per realizzare le sue idee, chiese ancora, ma inutilmente, la carica di capitano del più grande porto dell'Impero.
Politicamente isolato, il D. andò via via approfondendo la sua concezione filosofica della storia, che vedeva una legge imperscrutabile dominare le azioni umane: erano però gli uomini stessi a sconvolgere gli equilibri naturali tra le cose; la civiltà alterava i costumi imponendo crescenti bisogni artificiali che finivano per provocare, con la rottura dell'ordine, lacrisi economica, politica e morale delle nazioni. Al mito del progresso, egli contrappose il limite naturale dell'"esauribilità delle risorse": volle perciò distogliere l'Austria dall'emulazione dei grandi modelli stranieri, per indirizzarla - in uno sforzo di sfruttamento razionale ed organico delle possibilità offerte dai suoi ampi territori - verso un modello di sviluppo economico e sociale che sapesse esprimere le esigenze di una civiltà tranquilla e operosa, all'interno di uno Stato centroeuropeo garante dell'equilibrio internazionale, che avrebbe potuto essere minacciato dall'espansionismo delle due potenze che maggiormente gli apparivano capaci di crescita: la Russia ad Oriente e gli Stati Uniti ad Occidente. Questi temi ricorrono nelle opere che andava scrivendo in quegli anni (l'ultima pervenutaci è del 1824) e che non destinò, o che la censura non ammise, alla stampa.
Viennese d'elezione, fece qualche comparsa nella città natale, viaggiò ed osservò un mondo che andava velocemente mutando. Si sottrasse, stanco, ad ogni impegno politico nel 1831 e ritornò a Trieste con la moglie Anna Giussani, per amministrarvi scrupolosamente il ragguardevole patrimonio di cui si trovava a disporre.
Il D. morì il 30 giugno 1835 e, secondo le sue disposizioni, venne sepolto senza pompa né segno nel cimitero di una chiesa di campagna vicino alla città.
Fonti e Bibl.: Trieste, Bibl. civica, Arch. diplom. 19.A.27. Resta necessaria la consultazione dei manoscritti conservati a Trieste presso la Fondazione G. Scaramangà di Altomonte, per tutti gli Scritti inediti, che C. Pagnini ha pubblicato (Milano 1969) in modo troppo poco attendibile. Notevoli, per gli studi introduttivi, le riedizioni delle sue opere a stampa: La cagione riposta delle decadenze e delle rivoluzioni, a cura di B. Croce, Bari 1934 (raccoglie i saggi del 1791 e 1793); Riflessioni sul porto di Trieste, a cura di G. Stuparich, Trieste 1950; La vertigine attuale dell'Europa, a cura di G. Negrelli, Trieste 1976; nonché la scelta di scritti in Illuministi italiani, III, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1958, pp. 645-697. Cfr. inoltre i docc. pubblicati da A. Tamaro, Documenti di storia triestina del sec. XVIII, III, Di una supplica e delle opere di A. D. (1775-1792), in Atti e mem. della Soc. istriana di archeol. e storia patria, XL(1928), pp. 377-395; C. Pagnini, Le imprese fluviali di A. D., in Porta orientale, n. s., II (1966), pp. 200-216. Cfr. F. Cusin, La vita e l'opera di A. D., ibid., III (1933), pp. 715-779; L. Einaudi, Lo squilibrio fra rustici produttori e cittadini consumatori causa di decadenza delle nazioni, in Riv. di storia econ., I (1936), pp. 158-164; F. Collotti L'ideologia politica di A. D., in Fiera di Trieste, I (1948), 1, pp. 90-96; E. Apih, Contributo agli studi su A. D., in App. a La società triestina nel secolo XVIII, Torino 1957, pp. 207-219; Id., Spigolature su A. D., in Pagine istriane, s. 4, I (1960), pp. 21-29; G. Negrelli, L'illuminista diffidente. Giuseppismo e Restaurazione nel pensiero politico di A. D., Bologna 1974.