ANTONIO del Massaro da Viterbo, detto il Pastura
Viterbese, nato presumibilmente verso il 1450; il 17 dic. 1478 appare a Roma - è la prima notizia che lo riguardi - tra i firmatari dello statuto della corporazione di S. Luca. La sua formazione dovette dunque avvenire tra l'ottavo e il nono decennio del Quattrocento, nell'ambiente romano, dove stabilì i primi rapporti con il Perugino, il Pinturicchio, Antoniazzo e Melozzo. Non si hanno ulteriori notizie di A. fino al 30 ott. 1489, quando ricevette un pagamento per pitture eseguite nel parapetto del coro del duomo di Orvieto; doveva essere tuttavia artista non ancora affermato se l'anno successivo, come risulta da un documento orvietano del 3 giugno, si impegnava a dipingere alcune figure in un balcone interno del duomo quale salariato di Giacomo da Bologna. Il suo soggiorno orvietano si prolungò fino al 1492: da vari documenti si rileva che, pur continuando a lavorare alle dipendenze di Giacomo da Bologna, condusse anche lavori per proprio conto; così la commissione di una pittura per il castello di Prodio, da Giacomo passò ad A.; nel 1492 dipinse 36 mazze per la festa del Corporale. Nello stesso anno A. dovette trasferirsi a Roma al seguito del Pinturicchio, che allora intraprese, lavorandovi fino al 1495, la decorazione dell'appartamento Borgia in Vaticano; proprio in questi affreschi, e segnatamente in alcune parti delle sale III (delle Arti Liberali: la Musica, l'Astronomia e la Retorica) e V (dei Misteri: angeli dell'Assunzione della Vergine), è stato riconosciuto l'intervento di Antonio. La presenza romana del pittore in questo periodo è d'altronde provata da un documento del 18 marzo 1494, un pagamento per 50 lance e 5 stemmi dipinti per il palazzo pontificio. L'attività romana di A. fu certamente più larga di quanto indichino i documenti reperiti e le opere ancora conservate (oltre i riconosciuti interventi nell'appartamento Borgia, la Madonna delle scale nel Palazzo dei Conservatori e un affresco con la Madonna, s. Francesco e s.Chiara in S. Cosimato).
Il Mancini - scrivendo intorno al 1620 - ricorda infatti numerose altre sue pitture in Roma oggi perdute: nell'Ospedale di S. Spirito, in S. Agostino, una Madonna "a Tormellina per andare al fico". Da rifiutarsi la notizia manciniana che A. da Viterbo avesse lavorato anche nella Cappella Sistina. Il Venturi pensa che A. abbia collaborato con il Pinturicchio a Roma, oltre che nell'appartamento Borgia, negli affreschi di S. Maria del Popolo (lunetta con Cristo morto, cappella Della Rovere; Quattro evangelisti, cappella di S. Caterina; volta del coro).
Successivamente - forse ancora al seguito del Pinturicchio - tornò ad Orvieto, dove la sua presenza è documentata tra gli anni 1497 e '99. Il 3 maggio 1497 è intento a dipingere figure di angeli nei drappelloni del baldacchino del duomo e si impegna a restaurare gli affreschi trecenteschi del coro, opera di Ugolino di Prete Ilario, lavoro al quale certo attese tutto l'anno. Il 13 marzo 1498 riceve l'incarico di affrescare quattro scene nella tribuna del duomo; tra il 1498 e il '99 vi dipinse: l'Annunciazione, la Visitazione, la Presentazione al tempio, la Fuga in Egitto. Il giudizio dei committenti per questi affreschi - in verità tra le cose più modeste e impersonali di A. - non fu favorevole: in un primo momento la Congregazione dell'Opera aveva pensato infatti di affidargli la decorazione della Cappella Nuova già lasciata interrotta dall'Angelico e dal Perugino, che nello stesso anno 1499 fu invece assegnata a L. Signorelli.
Mancano notizie di A. fino al 25 marzo 1504: reca tale data un documento dell'Archivio notarile di Viterbo, che ricorda una controversia sorta tra il pittore e un tal Giacomo Guazza per un'immagine della Madonna. Tra gli anni 1508 e 1509 fu infine impegnato a dipingere affreschi nel coro del duomo di Tarquinia, che gli procurarono una lite con i canonici della chiesa; per risolverla intervennero come giudici i pittori Costantino Zelli, Monaldo Corso da Viterbo e Luca Signorelli.
Questi affreschi (Profeti, Sibille, Incoronazione della Vergine nei triangoli della volta; Nascita e Sposalizio di Maria nei lunettoni; Incontro di Anna con Gioacchino, Pietà, Vergine col Bambino sulle pareti) - gravemente danneggiati da un incendio del 1642 - possono considerarsi la più ampia e impegnativa impresa del viterbese: accanto alle consuete rielaborazioni di motivi del Perugino e del Pinturicchio, compaiono anche - come è stato notato - reminiscenze del Ghirlandaio (van Marle) e influenze signorelliane (Venturi); manca tuttavia ogni accento di personale rielaborazione dei modelli, ai quali il pittore si avvicina con l'intento di un'esterna e superficiale imitazione.
Non si conosce la data della morte di A., che avvenne comunque prima del 1516: in un documento notarile del 9 febbraio è infatti un riferimento a beni da lui lasciati in eredità. Risulta che la moglie Sabella il 15 genn. 1524 sposò in seconde nozze un tal Clemente Anastasi.
Delle numerose opere che la critica ha attribuito, e non sempre giustamente, ad A. da Viterbo, si indicano - oltre quelle precedentemente ricordate - ancora le seguenti: Madonna (Berlino, Staatliche Museen); Madonna in trono; S. Sebastiano (Orvieto, Museo dell'Opera); Madonna in trono (1504, Tarquinia, Museo); Madonna, angeli e cherubini (Tuscania, Municipio); Presepe; Madonna col Bambino e angeli; Madonna, angeli e i ss. Girolamo e Francesco (Víterbo, Museo Civico).
Il giudizio sfavorevole della critica su A. da Viterbo si giustifica con la mancanza di originalità che caratterizza la sua opera pittorica: egli appare infatti un fedele, ma impersonale interprete dei modi del Perugino e del Pinturicchio; gli si deve tuttavia riconoscere una certa congenialità con i modelli ai quali costantemente si richiamò, specie nell'espressione di un sentimento dolce e sottilmente patetico; già il Mancini aveva notato che "hebbe bona attitudine et esplicò assai bene li affetti". L'importanza di A. consiste però essenzialmente nell'aver contribuito degnamente a divulgare nel Lazio la conoscenza delle forme della pittura umbra quattrocentesca.
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