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Albizzi, Antonio degli

di Marcello Aurigemma - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Albizzi, Antonio degli

Marcello Aurigemma

Letterato (nato presso Firenze nel 1547 [non a Venezia, come si è a lungo creduto], morto a Kempten nel 1626), alunno di C. Sigonio a Venezia e a Padova, studioso in gioventù di logica di diritto e di morale, fu tra i fondatori dell'Accademia fiorentina; scrisse canti carnascialeschi e una Vita di Piero Strozzi; commentò (1568) la Retorica di Aristotele da poco tradotta da A. Caro. Esercitò poi attività politica al servizio degli Asburgo, si convertì al protestantesimo, e forse tradusse in italiano opere di propaganda luterana. Intervenuto nelle polemiche su D. provocate dal Discorso di Rodolfo (Pandolfo) Castravilla (pseudonimo), che nel 1572 in polemica con il Varchi aveva voluto dimostrare con spregio che, secondo i criteri indicati dalle norme aristoteliche, la Commedia non era poema eroico, ed era comunque cattivo poema, scrisse una Risposta al Discorso di Ms. Ridolfo Castravilla contro a D. rimasta inedita (Cod. Vat. Lat. 6528, Bibl. Vat. e Magl. VII, 1151).

Nella Risposta dichiarò che, a prescindere dalla considerazione generale che le regole di Aristotele sono fondate sulla limitatissima esperienza di una o due tragedie e dei poemi omerici, egli non poteva indursi a credere che " in ogni poema, et in ogni campo di ciascun poeta i precetti e le regole d'Aristotele siano osservati "; che la Commedia è vero poema perché, contro l'opinione del Castravilla, che negava fosse poema anche perché non era " favola " né era " imitazione d'attione ", contiene invece " in atto " una favola e ha una sua azione. Se D. non ha introdotto eroi, ha introdotto personaggi eccellenti, che compensano la presenza di personaggi malvagi; e ha scritto cose credibili non meno di quanto lo siano quelle di altri poemi, come il Furioso. Se poi la Commedia non è poema eroico, è " poema misto ". Accanto a certe affermazioni che possono apparire di singolare interesse per i moderni, come la dichiarazione che il verso usato da D. è " strumento intrinseco " rispetto alla favola, l'A. ne presenta altre strettamente legate a posizioni del passato, come quella che quand'anche D. non fosse poeta, come afferma il Castravilla, sarebbe pur sempre teologo, e quindi qualcosa di meglio.

Bibl. - M. Barbi, Della fortuna di D. nel secolo XVI, Pisa 1890, 53; A. Vallone, Aspetti dell'esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce 1966, 64-72; L. Martinelli, Dante. Storia della critica, Palermo 1966, 63 e 64.

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