DELBECCHI, Antonio
Nacque ad Oneglia (ora Imperia Levante) il 17 genn. 1826, ultimogenito di Giuseppe e di Argentina Semeria.
Rimasto orfano di entrambi i genitori venne costretto a 15 anni ad interrompere gli studi classici e ad impiegarsi in una ditta di commercio oleario. A 18 anni si trasferì a Marsiglia, dove lavorò come procuratore in una importante casa commerciale, entrò in relazione con alcuni autorevoli emigrati italiani ed aderì alla Giovine Italia, distinguendosi fin da allora per quella attività di finanziamento del movimento mazziniano che sarebbe rimasta anche in seguito "impegno distintivo della sua personalità" (Marinangeli).
Tornato ad Oneglia nel 1848 con un piccolo capitale ed una buona esperienza commerciale ed industriale, fondò una propria azienda olearia (la ditta Antonio Delbecchi, ubicata in via Vialardi) che divenne ben presto una delle più fiorenti della città, e che ancora nel periodo tra le due guerre mondiali era in piena attività. Fu tra i primi ad importare gli oli d'oliva della Calabria, "ch'egli concorse con lena assidua a migliorare recandosi anche espressamente colà allo scopo di diffondere ed applicare sul luogo sistemi più razionali e produttivi per la loro fabbricazione" (Diz. d. Ris. naz., II, p. 883) e stabilendovi anche una filiale.
Capitano della guardia nazionale di Oneglia, giudice del tribunale di commercio di Porto Maurizio, consigliere ed assessore comunale, il D. fu soprattutto impegnato nell'azione di coordinamento e sostegno del partito mazziniano che ad Oneglia contava un certo numero di adepti come Lazzaro Borra, tenente dell'esercito sardo nel 1821, condannato a morte in contumacia per i moti di quell'anno e rifugiato in Spagna, poi reintegrato nel 1848 col grado di maggiore; come i fratelli Carlo e Domenico Belgrano, compromessi nelle cospirazioni del 1831; o come Ludovico Berardi, il quale dilapidò il proprio patrimonio per soccorrere profughi e fornire denaro ai corpi volontari nella guerra del 1848; Giuseppe Degrossi; Giacinto Serrati ed altri.
Gli anni centrali dell'attività politica del D. si situano tra il 1857 ed il 1864: di quest'epoca è infatti una ricca corrispondenza con lui di F. Bellazzi, P. B. Bellini, M. Reboli, C. Zoia, G. B. Cuneo, A. Mosto, M. Quadrio. In particolare, il D. fu tra i sostenitori del giornale mazziniano L'Unità italiana, uscito a partire dal 1° apr. 1860 (prima a Genova e poi, dal 1° genn. 1861, a Milano) per opera di un gruppo nel quale figuravano come amministratore l'emigrato veneto P. B. Bellini e come direttore il Quadrio. Il programma del periodico, quale risulta dall'articolo di fondo del primo numero scritto forse da Mazzini, è tutto racchiuso nel suo nome: "Unità nazionale comprendente tutta quanta l'Italia dall'Alpi al mare, dall'ultimo lembo del Trentino fino all'estrema Sicilia: è questo il voto innegabile degli Italiani; è l'aspirazione che ha guidato le popolazioni del centro all'urna dell'annessione; èil segreto del loro anelare a confondersi con quante popolazioni vivono libere dal giogo straniero nell'Italia del nord; è l'idea che splende sulle baionette dei nostri militi. L'annessione è per noi tutti mezzo, non fine".
Dell'Unità italiana il D. fu insieme corrispondente, diffusore, finanziatore, come risulta dalle lettere indirizzategli in quegli anni dal Bellini e dal Quadrio. Quest'ultimo gli scriveva da Genova il 7 ott. 1860: "Il giornale tira più di 3.000 copie, ma non arriva a mille abbonati. Ora sono questi che fanno vivere un giornale. La vendita plateale e i depositi sono quasi una perdita. Procurate dunque abbonamenti quanti potete... . Aiutateci di corrispondenze con fatti, con statistica e con critica temperata"; e concludeva: "So quanto fate per la causa e per il nostro giornale; non posso dirvi altro se non che: Dio vi benedica e continuate" (Diz. d. Ris. naz., I, pp. 1074 s.; II, p. 884). Il Bellini lo teneva continuamente informato sulle difficoltà finanziarie della testata, sulla sua linea politica, sulle persecuzioni del fisco; gli accusava ricevuta delle somme che periodicamente il D. spediva; gli mandava opuscoli di Mazzini, perché ne curasse la diffusione e la vendita; lo metteva a parte del proprio sconforto per la situazione di stallo in cui si dibatteva il movimento patriottico (ibid., I, p. 1075). L'Unità italiana avrebbe seguitato ad uscire negli anni successivi a prezzo di continui, infiniti sforzi: costretta ad una prima interruzione il 4 dic. 1865 "dalla insufficienza dei mezzi pecuniari", riprese poi le pubblicazioni grazie ad una sottoscrizione straordinaria; ma il 1° nov. 1871, per continuare in qualche modo a vivere, dovette fondersi con un altro giornale mazziniano - Il Dovere - "costituendoun sol foglio, di formato più grande di entrambi sotto la denominazione di Unità italiana e Dovere e la direzione di Maurizio Quadrio e Vincenzo Brusco Onnis, che si stampò in Genova" (ibid., p. 1077).
Nei primi mesi del 1861, quando gli uomini del Partito d'azione riorganizzavano i Comitati di provvedimento per raccogliere armi e denaro destinati alla liberazione di Venezia e Roma, il D. fondò ad Oneglia uno di tali comitati, a ciò invitato ufficialmente da F. Bellazzi ed esortato da G. B. Cuneo; nel contempo istituì una Società di tiro a segno nazionale, patrocinata da Garibaldi, per la quale il comitato onegliese aveva ricevuto "dieci fucili rigati sistema austriaco".
Approvava queste iniziative l'amico Bellini (ibid., p. 1075) e si complimentava il Cuneo, scrivendogli da Firenze il 21 maggio 1861 (Rinaldi, p. 534); il 28 ag. 1861, da Eastbourne dove s'era recato "per curare di migliorare la salute inferma", anche Mazzini si rivolse al D. parole d'elogio (Diz. d. Risorg. naz., II, p. 884).
Alle direttive mazziniane del momento il D. aderì con entusiasmo, contribuendovi nei limiti delle proprie possibilità; e, nella spaccatura sempre più profonda che andava manifestandosi in seno al movimento patriottico, egli restò strettamente fedele alla linea mazziniana, tanto da meritarsi il dolce rimprovero dell'amico e conterraneo Cuneo, l'antico garibaldino del Sudamerica.
Questi gli scriveva nel febbr. 1862: "Garibaldi, udite le spiegazioni dei cittadini che giorni fa mossero per Caprera ..., diede il suo assenso per l'assemblea del 9 marzo, manifestandosi deciso ad accettare la presidenza del Comitato che sarà nuovamente eletto. Mi duole ... che abbiate potuto attribuire a meschine cause il rifiuto di Garibaldi. Se voi lo conosceste personalmente, io sono sicuro che un simile sospetto non cadrebbe mai nell'animo vostro" (Rinaldi, pp. 536 s.).
Nel giugno 1862, su esortazione di A. Mosto, membro della commissione esecutiva dell'Associazione emancipatrice italiana, il D. si adoperò per trasformare il comitato onegliese in sezione dell'Associazione stessa.
Proprio nel 1864 il D. fu colpito da un malanno agli occhi che lo lasciò debole di vista, ma non lo privò del suo spirito d'iniziativa imprenditoriale, né rallentò la sua opera di benefattore e di patriota, sempre attento alle vicende del Partito d'azione e sempre pronto a sovvenirne le esigenze. Come scriveva al nipote Giovanni Nepomuceno Brisca il 27 apr. 1864 "Guadagno, mercé un assiduo lavoro, dieci circa franchi al giorno; quattro mi occorrono per il mantenimento della mia famiglia, che pur vive nella più ragionata economia, senza lusso e divertimenti, e sei li consumo a pro di chi credo maggiormente vittima dell'egoismo altrui, che forma la principale piaga del nostro secolo, oggi pappagallescamente detto di progresso", ibid.). A fiaccare l'anima ed il corpo di quest'uomo - che per il viso aperto e colorito, per i folti capelli e per i lunghi favoriti era soprannominato ad Oneglia "il bello" - fu piuttosto, anni dopo, la morte della figlia Eponima e successivamente quella della moglie Marina Gandolfo. Lasciò allora ai figli la conduzione della sua azienda olearia e si ritirò nella splendida villa che possedeva sullo spartiacque tra Oneglia e Diano Gorleri, dove trascorse l'ultimo periodo della sua vita confortato dalle frequenti visite degli amici e dei compagni di fede, e dove si spense il 2 sett. 1889.
Fonti e Bibl.: Genova, Istituto Mazziniano, cart. 96, nn. 22705-22708. Delle numerose lettere ricevute dal D. nel corso della sua militanza politica una parte è andata perduta durante il terremoto che devastò Oneglia nel 1887; le rimanenti, ancora intorno al 1930, erano in possesso della famiglia Delbecchi, presso cui le videro e le utilizzarono E. Rinaldi e F. Poggi negli scritti poi citati. Ma attualmente, di tali lettere, gli ultimi discendenti del D. non hanno più notizia alcuna. E. Rinaldi, Uno dei primi mazziniani: G. B. Cuneo, in G. Ruffini e i suoi tempi, Genova 1931, pp. 534-538; L. Giordano, Memorie onegliesi, Genova 1923, pp. 154 s.; L. Ravenna, Il giorn. mazziniano. Note ed appunti, Firenze 1939, pp, 207, 214, 221; M. Castellano, A. D. e la cospirazione onegliese nel Risorgimento, in Imperia oggi, II (1968), 10, p. 12; N. Cerisola, Storia delle ind. imperiesi, Savona 1973, pp. 88, 100, 115; N. Marinangeli, Imperiesi nella storia, Oneglia 1979, pp. 215-218; Diz. del Risorg. naz., s. v. Unità italiana (L'), I, pp. 1073-77, e Delbecchi, Antonio, II, pp. 883 s.